Cosa hanno in comune le leader dei partiti di destra in Europa, e perché non presenteranno proposte politiche per migliorare la condizione delle altre donne o delle persone i cui diritti sono a rischio

Sono ormai numerose: in Europa e non solo sono diverse le donne oggi alla guida di vari partiti di destra. Il fenomeno è strano, la destra non ha nei suoi principi base quello della emancipazione delle donne, né quello della loro capacità di leadership in base all’idea di uguaglianza, né una tradizione di lotte femministe, da sempre patrimonio della sinistra.
Ma come spiegare l’ascesa di Giorgia Meloni, di Alice Weidel, di Marine le Pen e aggiungerei anche di Sahra Wagenknecht, che sempre più vira a destra?
La mia ipotesi è che, in modi diversi, provengono da storie di umiliazione individuale che sono decise a riscattare.
Underdog
Fin dal primo discorso come presidente del consiglio Giorgia Meloni ha parlato di sé come di una underdog, cioè come l’esemplare considerato sfavorito in una competizione, che ne ha viste e sofferte tante, ma che infine ha vinto la propria battaglia contro tutti i pronostici negativi.
Ricordo un’intervista di quando venne nominata ministra della gioventù nel governo Berlusconi in cui si lamentava del fatto che il suo tailleur pantalone venisse giudicato “da mercato” dai giornalisti, nonostante fosse invece di marca, per un pregiudizio radicato contro di lei e le sue scelte, non solo estetiche.
Sono note le vicissitudini della sua famiglia, non certo privilegiata, la scelta di un istituto professionale e non di un liceo, dove tuttavia ha imparato le lingue, e l’adesione da giovanissima ad associazioni di destra, in cui diventa subito la leader.
In modo diverso, Marine Le Pen e Alice Weidel rappresentano un’immagine femminile anomala. La prima eredita la passione politica di destra del padre, basata su un orgoglio bretone, che da sempre disprezza la classe politica parigina, e si considera da essa torteggiato.
Pluridivorziata, difende tuttavia i valori della Francia tradizionalista della famiglia e della religione cristiana contro l’”invasione islamica”.
Similmente Alice Weidel, presidente di Alternative für Deutschland ha un’anomalia non lieve per una politica di estrema destra che difende i valori tradizionali: è lesbica, ha una relazione con una donna di origini shrilankesi con cui ha due figli e risiede in Svizzera: in molti modi contraddice nella vita personale i valori della destra estrema.
Sahra Wagenknecht, proveniente dalla sinistra tedesca e fondatrice di un partito personale che si batte contro la politica migratoria di Angela Merkel e non nasconde simpatie per la Russia di Putin, è figlia di padre iraniano, ma la sua politica sembra disconoscere il valore delle sue origini.
Nonostante le differenze rilevanti delle biografie, alcuni punti sembrano in comune: in diversi modi si tratta di donne che non hanno un percorso di formazione politica tradizionale e che per molti aspetti hanno una differenza, un’anomalia da cui prende il via la loro scelta politica.
Qualche psicologo parla dell’enorme energia trasformatrice che nasce da una vita in cui l’umiliazione abbia giocato un ruolo cardine.
L’umiliazione nasce quando un elemento essenziale della personalità viene disconosciuto o addirittura additato come qualcosa di cui vergognarsi: la persona può reagire subendo passivamente, rinunciando o dissimulando, oppure può battersi per dimostrare il proprio valore nonostante quella mancanza o al contrario trasformandola in un vessillo positivo.
La vergogna del resto è una delle cosiddette emozioni negative, che induce sofferenza e provoca una diminuzione dell’autostima che porta talvolta all’autoesclusione dal contesto in cui è nata, ma che, come ogni emozione, ha un proprio lato positivo, in questo caso emancipatorio.
Non sentirsi all’altezza di una situazione, o sentirsene ingiustamente discriminati può spronare a migliorarsi o a dimostrare il proprio valore nei confronti di chi non l’ha riconosciuto. Il vissuto di umiliazione o di vergogna può devastare una vita oppure può concentrare l’energia della rabbia che spinge a mostrarsi degni di stima e a modificare il giudizio negativo da cui nasce.
Ma perché a destra? E perché con ambizioni da leader? A mio avviso fondamentale è il carattere individuale del vissuto di umiliazione: non si tratta di una situazione in cui un gruppo o una classe è socialmente sfavorita.
Da questo nasce normalmente la solidarietà tipica di chi condivide una condizione di sfruttamento o di discriminazione e si batte per cambiarla in un contesto di uguaglianza.
Per questo è la sinistra a rappresentare i valori dell’emancipazione e della fine della discriminazione e dello sfruttamento per tutti.
Qui si ha a che fare invece con storie personali di sottoprivilegio sociale o di anomalia individuale: chi è stato per vari motivi visto come meno favorito per origini sociali o etniche o per scelte di vita sente una urgentissima spinta a mostrare di non valere meno degli altri, e a conquistarsi un ruolo socialmente emergente proprio per liberarsi dall’insulto che altri le hanno spesso rivolto o dalla svalorizzazione da sempre sentita come non meritata.
La strada è quella della ricerca dell’affermazione individuale che nasce dal vissuto dell’umiliazione e della vergogna.
Non c’è niente da condividere qui: occorre rivolgersi a chi pensa che l’uguaglianza è omologazione e non emancipazione e che l’unica via è quella di mostrare il proprio valore in quanto individuo, in quanto donna, mostrando che almeno in un caso, forse eccezionale, l’idea dell’inferiorità femminile non regge.
Forse un’interpretazione estrema dell’idea liberale o liberista che apre a un individualismo portato al massimo.
Allora la sfida vera diventa non quella della solidarietà, non quella di puntare alla parità, ma quella di superare gli altri, di mostrare la propria eccezionalità puntando al potere, a prevalere su tutti, e a vincere lì dove è più difficile, dove è quasi impossibile, lì dove nessuno crede che aprire alle donne sia un valore, lì dove il machismo domina e non si è pronti a sentire con interesse una voce femminile.
Farsi largo in un contesto del genere aggiunge un fervore e un’esaltazione che si sente nell’uso della voce, nell’intonazione dei discorsi di queste leader femminili di destra, un tono insolito nei discorsi delle leader di sinistra, meno invasate, più controllate, lontane per stile e per valori da percorsi d’audacia e dal desiderio di prevalere ad ogni costo.
Ma davvero preferiamo queste invasate che infiammano le folle come i despoti di altre epoche con i loro discorsi antistorici di chiusura e lontani da ogni prospettiva universale?
Come gli uomini
Le leader di destra si sono giocate tutto, hanno fin dall’inizio puntato sul rischio individuale, sulla missione impossibile, da donna che non si sente debole ma che tale è stata considerata e che ora, vinte molte sfide e giunta all’apice, sente di potersi permettere di rischiare ancora sapendo di poter vincere, contando sul fervore, sull’esaltazione che un tale percorso ha prodotto, inducendo l’idea di poter affrontare positivamente qualunque sfida.
Paradossalmente è tutta roba maschile ben nota: è l’audacia e lo sprezzo del pericolo dell’eroe fascistoide cui si aggiunge la dolcezza di un volto, contraddetta dalla violenza delle parole.
Basta ascoltare i discorsi di Weidel, di Le Pen, di Meloni, di Wagenknecht per percepire un tono infervorato, una sorta di fanatismo di chi si sente capace di affrontare ogni rischio, fornita ormai di un potere senza limiti, per la tempra prodotta da tante battaglie
Per questo nessun interesse nasce per la situazione delle altre donne e per ogni sorta di sottoprivilegiato, migranti o Lgbtqia+ che siano: concepiscono se stesse come un’eccezione, come individualità temprate e non ripetibili.
La solidarietà femminile non trova spazio perché unico è il loro percorso, individuale e irripetibile la loro lotta. Non aspettiamoci che capiscano il mondo delle donne o che siano disponibili a un’accoglienza degli stranieri che bussano alle porte dell’Europa: se ne sentono sideralmente lontane. Per questo sono davvero pericolose.
Articolo pubblicato in collaborazione con Appunti - di Stefano Feltri (substack), leggi l'articolo originale