Si chiude l’esperienza di FabriQ, incubatore sociale guidato dalla Fondazione Giacomo Brodolini, a Milano. Le coordinatrici raccontano tappe e traguardi di un progetto che in 7 anni ha incubato 73 start up
Rigenerare la città,
tre innovatrici raccontano
Un'app per monitorare la qualità dell'aria in città, un processo di economia circolare per valorizzare gli scarti della filiera alimentare, una rete di veicoli elettrici per consegne a domicilio, una nuova tecnologia per ridurre il volume dei rifiuti inorganici. Sono solo alcune delle 73 startup avviate all'interno di FabriQ, il primo incubatore ibrido coordinato dalla Fondazione Giacomo Brodolini nel quartiere di Quarto Oggiaro, a Milano, che dopo sette anni di attività ha da poco concluso il suo percorso.
Nato nel 2014 per volontà del comune di Milano, e sostenuto da Impact Hub Milano, FabriQ ha coinvolto un migliaio di persone in attività diverse, offerto uno spazio di co-working a chiunque ne avesse bisogno per coltivare le proprie idee. Tutto, con una doppia missione: attivare l’imprenditorialità sociale giovanile e la rigenerazione urbana del quartiere.
“Sono stati anni meravigliosi e difficili” raccontano Francesca Buonanno, Debora Greco ed Elena Visentin, che per la Fondazione Brodolini lo hanno coordinato. “Anni ricchi di opportunità e cambiamenti: abbiamo sperimentato soluzioni a bisogni in costante evoluzione e lavorato fianco a fianco con organizzazioni e cittadini per stimolare la crescita di una comunità educante attiva e generativa”.
Rigenerare, spiegano, significa riconoscere che i margini non sono marginali, ma portano con sé una grande capacità di generare cambiamento attraverso un’innata vocazione creativa. “L’advanced diploma in Cities and Urban Development alla New York University School of Professional Studies, mi ha introdotto alle teorie della rigenerazione urbana delle 3 T” spiega Francesca Buonanno, project manager di FabriQ “rigeneriamo un quartiere attraendo talenti, tecnologia e tolleranza, con un'attenzione particolare alla gentrificazione, insomma avevo tra le mani una formula di successo scritta e sperimentata già da anni negli Stati Uniti”.
“Poi arrivi a Milano” continua Francesca “e conosci un quartiere e una comunità modellate sull’inclusione e la diversità, senti la voglia di riscatto e la capacità delle persone del quartiere di immaginare un futuro diverso per le nuove generazioni, e comprendi che rigenerare vuol dire accostarsi a chi non solo è già presente, ma da anni rigenera portando in periferia le esperienze del centro città e lavora giornalmente per far sì che i contributi esterni possano divenire espressione dei valori della comunità”.
Francesca Buonanno, Project manager FabriQ
FabriQ è stato un laboratorio privilegiato per testare strategie integrate di rigenerazione urbana con un approccio multi-tematico basato sullo spazio (comunità) e sulle persone, e ci ha insegnato che la rigenerazione urbana può e deve essere innovazione sociale. Ho imparato che partire dal basso non vuol dire solo raccogliere suggerimenti dagli abitanti e tracciare la strada per loro, ma significa seguire percorsi già tracciati inserendosi, quando e dove possibile, con spunti, nuove azioni e attività capaci di aggregare soggetti nuovi e diversi.
Tra i momenti più entusiasmanti, racconta Debora Greco, Content e community manager dell’incubatore “mi vengono in mente i pranzi con le persone del quartiere, in grado di farci sentire parte di una comunità, anche se non sempre con la stessa visione, ma comunque parte di qualcosa da difendere e includere. Com’è avvenuto dopo i primi tre anni durante la castagnata annuale, uno degli eventi più importanti del quartiere, che ha rappresentato per noi il riconoscimento come attore rilevante”.
Debora Greco, Project officer e Content e community manager FabriQ
Il momento più difficile? L’avvio. Capire cosa FabriQ sarebbe diventato, eravamo lì secondo una visione politica, che non coincideva perfettamente con le ambizioni degli abitanti del quartiere, ma eravamo arrivate anche per creare un impatto insieme a loro. Provare a tenere legati i due aspetti cercando di supportare il quartiere nel realizzare e promuovere una diversa visione e attirare nuove energie, è stata la sfida più difficile.
Nei prossimi anni, ognuna si porterà dietro un progetto che più di altri ha rappresentato qualcosa. Elena Visentin, Project officer di FabriQ, sceglie ZeroPerCento. “Una bottega etica, come la sua ideatrice Teresa la definirebbe, che fa da palestra di lavoro a persone con disabilità fisiche o psichiche, e allo stesso tempo promuove la vendita di prodotti locali, biologici, sfusi, facilitando un buon contatto con gli abitanti del quartiere, tanto da saper resistere alle chiusure richieste dalla pandemia, riadattandosi online, con un interesse da parte del pubblico che non sarebbe stato prevedibile”.
“A colpirmi è stata soprattutto la tenacia di Teresa e della sua cooperativa” racconta Elena “di fronte alle piccole sfide quotidiane che la periferia pone e che essere una cooperativa sociale comporta: storie di vasi rubati, di dehor distrutti, tentativi di scasso, rallentamenti burocratici, rimborsi che non arrivano, consegne in ritardo. Sono storie di solidarietà di vicinato e di comunità. Anche di perseveranza e adattamento. E in fondo sono le storie di tante delle start up che abbiamo supportato”.
Elena Visentin, Project officer FabriQ
Scegliere di non raccontare solo i traguardi è fondamentale, specialmente nell’ambito delle startup, dove la narrativa del vincente va per la maggiore. Condividere difficoltà e fallimenti è invece un punto chiave per generare solidarietà e alimentare lo spirito delle comunità che ruotano intorno ai singoli progetti. Abbattere il muro di sospetto tra mondi diversi è un valore aggiunto impagabile.
Ora che FabriQ si prepara a cambiare di nuovo, le esperte di Fondazione Brodolini resteranno attive nel quartiere per dare seguito e supporto alle attività avviate sul territorio. “Chiudiamo i cancelli con un’immensa gratitudine nei confronti della comunità di Quarto Oggiaro che ci ha insegnato che la rigenerazione di un quartiere, di una strada o di un edificio non è fatta di proclami ed eventi: è uno sforzo collettivo di crescita, è il coraggio di partecipare a conversazioni difficili e scomode, che mettono in discussione e rivoluzionano pensieri e ideali. In questi 7 anni abbiamo imparato e disimparato tanto. Adesso è il momento di mettere questa conoscenza al servizio di nuovi progetti”.