Politiche

Il disegno di legge Cirinnà in discussione in Parlamento è una proposta che distingue tra unioni civili e matrimonio, che parla di “specifiche formazioni sociali” per non urtare sensibilità e che rappresenta un punto di partenza per non essere gli ultimi in Europa in materia di diritti civili. Facciamo chiarezza

Unioni civili,
facciamo chiarezza

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foto Flickr/Fotos TVN

Non possiamo sapere cosa accadrebbe in Italia nel caso di un referendum propositivo sul diritto di famiglia, come è accaduto ad esempio in un paese a forte vocazione confessionale cattolica qual è l'Irlanda. Ma sapppiamo che una parte non così irrisoria del paese voterebbe a favore di un riconoscimento dei diritti delle famiglie composte da persone dello stesso sesso, e probabilmente anche su una piattaforma più ampia di quella contenuta nello stesso disegno di legge Cirinnà.

Lo sappiamo perché assistiamo a un gioioso proliferare di manifestazioni a sostegno del disegno di legge – le piazze #svegliatitalia, che stanno colorando di punti rossi tutto lo stivale con gli appuntamenti per il prossimo sabato 23 gennaio -  e anche perché ce lo insegna la storia degli ultimi quarant’anni.

Quelle poche volte che cittadine e cittadini sono stati chiamati a esprimersi per abrogare leggi che prendevano atto di un’evoluzione della società in contrasto con il dettato integralista cattolico (pensiamo al tentativo di abrogare la legge sul divorzio e al tentativo di abrogare la legge sull’interruzione volontaria di gravidanza) uomini e donne di carne e sangue si sono opposti. 

Perché le donne e gli uomini vivono nel mondo reale, dove è evidente la necessità di disciplinare, regolamentare nel diritto situazioni che esistono nei fatti, che appartengono all’esperienza diretta o indiretta di tutti.

Sappiamo poi, che le famiglie sono in costante evoluzione, che esistono nei fatti “specifiche formazioni sociali” di configurazione differente che esprimono legami d’affetto, solidarietà, amore che sono solidi, duraturi, consolidati; “formazioni sociali” che solo la normativa tarda a riconoscere mentre il contesto sociale, le comunità territoriali, le scuole, le altre famiglie, nella maggiorparte dei casi riconoscono, rapportando si ad esse sulla base del riconoscimento di quello che sono, famiglie.

Chi ha amici o amiche che vivono in coppia con persone dello stesso sesso, sa che sono persone anche con figlie e figli, che se ne prendono cura, che sono impegnati in meravigliose feste di compleanno, a condividere ricette di dolci e suggerimenti su come continuare a far finta che Babbo Natale esista, rimedi omeopatici per il raffreddore invernale e numeri di telefono di dentisti che riescano a curare i figli senza spaventarli. Persone che fanno famiglie. Uguali e diverse dalle altre, con le dinamiche tipiche delle famiglie.

Capita allora di restare sconvolti quando in una di queste famiglie succede “qualcosa” di imprevisto - una malattia, una separazione, un incidente – e i legami di fatto, quelli che riconosciamo come legami di fatto, non vengono tutelati come legami di diritto. Perché solo allora ci accorgiamo che queste famiglie sono diverse dalle nostre, meno tutelate, invisibili agli occhi della legge.

Di questo si occupa il disegno di legge Cirinnà. Mettere ordine, fare chiarezza, iniziare a riconoscere e tutelare nella legge realtà che esistono nei fatti.

Il testo della proposta di legge parla chiaro: “Il Capo I introduce ex novo nel nostro ordinamento l’istituto dell’unione civile tra persone dello stesso sesso quale specifica formazione sociale, ai sensi dell’art. 2 della Costituzione. Il Capo 2 reca invece una disciplina della convivenza di fatto, sia eterosessuale che omossessuale, orientata essenzialmente a recepire nell’ordinamento legislativo le evoluzioni giurisprudenziali già consolidate nell’ambito dei diritti e dei doveri delle coppie conviventi”.

Si parla di diritti e doveri di reciproca assistenza e contribuzione ai bisogni comuni, di diritti di successione, di diritto a permanere nella casa comune e di successione nel contratto di locazione, di estensione alle coppie di fatto della facoltà di godere, a parità di condizioni, di titolarità all’accesso alle graduatorie per l’assegnazione degli alloggi di edilizia popolare, di obbligo di mantenimento alimentare in caso di cessazione della convivenza di fatto, di riconoscimento del lavoratore convivente che presti stabilmente opera nell’impresa dell’altro come se fosse un collaboratore familiare, di possibilità di essere nominati tutori del proprio convivente in caso di inabilità, di parificazione dei diritti del convivente a quelli del coniuge superstite nel caso di risarcimento danni procurati dalla morte del convivente di fatto, di regime patrimoniale della coppia, cause di nullità e annullamento. 

E certo, si parla anche di permettere alla parte dell’unione civile di ricorrere all’adozione non legittimante nei confronti del figlio naturale dell’altra parte. La stepchild adoption, l’adozione del “figliastro” - ovvero la possibilità di adottare figli che già esistono, hanno già un legame affettivo con le persone che considerano i propri genitori, ma sono legalmente riconosciuti – e riconoscibili – solo da uno di loro. 

Un’adozione, peraltro, limitata - per questo “non legittimante” - perché sancisce il legame solo tra adottato e adottante e non con tutta la linea parentale dell’adottante come previsto nell’adozione classica. Figli e figliastri insomma: i nonni e gli zii di fatto, per dirla chiara, continueranno a non esserlo di diritto nei confronti dei propri nipoti.

La proposta di legge in discussione è una proposta al minimo, insomma, che distingue tra unioni civili e matrimonio, che parla di “specifiche formazioni sociali” per non urtare sensibilità e che rappresenta un punto di partenza, proprio per non continuare a essere gli ultimi degli ultimi sui diritti civili in Europa, e nel mondo.

Un disegno di legge che non contiene alcun riferimento alla gestazione per altri, che è e rimane illegale nel nostro paese. Questione senza dubbio importante, e che merita una riflessione approfondita – su inGenere abbiamo iniziato a parlarne da tempo – ma che di fatto è fuori dal dibattito in corso in Parlamento. Va ricordato, infine, che la gestazione per altri, rappresenta attualmente l'unica via per accedere alla genitorialità per le coppie composte da uomini. Forse proprio chi la teme tanto dovrebbe preoccuparsi delle alternative, e spingere per una legge che renda le adozioni meno difficili per tutti.