Per produrre cure efficaci è necessario che la ricerca biomedica prenda in considerazione le differenze biologiche dei sessi e le differenza culturali dei generi. Vanno ripensati i criteri di sperimentazione per ottimizzare le risorse e tutelare le persone. Ci sono buone notizie
Per molto tempo la ricerca biomedica è stata incentrata su un soggetto ideale - maschio, bianco, occidentale, di 75kg - e ha trascurato caratteristiche di genere e sesso. Trattamenti a misura del modello maschile dominante sono stati estesi indiscriminatamente a tutti i gruppi sociali, e l’attività di ricerca ha largamente ignorato specificità e particolarità degli altri gruppi: donne, anziani e non-bianchi. Questo modello a “taglia unica” è stato duramente messo in discussione e non può più essere considerato “buona scienza”.
Le specificità di cui sopra includono differenze di sesso ma anche di genere. Le prime sono legate a fattori biologici come geni, cromosomi, fisiologia e anatomia e agiscono a livello di base (geni) in farmacologia, nella ricerca medica, nel trattamento clinico e nella prevenzione. Le differenze di genere derivano, invece, dai processi socio-culturali che regolano il divenire uomo e donna in una data società. Prendere in considerazione sia il sesso che i cosiddetti ‘ruoli di genere’ è dunque fondamentale per comprendere esiti differenziati per uomini e donne in tema di salute.
L’approccio "a taglia unica" ha avuto ripercussioni negative sulla salute umana favorendo cure sanitarie inadeguate con esiti insoddisfacenti. Un esempio lampante sono gli effetti collaterali sulle donne di farmaci testati solamente sugli uomini. Su dieci farmaci ritirati dal commercio ben otto avevano effetti nocivi sulle donne. Anche la ricerca sugli animali non è esente da queste critiche: è strano, infatti, che molte delle malattie che colpiscono prevalentemente le donne, come ad esempio l’artrite reumatoide, vengano studiate solo su topi maschi!
Negli ultimi decenni la conoscenza dei fattori biologici (sesso) e socio culturali (genere) che influenzano salute e assistenza sanitaria per uomini e donne ha fatto progressi significativi, venendo di fatto a definire un campo scientifico innovativo noto come “medicina di genere”. Questa nuova area di ricerca punta ad integrare i fattori di sesso e quelli di genere nella ricerca biomedica, nella pratica clinica e nell’assistenza sanitaria. Le aspettative sono alte: che il riconoscere le differenze di genere conduca a farmaci e trattamenti innovativi; che questa nuova branca della medicina sradichi quegli stereotipi di genere che impediscono una prevenzione adeguata; che, infine, non vengano trascurati i maschi quando una patologia viene stereotipata come femminile (osteoporosi), e viceversa (malattie coronariche).
Una buona notizia è che nel giugno 2010 è stato pubblicato sull’influente giornale di biomedicina Nature un editoriale sul persistere di pregiudizi sessuali nella ricerca clinico-biomedica e in quella di base, nonché sugli esisti negativi che ne sono derivati per la salute umana. Tali pregiudizi si sostanziano nella mancata analisi delle differenze legate al sesso o nella tendenza ad escludere dalla ricerca clinica i soggetti femminili - esclusione che diventa totale nel caso delle donne in gravidanza. Analoghi pregiudizi si trasferiscono alla ricerca sugli animali in quanto le femmine sono scarsamente utilizzate nella fase di sviluppo e messa a punto di numerosi trattamenti.
La necessità di ovviare alle distorsioni della medicina tradizionale è diventata ancora più stringente da quando la ricerca scientifica ha scoperto che molte delle dimensioni legate al sesso contano per l’insorgenza, i sintomi e la probabilità di contrarre alcune malattie. Nella visione tradizionale il sesso è inteso come l’insieme delle caratteristiche biologiche che distinguono la donna dall’uomo. Tutto ruota attorno all’assunto che negli esseri umani le differenze sessuali (gli organi riproduttivi, la corporatura e la costituzione, i diversi livelli ormonali in circolo nel corpo, ecc.) derivino da differenze cromosomiche poichè la donna ha due cromosomi X e il maschio uno X e uno Y. Ma mentre il pensiero dominante ha visto negli uomini e nelle donne due (soli) gruppi interamente definiti sul piano biologico, la variazione biologica nella composizione dei cromosomi è ormai una realtà.
La ricerca femminista è andata oltre, denunciando come sesso e genere siano spesso usati in modo intercambiabile e come nella ricerca biomedica e sanitaria ‘ortodossa’ (mainstream) il significato di genere sia tutt’uno con il significato di sesso. Ciò ha fatto sì che nell’attività di ricerca il contesto sociale di genere sia stato trascurato a favore dell’assunto che la diversità di esiti in tema di salute derivi essenzialmente dalle differenze biologiche tra uomini e donne. La ricerca femminista ha dimostrato che le analisi basate sul sesso non permettono di comprendere appieno le differenze tra uomini e donne su salute e malattie. L’introduzione del concetto di genere ha permesso di indirizzare l’attenzione dei ricercatori su come le vite e la salute di uomini e donne siano modellate da relazioni di genere multiple e diseguali fornendo, in questo modo, un contributo essenziale alla spiegazione delle differenze sessuali di varie malattie. L’introduzione del concetto di genere nella ricerca biomedica richiede l’adozione di un nuovo paradigma di ricerca, basato su una definizione alternativa di corpo biologico e capace di prendere in considerazione le complesse interazioni con il contesto sociale che lo modellano. L’osteoporosi è un buon esempio in merito: attualmente la differenza di massa ossea tra uomini e donne non è più vista come il mero prodotto di differenze di sesso bensì come l’esito congiunto di fattori biologici e altri fattori strettamente legati al genere, come l’attività fisica, il cibo e lo stile di vita.
Un’analisi di genere, dunque, allarga lo sguardo permettendo una più ampia comprensione dei meccanismi che diversificano i sintomi, i risultati e le reazioni alle malattie, con il vantaggio di incoraggiare trattamenti accurati e mirati. Il genere opera a vari livelli: individuale, istituzionale e politico, modellando i comportamenti di uomini e donne e la loro esposizione alle malattie.
Il genere, quindi, non è qualcosa che si ha, ma qualcosa che si agisce, e i concetti di maschile e femminile acquistano particolare rilevanza quando si pensa al sistema sanitario. I comportamenti riguardanti la salute sono modi di “fare genere”. La cura della salute e la prevenzione sono generalmente etichettati come comportamenti femminili e come tali sono spesso evitati dagli uomini nel tentativo di non compromettere la propria mascolinità. Ciò si trasforma spesso in atteggiamenti a rischio (posporre una visita dal dottore fin quando i sintomi non sono evidenti, abuso di alcol) per la paura di essere etichettati come femmine.
La sfida attuale nella biomedicina è di andare oltre la critica all’impostazione tradizionale per fornire ai ricercatori strumenti concettuali e pratici in grado di inglobare la dimensione sessuale e quella di genere nei programmi di ricerca biomedica e sanitaria. E’ nato di recente un progetto di collaborazione tra l’Unione europea e l’università di Stanford in America con l’obiettivo di portare avanti nei prossimi due anni le cosiddette “innovazioni di genere” nella scienza, nella medicina e nella tecnologia. Londa Schiebinger e Ineke Klinge guideranno un gruppo di esperti nella creazione di strumenti e case studies diretti a ricercatori di biomedicina e utili a stimolare la loro creatività e contribuire all’eccellenza scientifica.
Affinché si riesca a valorizzare l’uso dei concetti di sesso e genere garantendo che vengano presi in considerazione in tutte le attività di ricerca biomedica e sanitaria, le istituzioni che presiedono al finanziamento della ricerca, le riviste scientifiche e chi contribuisce a formale curricula in ambito accademico e professionale dovranno, tutti, assumere un ruolo trainante. Solo se ai ricercatori verrà richiesto di collaborare ad integrare nel loro lavoro i concetti di sesso e di genere si riuscirà a debellare tenaci pregiudizi sessuali e ad aprire nuovi orizzonti nella ricerca medica e biomedica.
In allegato l'articolo di Ineke Klinge, in versione originale. Con il consenso dell'autrice, nella traduzione italiana sono stati apportati alcuni tagli.