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Come funziona la parità di genere nelle proposte di nomina negli enti regionali? Il caso Lombardia, un buon esempio di come il potere venga spartito tra uomini nonostante le leggi

"Sei stata nominata", squilibri
di genere nei CdA regionali

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Foto: Unsplash/ Laura Chouette

L’analisi della presenza femminile negli enti di nomina regionale può rappresentare un buon punto di osservazione per comprendere quale sia ancora oggi la condizione delle donne nello spazio pubblico della politica nonostante il tema delle nomine ai vertici amministrativi di enti facenti capo alla Regione Lombardia rappresenti un terreno pressoché inesplorato e denso di nodi e insidie: primo fra tutti quello dei rapporti tra consiglio e giunta, e poi la partecipazione della regione negli enti territoriali minori, che sono assai numerosi e caratterizzati da una molteplicità di configurazioni giuridiche. Solo alcune tra le principali questioni che il tema delle nomine regionali richiama.

Tuttavia, un grande interesse è emerso dalla possibilità di analizzare alcuni dati riportati dal documento Riflessioni sulla parità di genere nelle proposte di nomine effettuate nel corso della XI Legislatura dal Consiglio regionale, a cura dell’Ufficio Organizzazione dei lavori assembleari presso il Consiglio, aggiornato al settembre 2021, che è stato redatto sulla base del “Registro regionale degli incarichi n. 2/2021” e consegnato al Consiglio per le Pari Opportunità di Regione Lombardia (CPO) lo scorso ottobre.

Principio di parità e contesto della legislazione regionale

A livello teorico il primo riferimento va fatto alla Legge Regionale Statutaria 30 agosto 2008, n.1 che fa proprio il rispetto della parità di genere nell’esercizio delle proprie attribuzioni. Con l’art.11, comma 1, lo statuto “riconosce, valorizza e garantisce le pari opportunità tra uomini e donne in ogni campo, adottando programmi, [...] atti a garantire e promuovere la democrazia paritaria nella vita sociale, culturale e politica. Particolarmente significativo ai nostri fini quanto recita il comma 3: “la Regione promuove il riequilibrio tra entrambi i generi negli organi di governo della Regione e nell’accesso agli organi degli enti e aziende dipendenti e delle società a partecipazione regionale per i quali siano previste nomine e designazioni di competenza degli organi regionali.”

Entrando maggiormente nel merito di come il principio statutario viene applicato nel processo delle nomine che riguardano il consiglio regionale, la Legge regionale 25/2009 rappresenta il contesto legislativo che regolamenta le nomine di competenza del consiglio. Ed è fondamentale perché all’art.1 ribadisce che nomine e designazioni di competenza del consiglio regionale e del suo Presidente, sono disciplinate nel rispetto dei principi di partecipazione, pubblicità, trasparenza e pari opportunità stabiliti dallo Statuto

Sorvolando sull’art. 2, utile perché fornisce il quadro completo della tipologia di enti rispetto a cui la regione ha competenza di nomina e designazione, passiamo ad analizzare il ben più interessante art.3 della stessa legge.

In particolare, soffermiamoci al comma 3 dell’art.3 dove si legge che, “al fine di promuovere le pari opportunità tra uomini e donne, i soggetti di cui al comma 1 titolati a presentare candidature sono tenuti a proporre, per gli organismi collegiali, nominativi di persone di entrambi i generi”. Ma c’è di più perché al comma 8 dello stesso articolo è previsto un meccanismo a tutela della parità di genere: infatti, in presenza di determinate condizioni, è data facoltà al Presidente del consiglio regionale, di riaprire i termini per la presentazione di candidature accompagnate da apposita documentazione. E queste particolari situazioni si possono verificare nel caso in cui “per determinate nomine o designazioni non siano state presentate candidature o non siano state presentate in numero almeno pari al doppio di quello necessario a garantire al genere meno rappresentato l’equilibrio tra il genere maschile e il genere femminile nelle nomine o designazioni da effettuare”.

Dalla teoria alla realtà: candidati e nominati, uomini e donne a confronto

Il documento menzionato si riferisce a 103 proposte di nomina, valutabili ai fini del rispetto di genere in fase di accesso alle procedure di nomine. Un primo aspetto riguarda le candidature, ossia il numero di donne e di uomini che hanno presentato domanda o di cui è stato proposto il nominativo (art.1 L.R. 25/2009).

Balza immediatamente agli occhi che su un totale di oltre mille e cinquecento candidature (1779, per la precisazione) due terzi sono maschi (1323, pari al 74,3%) contro un terzo di candidature femminili, 25.7%, ossia 456. Conseguente la distribuzione delle nomine: il 71,1% sono uomini e il 26,9% donne.

I dati dunque mostrano chiaramente non soltanto il mancato rispetto della parità di genere, ma un vero e proprio drammatico squilibrio nella nomina tra i due generi.

E una riflessione è d’obbligo. È certamente vero che in genere le donne si candidano in numero nettamente inferiore agli uomini [1] (il caso regionale rientra assolutamente nella norma); non vi è dubbio tuttavia che le proposte da parte dei diversi soggetti ed enti non facciano nessuno sforzo per invertire, o quanto meno, mitigare, la situazione data.

Mancato rispetto della parità di genere: che cosa succede?

Analizzando più in profondità lo schema delle 103 proposte di nomina effettuate nel corso della XI Legislatura del Consiglio Regionale, si rileva che vi sono 6 casi di nomine particolari in quanto  costituite da società quotate in borsa o controllate dalle pubbliche amministrazioni  per le quali si applicano le norme della L.12 luglio 2011, n.120, la cosiddetta “Golfo-Mosca”  Si tratta di una normativa applicata nel caso di elezioni di componenti del collegio sindacale di società a partecipazione regionale, come per esempio Finlombarda Spa, ARIA Spa, FNM Spa, Explora Spa, etc.

Le conseguenze ai fini della parità di genere sono molto rilevanti.

In quest’ultimo caso, infatti, di aziende quotate in borsa o controllate dalle pubbliche amministrazioni si applica la legge “Golfo-Mosca” – appositamente riveduta con legge 27/12/2019 n.251 - in base alla quale si prevede un vincolo di risultato sulla votazione ai fini della rappresentanza di entrambi i generi: in concreto, in caso di non applicazione, la normativa comporta una serie di sanzioni pecuniarie crescenti per gravità, ma soprattutto il più delle volte la riapertura dei termini del bando. Il risultato è un sostanziale rispetto della parità di genere e, a oggi, l’assenza di violazioni.

Per le altre nomine, largamente la maggioranza, non è così. Il fatto è che la già citata legge regionale 25/2009, infatti, all’articolo 3, comma 3, pur prescrivendo che i soggetti titolati presentino candidature di entrambi i generi, non prevedono al contempo che le proposte di candidatura prive di tale requisito possano essere dichiarate inammissibili o irricevibili.  In concreto può succedere che uno stesso soggetto presenti un numero di candidature non attenendosi a quanto richiesto dal c.3-art.3 della L.R. 25/2009, senza che tuttavia sia violato il rapporto in termini di equilibrio di genere. In sostanza, nella realtà la norma prevista dalla  L.R. 25/2009, pur esistente, di fatto può non venire applicata con i risultati di squilibrio di genere che i dati mettono chiaramente in mostra.

La situazione relativa alle nomine effettuate dal consiglio regionale è tanto più iniqua e strana, tenuto conto che, al contrario, le procedure in materia di nomine espletate dalla giunta regionale garantiscono la parità di genere, motivo che ha portato il consiglio per le pari opportunità della regione a chiedere ragione di questa disparità auspicando, comunque, una unificazione dei criteri.

E, a proposito di squilibrio di genere – ancora secondo il documento utilizzato  è particolarmente significativo un ulteriore dato relativo a un campione di nomine espletate sino a oggi  (76 PDN) valutabile ai fini del rispetto dell’equilibrio di genere in fase di accesso alle procedure di nomina (ovvero quando ci sono almeno due soggetti da nominare). In questo campione, infatti, si riscontra che in soli 4 casi si verifica uno squilibrio di genere a favore delle donne, che significa che nei restanti 72 casi lo squilibrio di genere risulta a favore del genere maschile: 5,3%  nella prima ipotesi, rispetto al 94,7% nella seconda.

Per finire, cerchiamo di capire come concretamente si comportano le diverse parti politiche (maggioranza e opposizione) in occasione della presentazione di candidature rispetto al principio della parità di genere.

Ebbene i gruppi di maggioranza (Lega, Fratelli d’Italia, Forza Italia) presentano proposte di candidatura nel 45% dei casi in violazione del principio di parità di genere. All’opposto, per i gruppi di opposizione (PD sostanzialmente, anche se nel consiglio è presente anche il M5S) la percentuale di proposte non corrette scende al 12%.

La differenza è evidentemente rilevante: nell’attuale Consiglio di Regione Lombardia rispetto alle nomine di genere, i gruppi di minoranza presentano candidature nel rispetto del principio di parità nell’88% dei casi; i gruppi di maggioranza solo nel 55% dei casi.

Note

[1] Peraltro alcune ipotesi sono state proposte nel caso di un analogo report relativo a nomine effettuate su diversi bandi da parte del Comune di Milano durante la sindacatura di Giuliano Pisapia (2011-16). Si veda il documento “Pisapia: candidature e nomine femminili negli enti partecipati”, disponibile su arcipelagomilano.org

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