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La ripresa ha bisogno di strumenti concreti per l'inclusione e le pari opportunità. Gli strumenti esistono, le esperte anche. Serve una governance istituzionale forte, capace di produrre un impatto reale sulle donne

Non esiste una
ripresa "taglia unica"

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Foto: Unsplash/ Jason Leung

Aumentare l’occupazione e migliorare la qualità del lavoro delle donne è un obiettivo di ripresa su cui le associazioni di donne, i think tank, le redazioni stanno insistendo attraverso proposte di merito e di processo, ma non solo. A tutte è chiaro che abbiamo bisogno di individuare gli strumenti per una governance capace di produrre un impatto reale sulle donne.

Questa non è solo una richiesta delle associazioni, ma risponde alle raccomandazioni del penultimo semestre europeo, quindi agli obiettivi del piano di ripresa italiano, che deve poggiare sulle raccomandazioni degli ultimi due semestri. Inoltre, per una volta possiamo dire “ce lo chiede l’Europa” con il sorriso: nell’ultima versione della guida della commissione per la stesura dei piani nazionali (21 gennaio 2021), viene chiesto ai paesi membri di spiegare al dettaglio come il piano garantirà equità di genere e pari opportunità.

Nell’ultima versione del piano nazionale l'Italia ha adottato la logica della trasversalità per l’attuazione di misure volte a sostenere l’occupazione delle donne. La trasversalità garantisce, se ben pianificata, una maggiore efficienza e capacità di raggiungere gli obiettivi. Bisogna chiedersi però come si realizza questa trasversalità, come possiamo fare in modo che non sia una mera dichiarazione di intenti ma che corrisponda ad azioni reali.

Servono strumenti specifici. E la cultura intorno a questi strumenti è principalmente una cultura europea, vale la pena sottolinearlo, perché l'adozione di questi strumenti faciliterebbe senza dubbio il dialogo con le istituzioni europee. Gli strumenti sono tre: gender mainstreaming, valutazione di impatto di genere, un mandato politico per una governance forte.

L’approccio del gender mainstreaming mira a evitare che le diseguaglianze continuino a perpetuarsi facendo in modo che le politiche e le leggi sappiano far fronte alle esigenze specifiche di donne e uomini. È uno strumento in Italia purtroppo poco usato ma ben codificato, significa avere la capacità di analizzare le disuguaglianze tra uomini e donne, di pianificare nelle politiche misure volte a contrastarle, di verificarne l’attuazione e di valutarne l’impatto.

Quello che di base si sostiene attraverso il gender mainstreaming è che non esistono politiche "taglia unica". Un esempio: nel passato recente alcuni farmaci sono stati ritirati dal mercato proprio a causa degli effetti collaterali sulle donne, perché i farmaci venivano testati e tarati soprattutto sugli uomini. Oggi, grazie alla diffusione di un approccio genere-specifico, le case farmaceutiche hanno iniziato a testare i farmaci anche sulle donne. La stessa cosa dovrebbe valere per le politiche, non pensare a come impatteranno sulle donne, significa perdere efficacia.

Tornando al recovery fund: se abbiamo un piano che punta soprattutto su digitale e green dobbiamo sapere che sono mercati con un fortissimo squilibrio di genere in cui le donne sono poco presenti. Quindi andranno inserite misure volte ad aumentare il numero di donne con competenze spendibili in questi settori, insieme a dispositivi volti a incrementarne l’assunzione. Si potrebbe pensare, per esempio, come è già avvenuto alla regione Lazio, di inserire criteri di premialità nell’aggiudicazione dei bandi per le imprese che abbiano un numero minimo di donne nei loro consigli di amministrazione e tra le loro impiegate. 

Un piano di mainstreaming di genere dovrebbe restituire poi anche una visione d'insieme di tutti gli interventi e l’integrazione tra le diverse misure.

La valutazione di impatto di genere, traduzione italiana del gender impact assessment europeo è, secondo la definizione che ne dà l'Istituto europeo per la gender equality (Eige), “il processo di confronto e valutazione, in base a criteri rilevanti di genere, della situazione attuale e della tendenza prevedibile a seguito dell'introduzione della politica proposta”. Come ha scritto Valentina Cardinali sulle pagine di inGenere si tratta di "un processo – con metodologia codificata Ue – che parte ex ante e segue la vita di un programma o di una politica, e produce indicazioni di orientamento alle scelte e di correzione di eventuali effetti distorsivi su uomini e donne per il miglioramento delle misure proposte".

La valutazione terrà conto quindi di progetti, misure, dispositivi e obiettivi dichiarati per comprenderne la coerenza e validarli, e stabilirà degli indicatori per misurarne l’efficacia, che saranno utili per un monitoraggio e una valutazione ex-post. In questo modo, si potrà andare a verifica, capire cosa ha funzionato e cosa no, e creare i necessari aggiustamenti.

Infine, serve un mandato politico. L’attuazione del gender mainsteaming ha bisogno di una governance istituzionale forte: che ci siano esperte di gender mainstreaming nella governance per la definizione e l’attuazione del piano; che ci sia una struttura di valutazione interna alla pubblica amministrazione, quindi non un gruppo estemporaneo ma una competenza interna forte (che si potrebbe pensare di situare al Ministero dell'Economia e delle Finanze, che già si occupa di bilancio di genere); infine, non ultimo per importanza, un ministero vero, con portafoglio, per le pari opportunità, che abbia la capacità di garantire e vigilare sull’attuazione del mainstreaming di genere.

E c'è da esprimere un desiderio, se la maggior parte delle volte le pari opportunità vengono date a donne semplicemente per il fatto di essere donne. Questo è molto limitante. Sarebbe bello invece che questa delega andasse a una donna competente, con una capacità di visione e la cassetta degli attrezzi per misure che portino l’Italia fuori dal fondo delle classifiche europee relative al benessere delle donne. Perché se non siamo felici noi, non è felice nessuno.

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