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Nell'estremo tentativo di bloccare la pillola abortiva, il governo sconfina in terreni non suoi. Ultimo terreno di scontro, il ricovero coatto. Una disposizione paradossale, che ignora i dati di fatto: nel 91,2% dei casi di aborto chirurgico la donna sta in ospedale meno di un giorno

Invasione di campo
sulla RU486

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RU 486: quando il potere normativo si macchia di esercizio abusivo della professione medica.…sotto sotto c’è una donna

Recentemente si è scritta un’altra pagina, ma non l’ultima, della penosa vicenda sulla commercializzazione della pillola abortiva RU486 anche in Italia, ultimo paese europeo a consentirlo se si escludono gli stati in cui l’aborto è vietato (Irlanda, Malta e Polonia). Vicenda emblematica di come il potere normativo (parlamento e governo) si abbandoni all’irresistibile tentazione di attribuirsi gli spazi decisionali di altri soggetti e poteri, con particolare riferimento ai giudici, ai medici, agli organi terzi, ma anche e soprattutto ai soggetti in carne ed ossa. I veri soggetti dell’ordinamento, i singoli individui, non possono infatti che essere coinvolti, se non travolti, dai sempre più audaci tentativi dei parlamentari di assurgere agli occhi dell'opinione pubblica come i decisori della vita e della morte di tutti.

È sulla nostra vita e sulla nostra morte, difatti, che si gioca, sotto l’etichetta di bioetica, la sorte dei diritti costituzionali. In particolare dei diritti coinvolti, non solo dal desiderio di non maternità (RU486), ma anche dall'opposto desiderio di genitorialità (fecondazione assistita), fino a incidere sulle forme di una morte soggettivamente dignitosa (rianimazione obbligatoria per i grandi prematuri e testamento biologico). Queste questioni, dal punto di vista costituzionale, devono essere ricondotte all’interpretazione da dare alla lettura congiunta in particolare degli artt. 2, 13 e 32 della Costituzione. Si tratta degli articoli che fondano una concezione dell’essere umano e della vita consociata incentrata sulla indissolubilità della integrità psicofisica della persona e della sua essenzialità (art. 13) per lo svolgimento della personalità (art. 2) o comunque per lo meno per il «rispetto della persona umana» (art. 32).

Sin da subito ci si rese conto che l’avanzamento delle tecniche scientifiche, che in teoria potrebbero ampliare le forme di sovranità sui nostri corpi, presentava al tempo stesso una ghiotta occasione per un legislatore in crisi di minare l’inviolabilità di una sfera di autodeterminazione costituzionalmente protetta. E, infatti, in tutte queste vicende – come è stato già scritto da altre giuriste - il legislatore ha tentato di sostituirsi alla scienza, ha voluto farsi medico, ha cercato di interferire nell’attività di natura tecnico-scientifica di un organo terzo. In tutte sono aggrediti i nostri diritti costituzionali, la nostra quota di sovranità popolare.

Tale operazione finisce peraltro per travolgere la relazione tra i sessi, per ridurre drasticamente la dimensione relazionale tra le donne e i loro corpi, fecondati o meno, tra la madre e i propri figli, tra i genitori con i figli, tra il medico e il paziente, trasformando la medicina e la scienza da strumento per il pieno godimento della libertà personale e dello sviluppo della personalità in luogo e spazio delle convinzioni etiche prescelte e predefinite dal legislatore.

Dopo il clamore suscitato dalla delibera del 30 luglio scorso con cui l'Agenzia italiana per il farmaco - AIFA – dava avvio alla procedura di immissione in commercio della pillola RU486 che consente l'aborto farmacologico come alternativa a quello chirurgico, il legislatore non ha resistito alla tentazione di interferire. Il 22 settembre, infatti, la Commissione igiene e sanità del Senato ha avviato all'unanimità una indagine conoscitiva sulla procedura dell'aborto farmacologico, espressamente anche per una “valutazione della coerenza delle procedure proposte con la legislazione vigente; organizzazione dei percorsi clinici”. Il presidente della Commissione parlamentare, in una lettera indirizzata tempestivamente al presidente dell'AIFA, ha addirittura segnalato l'opportunità di tenere nella massima considerazione le valutazioni che sarebbero emerse a conclusione dell'indagine conoscitiva, invitando di fatto l'AIFA a interrompere la propria attività tecnico-scientifica.

Il Consiglio di amministrazione dell’AIFA il 30 settembre ha comunque approvato il verbale della delibera del 30 luglio e il 19 ottobre ha dato mandato al direttore generale per la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della Determinazione relativa l’autorizzazione all’immissione in commercio del farmaco.

Ma ancora una volta, il 23 novembre, il documento finale dell'indagine parlamentare ha irritualmente chiesto all’AIFA di fermare la procedura in attesa di un parere tecnico del ministero della Salute circa la compatibilità tra la legge n. 194 sull’interruzione di gravidanza e la RU486. Il ministro ha, quindi, invitato l'AIFA a valutare "se sia necessario riconsiderare la delibera" di luglio per "evitare ogni possibile contrasto con la legge 194". Espressamente il ministro si è assunto la responsabilità di sostenere che la pillola possa essere usata "solo se l'intera procedura abortiva, e fino all'accertamento dell'avvenuta espulsione dell'embrione, sia effettuata in regime di ricovero ordinario". Il ministro, in altre parole, ha chiesto di imporre la forma della degenza della durata di tre giorni, mentre la - comunque restrittiva (per la mancata commercializzazione nelle farmacie e per i tempi entro i quali assumere la pillola) - delibera dell'AIFA di luglio già prevedeva espressamente che per il ricorso all’aborto farmacologico "deve essere garantito il ricovero (…) dal momento dell'assunzione del farmaco sino alla verifica dell'espulsione del prodotto del concepimento". Si tratta di un diritto, che può essere esercitato nelle forme ritenute più opportune dalla donna in relazione alle indicazioni del medico; non di un obbligo, che sarebbe palesemente in contrasto con la Costituzione.

L’AIFA ha quindi chiuso la querelle in cui è stata inopportunamente coinvolta dall’invadente potere normativo, ribadendo il 30 novembre la compatibilità dell'utilizzo della RU 486 con la legge n. 194/78 e provvedendo alla pubblicazione della propria delibera.

Si tenga presente, inoltre, che i dati forniti il 29 luglio 2009 dalla Relazione dello stesso ministro della Salute sull’attuazione della legge n. 194 indicano per l’aborto farmacologico una prevalente prassi di ricovero in day hospital, prassi che non si discosta da quel 91.2% dei casi di interruzione chirurgica la cui durata della degenza è risultata essere inferiore alle 24 ore, con un solo 6.2% di casi in cui la donna è rimasta ricoverata per una notte. La famosa degenza di tre giorni, quindi, è frutto di una lettura fantasiosa della legge sull’aborto che, invece, parla di “eventuale degenza” relativa alla interruzione della gravidanza (art. 10 l. n. 194 del 1978). Eventuale perchè la decisione spetta alla donna nell’ambito del rapporto di cura e di fiducia con il proprio medico curante.

Qual è il problema? Chi si oppone alla commercializzazione della RU 486 ritiene «importante evidenziare come nell'interruzione chirurgica della gravidanza un ruolo centrale sia di fatto svolto dal medico (come confermato anche dalle disposizioni sull'obiezione di coscienza), che assume una funzione di vero e proprio co-autore nei confronti della donna; tale figura viene invece a mancare nell'aborto farmacologico, nel quale è la donna l'unica responsabile-artefice dell'interruzione di gravidanza» (da un'interpellanza alla Camera dei Deputati – 29/09/2009).

È l’autonomia delle donne che spaventa, autonomia che troverà sempre vie di fuga, anche se, con un legislatore di tal fatta, sempre più spesso saranno quelle pericolose di un aborto procurato, come dimostrano i dati sugli aborti clandestini e sugli aborti spontanei di dubbia origine.

Solo un rafforzamento dei presidi territoriali dedicati alla salute sessuale delle donne e alla genitorialità consapevole, come i consultori, anche attraverso l’affidamento a loro della distribuzione e della supervisione dell’assunzione della pillola abortiva, potrebbe più efficacemente raggiungere l’obiettivo di coniugare il progresso scientifico con l’autonomia delle donne.