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Riportare la materia al centro dei nostri discorsi è una questione che riguarda il piacere. Nel suo libro Allo scoperto, la teorica femminista americana Stacy Alaimo radica questa postura nella riscoperta della vulnerabilità come occasione storica per una connessione autentica, spericolata e rischiosa, con il mondo

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Allo scperto
Credits Melissa Smith, Tim Senden. Dispel, 2013

La materia deve tornare al centro delle nostre vite e dei nostri discorsi. Se vogliamo davvero superare gli orizzonti asfittici di un presente sempre più inadeguato a contenere le esistenze, è imparare a osservare la materia nella sua molteplice mutevolezza che potrà mostrarci come liberarci dalle gabbie culturali che ci opprimono.

In Allo scoperto. Politiche e piaceri ambientali in tempi postumani (Mimesis, 2024; a cura di Angela Balzano, traduzione di Laura Fontanella), la teorica femminista americana Stacy Alaimo radica questa postura nella riscoperta della vulnerabilità come occasione storica per una connessione autentica, per molti versi spericolata e rischiosa, con il mondo.

È “una questione che riguarda il piacere”, scrive Alaimo, Direttrice degli Studi universitari per l’Inglese all’Università dell’Oregon che da anni porta avanti una ricerca all’interno del nuovo materialismo femminista, integrando teoria critica e scienze umane ambientali, animali e oceaniche – all’intersezione tra arte, letteratura ed ecologia politica.

Qualche anno fa Donna Haraway lo chiamava staying with the trouble, Alaimo, che ha letto Haraway, Rosi Braidotti, Val Plumwood, Rachel Carson, Rebecca Solnit, Luce Irigaray e molte altre, parla di abitare il dissolvimento. “L’Antropocene non è il momento in cui si possono sistemare le cose” mette in chiaro all’inizio. “Rendersi conto che l’attività umana ha alterato il pianeta in una scala equivalente a un’era geologica, ci costringe a sfumare i confini di quell’assunto comune secondo cui il mondo esisterebbe come mero sfondo su cui far risaltare il soggetto umano”.

Niente di più lontano di cedere al richiamo risolutorio del catastrofismo maschilista. Al cuore dei saggi contenuti in questa raccolta, strati di un unico e multiforme discorso prismatico, c’è la consapevolezza che saper stare nelle cose mentre i loro confini si disfano, si disgregano “a causa di futuri sconosciuti, può corrispondere a una forma di impegno etico, generatosi a partire dalle pratiche ambientaliste e femministe”.

Che cosa c’entra il piacere con tutto questo? Se il mondo non è più uno sfondo ma diventa “un’agentività materiale” si creano le condizioni per quella che Alaimo definisce “trans-corporeità”, uno spazio di interconnessione che rende inscindibili carne e materia: non possiamo recidere i nostri corpi dal corpo del mondo e allo stesso tempo dobbiamo saperci situare in quella che di fatto è una non coincidenza. È qui che risiede la possibilità di un erotismo sovversivo. L’innesco è sempre la capacità di percepirsi e mettersi “a nudo” di fronte a tutto quello che non sappiamo: è la condizione prima, imprescindibile di qualsiasi desiderio. Di qualsiasi incontro.

Allo scoperto

Alaimo articola questa prospettiva in una ragnatela di rimandi a teoriche e artiste femministe, portando allo scoperto soprattutto un lavoro incessante di tessitura concettuale collettiva, l’impresa comune di superare l’idea di una natura essenzialmente separata da qualsivoglia concezione di cultura, l’immaginario della terra vuota come serbatoio inerme da colonizzare, le consolidate pretese patriarcali di neutralità avvalorate dalla scienza moderna, così come le nuove “mascolinità a base di carbonio” che negli anni più recenti hanno contribuito all’aggravarsi delle conseguenze del cambiamento climatico. 

Se da una parte il discorso si pone in continuità con il pensiero della tradizione ecofemminista, dall’altra sfocia in nuovi materialismi, accogliendo al suo interno tutte le declinazioni di una queerness che trova fondamento nei funzionamenti più intimi della materia, in modo affine e compatibile a quello delle “creature selvagge” di Jack Halberstam, e sfiorando, seppur non dichiaratamente, gli assunti di un panpsichismo contemporaneo caro a filosofe come Freya Mathews – che all’erotismo della materia intesa come soggettività munita di una sua propria psiche ha dedicato la sua intera ricerca.

Nel paesaggio che ne emerge, completamente contrapponibile a qualsiasi “petrotopia” (utopia del petrolio) – che Alaimo rintraccia nelle parole di Stephanie LeMenager come “l’ordinario paesaggio statunitense fatto di autostrade, sobborghi scarsamente popolati, negozi tutti in fila, aree di servizio con fast food e pompe di benzina, centri commerciali circondati da parcheggi a più livelli”, uno scenario generato dalla “incessante produzione di spazio” così cara a una cultura che si fonda sul potere seduttivo della plastica – l’arte assume un ruolo dirimente per le sorti non soltanto di un immaginario condiviso, ma anche e soprattutto di una transizione etica in grado di riformulare collocazioni geografiche e posizionamenti sentimentali. 

È solo attraverso la pratica corporea e artistica che la casa, i giardini, gli ecosistemi, il cyberspazio – quindi la realtà – possono farsi teatro di una “sperimentazione sensuale e ludica”, aperta all’imprevedibilità del divenire. 

Dalle opere multi e trans-specie di Patricia Johanson e Lynne Hull, ai piedistalli di ghiaccio di Kirsten Justesen, passando per le sculture di plastica nera di Pam Longobardi – e per le migliaia di corpi (umani) che hanno protestato nudi sulla neve o sulle spiagge, davanti alle foreste o lungo le strade del pianeta contro i soprusi culturali e politici che si sono susseguiti ai danni di tutto ciò che si discosta dall’ideale di maschio umano, bianco e benestante, sovraesposti nel loro essere incarnati e quindi disposti a interconnettersi con qualcosa di altro da sé – Alaimo intesse una costellazione di materia semiotica che funziona come una rete neurale di senso.

“Vivo nel ventre di una delle bestie più fameliche e meno sostenibili del mondo: non solo vivo negli Stati Uniti, ma nello specifico vivo in Texas” scrive a un certo punto. “Gli Stati Uniti, è cosa nota, ingurgitano più della quota di combustibili fossili di cui avrebbero bisogno. In Texas, in particolare, è davvero difficile ignorare le parodistiche modalità ipermascoline, per cui ogni cosa più è grande e dura, meglio è”.

Come nel caso dell’Exit Man di Joanna Zylinska, e della sua contro-apocalisse femminista, il punto in queste pagine è affinare lo sguardo per decolonizzarlo, recuperarne una intelligenza sensibile capace di “scendere, piuttosto che trascendere”, di intravedere le connessioni tra le nostre false credenze e gli esiti del surriscaldamento globale, il modo in cui trattiamo le cose e gli ecosistemi marini in burnout.

È la liquidità stessa degli oceani, per Alaimo, a invitarci all’immersione, a non mantenere le distanze, perché “la distanza non garantisce sempre una visione ottimale”. A volte per vedere le cose bisogna starci dentro. Solo così sarà possibile abitare la dissoluzione dei confini, dal cuore di una zona ibrida simile a quella in cui si trova la donna ritratta in una delle foto di Rhonda Zwillinger nel volume The Dispossessed – seduta “sotto la tettoia del suo posto auto; circondata da tutti quegli oggetti che, di solito, ritroviamo all’interno di una casa; il suo letto, il suo computer e così via”. Oggetti che invadono tutto lo spazio finché il confine tra interno ed esterno non esiste più.

Mentre l’antropocene si discioglie in un abisso acido, l’invito è quello a trovare immagini di cui innamorarsi seguendo un principio d’elezione, sequenze in movimento a cui fare da specchio, come quelle realizzate al microscopio da Nina Bednaršek, o i video in time-lapse di Melissa Smith e Tim Senden: ritratti di conchiglie antartiche che scompaiono fluttuando in profondità. Gusci disabitati, sopravvissuti alle proprie creature di carne e per questo custodi di un’assenza, pronti a suscitare in chi guarda una risposta incondizionata, a generare un legame emotivo simbiotico.

Stacy Alaimo, Allo scoperto. Politiche e piaceri ambientali in tempi postumani, Mimesis, 2024