Il gender pay gap
tra pubblico e privato

Le differenze salariali di genere sono molto più marcate nel settore privato rispetto a quello pubblico. Se in quest'ultimo il gender pay gap è di 270 euro nel primo la discrepanza sale a ben 440 euro. Numeri da tenere in dovuta considerazione visto che, con la crisi, per le donne è sempre più difficile lavoro nel pubblico impiego
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La drastica e perdurante riduzione di assunzioni pubbliche fa sì che sempre meno giovani qualificati possano trovare uno sbocco occupazionale dovendo guardare al privato o all’estero. Le implicazioni per le donne, e in particolare quelle con maggiori qualifiche, sono ancora più forti. Un nostro precedente studio ha messo in luce che le donne che lavorano nel settore pubblico sono meglio posizionate in termini professionali rispetto alle colleghe che lavorano nel privato e con maggiori probabilità riescono a ricoprire, soprattutto se altamente scolarizzate, delle posizioni dirigenziali e a svolgere mansioni di tipo high skill. Un articolo (1) scritto da Solera e Bettio sulle donne italiane nate tra il 1945 e il 1974 evidenzia come il pubblico impiego, associato ad elevati livelli di istruzione, oltre a garantire alle donne posizioni di vantaggio sul mercato del lavoro, funge da surrogato alle politiche di conciliazione vita-lavoro e consente alle donne di divenire madri con maggior probabilità. Nello stesso articolo viene anche mostrata a partire dai primi anni duemila un’inversione di tendenza nelle retribuzioni femminili: nel 2004, l'ultimo anno di analisi, le retribuzioni annue nel settore pubblico hanno superato quelle del settore privato.
Da queste evidenze abbiamo deciso di approfondire l’analisi affrontando il tema del gap reddituale guardando alle retribuzioni: quali sono le differenze in termini retributivi tra uomini e donne rispetto al settore di attività economica? Dove è più marcato il gender pay gap? L’investimento in istruzione garantisce egualmente redditi più elevati sia che si lavori nel pubblico sia che si lavori nel privato? L’età e la correlata esperienza professionale sono remunerate analogamente nei due settori?
Dare risposta a queste domande non è semplice anche in considerazione delle limitate fonti dati che consentono di studiare i redditi da lavoro (sia dei lavoratori dipendenti ma soprattutto degli autonomi) distinguendo le informazioni rispetto al settore di appartenenza. Attingendo alla banca dati Isfol relativa alla III indagine sulla Qualità del Lavoro (2) siamo riuscite tuttavia a rispondere ad alcune delle domande e a rilevare le peculiarità italiane spesso “stupefacenti”. La prima evidenza, per alcuni versi inaspettata perché opposta al senso comune, riguarda le differenze nelle retribuzioni tra pubblico e privato: in media nel pubblico si guadagna più che nel privato - sia per gli uomini sia per le donne (Figura 1). A ciò ci si associa anche un minore differenziale di reddito tra i due sessi; le donne, come atteso, guadagnano sempre meno degli uomini ma il differenziale nel privato è molto più accentuato (in termini assoluti la differenza media tra le retribuzione degli uomini e quelle delle donne è nel pubblico pari a 272 euro e nel privato di 442 euro).
Fig. 1 - Reddito mensile netto da lavoro per genere e settore, anno 2010. In verde è segnata la differenza (3)
Fonte: elaborazioni su dati Isfol – III indagine QDL, anno 2010
All’aumentare dell’età il differenziale di genere aumenta e raggiunge il massimo nel caso delle donne con più di 55 anni che lavorano nel privato (Figura 3). Contestualmente si osserva che per gli uomini all’aumentare dell’età il privato remunera di più che il pubblico mentre, per le donne, qualsiasi sia l’età, per guadagnare di più conviene lavorare nel pubblico (Figura 2).
Figura 2 - Differenze assolute tra settore pubblico e privato dei reddito mensile netto da lavoro per genere e classe di età, anno 2010.
(Ogni colonna rappresenta la differenza tra salario pubblico e privato per ogni classe di età considerata e del genere)

(Ogni colonna rappresenta il salario degli uomini meno quelle delle donne, all’interno di classe di età considerata e del settore)
Fonte: elaborazioni su dati Isfol – III indagine QDL, anno 2010
L’analisi secondo il titolo di studio fa emergere da un lato che l’investimento in capitale umano, nonostante permetta rendimenti economici nettamente più alti, amplifica i differenziali retributivi di genere: più il livello di istruzione è elevato più la distanza tra i redditi delle donne e quelli degli uomini cresce (Tavola 1). Dall’altro si evidenziamo situazioni ben distinte tra pubblico e privato. Se si lavora nel pubblico si assiste ad una evidente riduzione del differenziale di genere, ciò soprattutto per gli occupati diplomati. Inoltre, mentre per la componente maschile dell’occupazione solo i titoli di studio bassi hanno una convenienza in termini economici a lavorare nel pubblico, per le donne, qualsiasi sia il titolo di studio, il settore pubblico garantisce guadagni maggiori o pressoché uguali al privato (l’unico saldo negativo tra pubblico e privato si ottiene per le donne laureate ma è di solo 26 euro). Le donne diplomate registrano la minore penalizzazione, rispetto ai loro colleghi, nel pubblico con 146 euro in meno, mentre nel privato la differenza salariale rispetto ai colleghi è di circa 500 euro.
Tav. 1 - Reddito mensile netto da lavoro medio per genere, settore di attività e titolo di studio, anno 2010

Infine, se si analizzano i livelli retributivi in base alla tipologia di qualificazione, ovvero il livello professionale associato al lavoro, si evidenzia che le professioni high skill (4) sono, nel nostro paese, remunerate in media più nel settore privato (in media un uomo dirigente o imprenditore guadagna nel privato 2.619 euro netti mensili mentre nel pubblico il valore è pari a 2.349 euro; per le donne i redditi netti medi sono invece rispettivamente 2.040 euro e 1.801 euro). Inoltre, il tetto di cristallo che ostacola le donne nello svolgimento di lavori high skill è “ispessito” in considerazione del fatto che le poche donne che riescono a svolgere questa tipologia di lavori hanno comunque un reddito nettamente più basso degli uomini, ciò sia nel pubblico e nel privato.
Figura 4 - Reddito mensile netto da lavoro per genere e settore di attività e gruppo professionale, anno 2010
Figura 5 - Differenze assolute tra uomini e donne nel reddito mensile netto da lavoro per settore di attività e gruppo professionale, anno 2010

Fonte: elaborazioni su dati Isfol – III indagine QDL, anno 2010
In conclusione, il settore privato sembra maggiormente penalizzante sia in termini di chance occupazionali che di livello retributivo. Per le donne sembrerebbe dunque poco conveniente, in termini comparativi con il settore pubblico ma anche in termini di equità di genere, cercare occupazione o lavorare nel settore privato. Ciò probabilmente dipende da logiche diverse cui risponde il settore privato ma anche da dinamiche di reclutamento meno soggette a vincoli e meno obiettive. Forse un maggiore sforzo di lucidità e neutralità di genere nelle assunzioni, così come nella determinazione dei livelli retributivi e nelle possibilità di promozione professionale, ridurrebbe la seppure (ci auguriamo) inconscia propensione ad escludere le donna competenti dal settore privato o remunerarle non equamente rispetto agli uomini.
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Note
(1) Solera C. e Bettio F. (2013), Women's Continuous Careers in Italy: The Education and Public Sector Divide, Population Review, Volume 52, Number 1
(2) L'indagine è stata condotta nel 2010 su un campione di cinquemila lavoratori, rappresentativo della popolazione occupata in Italia. Cfr. Gualtieri V. (a cura di) (2013), Le dimensioni della qualità del lavoro. I risultati della III indagine Isfol sulla Qualità del Lavoro, I libri del Fondo Sociale Europeo n. 183, Isfol editore
(3) Nell’indagine sulla Qualità del Lavoro il reddito netto mensile è rilevato tramite il seguente quesito: “Mi può dire a quanto ammonta la sua retribuzione/guadagno mensile al netto di tasse e contributi (calcolare la media mensile tenendo conto eventualmente di 13a, 14a mensilità, assegni familiari e buoni pasto)?
(4) Seguendo la classificazione delle professioni CP2001 dell’Istat al primo digit, nella categoria “professioni high skill” rientrano le professioni 1 e 2 (legislatori, drigenti e imprenditori).