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In crisi ma pronte ad affrontare il cambiamento

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Imprese in crisi ma pronte a sperimentare cambiamenti organizzativi e tecnologici importanti, famiglie sempre più piccole, contrazione dei flussi migratori, meno matrimoni e più separazioni, nascite in calo. È il ritratto dell'Italia post pandemia restituito dall'ultimo rapporto annuale presentato oggi dall'Istat.

Una crisi che per le donne soprattutto ha avuto un prezzo più alto rispetto al resto d’Europa, dice il rapporto. Le occupate sono infatti diminuite di circa 376mila unità nel 2020 (-3,8% rispetto al 2019), a fronte di un impatto di genere mediamente più omogeneo nelle principali economie dell’Ue27. E nel 2021, nonostante una ripresa più favorevole per le donne, il tasso di occupazione femminile non ha ancora recuperato, in media annuale, i livelli del 2019, rimanendo sotto la soglia del 50% (al 49,4% per la precisione).

Lavoratrici under35 le più precarie

Sono le donne, i giovani under35, i residenti nel mezzogiorno e gli stranieri i soggetti più fragili, insieme ai portatori di disabilità e ai loro familiari. Basta pensare che sono lavoratori precari il 39,7% degli occupati under35, il 34,3% dei lavoratori stranieri, il 28,4% delle lavoratrici, il 24,9% degli occupati con licenza media e il 28,1% dei lavoratori che risiedono a Sud. L'intersezione tra queste caratteristiche aggrava le condizioni nel mercato del lavoro: il 47,2% dei lavoratori precari è una donna che ha meno di 35 anni, il 41,8% è straniera.

Non è un caso se donne, giovani e residenti stranieri sono ampiamente sotto-rappresentati nella conduzione delle imprese con almeno 3 addetti. Nel 2019 le donne dirigevano meno del 23% delle imprese pur essendo il 37,9% degli addetti; gli stranieri il 5,9% pur essendo il 12,9% degli addetti, e i giovani il 7,8% ed erano il 27,8% tra gli addetti. 

Giovani imprenditrici crescono

A questo si aggiunge che donne, giovani e stranieri sono invece più presenti nella conduzione delle piccole imprese e nei settori dei servizi che sono stati più colpiti dalla crisi: tra le imprese con 3-9 addetti quelle attive nei servizi di alloggio e ristorazione, amministrativi, ricreativi e alle famiglie sono il 26,5% ma il 38,6% tra quelle a conduzione femminile e il 45,7% se dirette da giovani. 

Le giovani imprenditrici sono state anche quelle che hanno fatto scelte strategiche più proattive e si sono avvalse di livelli di istruzione più alti, entrambi fattori fondamentali per la tenuta e lo sviluppo delle microimprese in un periodo così difficile. 

Famiglie che cambiano

Sono aumentate le famiglie ma si è ridotto il numero dei componenti, dice il rapporto: al centro-nord le coppie con figli non rappresentano più il modello familiare prevalente, superate dalle persone che vivono sole. E la maternità diventa sempre più un desiderio da lasciare in fondo alla lista: aumenta di oltre due anni rispetto al 1995 l’età media al parto, che nel 2020 arriva a 32,2 anni. Mentre cresce in misura ancora più marcata, di oltre tre anni, l’età media delle madri alla nascita del primo figlio, che raggiunge i 31,4 anni.

Nel 2021 il numero medio di figli per donna è ancora di 1,25 - lo stesso del 2001 - ma continua la tendenza al rinvio e alla diminuzione dei matrimoni. Sale l'età media - 34,1 per gli uomini e 32,0 per le donne, e nel 2021 si sono celebrati 141.141 primi matrimoni, il 78,8% del totale (-3,4% rispetto al 2019 e quasi il 20% in meno del 2011). E le coppie sono sempre più instabili: i dati provvisori sul 2021 parlano di separazioni che in un anno sono cresciute del 22,4%, di divorzi aumentati del 24,5%. Rispettivamente il 10,1% e il 54,3% in più del 2011. 

Sono più vecchie inoltre le coppie che scelgono il matrimonio. I giovani scelgono le libere unioni, le coppie non sposate con figli aumentano: dal 38,6% dell’inizio del millennio al 50,4%. E oggi, sempre più spesso, le donne nella coppia hanno un titolo di studio universitario, nel 17,6% dei casi, rispetto al 7,2 di vent'anni fa.

Donne straniere e ucraine

Nella popolazione di origine straniera il rapporto tra i sessi è di 95 donne ogni 100 uomini, ma il bilanciamento generale cela forti squilibri di genere: nelle comunità ucraine e russe, ad esempio la componente femminile supera il 75% della presenza totale. Alcune collettività, come quelle del Bangladesh, egiziana e pakistana, risultano invece sbilanciate al maschile e la percentuale di donne si aggira tra il 28 e il 34%. 

Gli ucraini presenti in Italia al 1 gennaio 2021 sono 236mila e rappresentano la quinta collettività per numero di residenti (il 4,6% di tutti gli stranieri), spiega il rapporto. Sono invece circa 30mila quelli che hanno acquisito la cittadinanza italiana. Ma la stabilizzazione della presenza ucraina non si è accompagnata a un riequilibro dei rapporti di genere, le donne sono ancora il 77,6% dei residenti.

Quanto alle migrazioni dovute alla guerra, Istat riporta i dati del Ministero dell’Interno aggiornati all’11 giugno 2022: sono 132.129 le persone in fuga dal conflitto in Ucraina giunte da febbraio in Italia, soprattutto donne (69.493) e minori (42.455). Gli uomini sono 20.181.

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