Politiche

L'Inps ha emanato la circolare che fornisce le indicazioni per poter richiedere il reddito di libertà per uscire da relazioni violente. Una misura già adottata nel Lazio, e che, con tutti i limiti del caso, rappresenta un passo importante per il riconoscimento dell'indipendenza economica delle donne

A cosa serve il
reddito di libertà

7 min lettura
Foto: Unsplash/ DESIGNECOLOGIST

Quando si parla di violenza domestica si tende a non considerare la violenza economica come una vera e propria forma di violenza. Eppure, la Convenzione di Istanbul all’art.3 riconosce la violenza economica – consistente in tutte quelle condotte dirette a limitare o a negare l’indipendenza economica di una donna e a comprometterne l’autosufficienza – come una forma di violazione dei diritti umani e di discriminazione. 

La violenza economica può manifestarsi in diversi modi: l’impossibilità di accedere ai conti o ai redditi familiari, l’impedimento nella ricerca di un lavoro o del mantenimento dello stesso, l’impossibilità di gestire i propri redditi o la difficoltà a iniziare o proseguire gli studi.

Spesso, il controllo economico-finanziario viene agito dal partner abusante come tattica per convincere la vittima a restare o a tornare con lui. Altre volte, è l’assenza di risorse e sicurezze economiche che induce la vittima a non denunciare le violenze subite per la difficoltà di provvedere a sé e ai propri figli.

Con la pandemia sono peggiorate le condizioni economiche, lavorative e relazionali per molte donne e aumentati i casi di violenza domestica. Il lockdown e le misure di distanziamento sociale disposti per ridurre la diffusione dell’infezione hanno portato all’aumento dei casi di violenza e hanno contribuito ad aumentare ulteriormente l’isolamento delle donne e la difficoltà ad attivare reti di supporto per uscire dalla violenza.

Secondo i dati Istat, nel periodo compreso tra il 1 marzo e il 16 aprile 2020 c’è stato un aumento del 73% dei casi di violenza domestica rispetto allo stesso periodo dell’anno 2019, con un aumento del 59% delle vittime che hanno chiesto aiuto rispetto all’anno 2019.

Nel 2020, gli omicidi volontari ai danni delle donne sono stati 116 (5 in più rispetto al 2019), mentre nel periodo 1 gennaio - 19 settembre 2021, secondo i dati del Dipartimento di Pubblica sicurezza, dei 206 omicidi registrati, 86 vittime sono donne, di cui 73 uccise in ambito affettivo-familiare.

Un lavoro essenziale nel periodo di lockdown è stato svolto dai centri antiviolenza, i quali si sono organizzati per continuare a fornire i propri servizi di supporto e assistenza, anche legale e psicologica, alle donne, pur lavorando prevalentemente da remoto e con tutte le difficoltà economico-logistiche connesse al fine di gestire e consentire i colloqui in sicurezza.

In questo contesto di eccezionale gravità si inserisce l’adozione del Dpcm del 17 dicembre 2020, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 20 luglio 2021, con il quale è stato istituito il 'reddito di libertà' per le donne vittime di violenza. Il provvedimento prevede lo stanziamento di 3 milioni di euro nella legge di Bilancio destinati all’erogazione di un sostegno economico, cumulabile con il reddito di cittadinanza, di 400 euro mensili, erogabili fino al massimo di 12 mensilità.

Il contributo economico viene destinato alle donne vittime di violenza, sole o con figli minori, seguite nei percorsi di fuoriuscita dalla violenza dai centri antiviolenza accreditati dalle regioni e dai servizi sociali, al fine di contribuire a sostenerne l’autonomia.

Il reddito di libertà viene riconosciuto solo su istanza di parte alle donne che hanno subito violenza e si trovino in condizioni di particolare vulnerabilità o di povertà, per favorirne l'indipendenza economica, la cui condizione di bisogno straordinaria o urgente viene dichiarata dal servizio sociale territorialmente competente.

La domanda va presentata all’Inps, che erogherà il contributo entro i limiti delle risorse assegnate a ciascuna regione, unitamente alla dichiarazione firmata dal rappresentante legale del centro antiviolenza presso il quale la donna ha intrapreso il percorso personalizzato di autonomia, e alla dichiarazione del servizio sociale di riferimento, attestante lo stato di bisogno legato alla situazione straordinaria o urgente.

Con la circolare n.166, emanata dall’Inps l'8 novembre scorso, si forniscono le indicazioni operative per poterne fare richiesta, tramite il modello di domanda predisposto dall’istituto previdenziale da presentare secondo le modalità illustrate, al fine di consentire concretamente ai centri antiviolenza di attivare i progetti con le donne e avviare il dialogo con tutti i soggetti coinvolti per accertare la sussistenza dei requisiti per l’erogazione del sussidio (Inps) e certificare il reale stato di fragilità della donna (servizi sociali).

Prima dell’entrata in vigore del provvedimento governativo che introduce il reddito di libertà, in Italia non esistevano tutele economiche assistenziali immediate e concrete per le donne maltrattate prive di risorse economiche, si tratta di un elemento indispensabile per maturare la decisione di allontanarsi dal contesto relazionale/familiare abusante e intraprendere un percorso di emancipazione dal partner violento.

In realtà, è importante precisare che il provvedimento nazionale è successivo a un intervento legislativo di livello territoriale: infatti, grazie all’attivismo e all’impegno di diversi gruppi di donne, tra cui la rivista inGenere, nel 2018 la Regione Lazio si è fatta promotrice di un pacchetto di misure, soprattutto economiche, per il contrasto e la prevenzione della violenza sulle donne e il sostegno dei centri antiviolenza, a dimostrazione di quanto sia importante il ruolo svolto dagli enti del terzo settore nel nostro paese, sia come stimolo all’agenda politica che come contributo e impulso alla normazione.

La novità più importante della misura regionale è stata proprio l’istituzione di un contributo di libertà per la fuoriuscita delle donne dalla violenza, al fine di sostenerne l’autonomia e, soprattutto, i costi legati a un percorso di fuoriuscita dalla violenza, e da cui il provvedimento nazionale ne ha conservato la denominazione.

Nonostante i fondi destinati a finanziare la misura reddituale di sostegno a livello nazionale siano limitati, sono diversi i segnali positivi che si possono cogliere dalla previsione nell’ordinamento italiano di un sostegno economico concreto che consenta alle donne in difficoltà di intraprendere percorsi di libertà e di autonomia. In Spagna, per fare un esempio, l’adozione di concrete misure economiche a favore delle donne vittime di violenza risalgono al 2004

Innanzitutto, c’è il riconoscimento esplicito che la violenza agisce su più fronti, quello fisico, psicologico, ma anche economico, e che, sebbene poco conosciuto e conoscibile e, di conseguenza, denunciabile, è un fenomeno grave che non può essere considerato normale.

Inoltre, la disponibilità di risorse economiche per donne che si trovano in situazioni di violenza rappresenta il primo passo verso l’uscita dalla violenza domestica.

È necessario, perciò, che le donne e le ragazze, ma anche le figure professionali chiamate a intercettare casi di violenza, siano sensibilizzate, informate e formate verso una maggiore consapevolezza dell’importanza dell’indipendenza economica e dell’autodeterminazione, così come sui diritti, anche economici, spesso considerati “estranei” rispetto ai rapporti di coppia, e su come tutelarli dagli abusi.

Oltre alla prevenzione, necessaria per favorire un cambiamento culturale delle società in cui viviamo ma che, purtroppo, non produce effetti immediati, la previsione di forme di aiuto economico concrete rappresenta un tassello importante verso la protezione delle donne dalla violenza, poiché intervengono in una fase precedente a quella emergenziale e contribuiscono a interrompere la spirale della violenza o, nella migliore delle ipotesi, a evitarla.

In secondo luogo, viene formalmente attribuito un ruolo centrale ai centri antiviolenza. Questi centri sono strutture gestite prevalentemente e mediante l’impiego di risorse proprie da associazioni non profit costituite da donne nelle quali le vittime di violenza, di maltrattamenti e di ogni altra forma di discriminazione vengono accolte a titolo gratuito da professioniste specializzate nella lotta alla violenza e nelle questioni di genere.

Le professioniste, sulla base dei bisogni emersi e attraverso colloqui preliminari svolti congiuntamente con avvocate e psicologhe, elaborano progetti personalizzati di fuoriuscita dalla violenza finalizzati all’indipendenza e all’autonomia, anche attraverso il collegamento con tutte le strutture territoriali (strutture ospedaliere, servizi sociali, servizi scolastici, case rifugio e di semiautonomia, procure, questure) in grado di fornire un supporto reale verso la vita e la libertà.

Infine, è proprio la necessaria attivazione della rete territoriale di riferimento che assume rilevanza nel provvedimento istitutivo del reddito di libertà. Vale a dire il ruolo sinergico, collaborativo e indispensabile del centro antiviolenza che prende in carico la donna mediante la costruzione di un progetto di autodeterminazione ad hoc, l’Inps che raccoglie la richiesta di aiuto economico e i servizi sociali che ne accertano lo stato di bisogno reale.

Leggi anche

Perché il reddito di libertà non basta

Un sostegno economico per le donne che escono dalla violenza

Nel Lazio un sostegno economico per uscire dalla violenza

Libere di andare via, misure economiche per le vittime