Dati

Le donne protestanti hanno la probabilità maggiore di essere occupate, quelle musulmane e cristiano-ortodosse la minore. Uno studio sull'influenza delle diverse religioni sull'occupazione femminile, che tiene conto anche dei diversi contesti sociali e nazionali. Con interessanti sviluppi per le seconde generazioni di immigrate

Quanto pesa la religione
sul lavoro femminile

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Una statua a tema religioso

Tra gli economisti vi è una certa riluttanza ad ammettere l’influenza che cultura e religione producono sulle decisioni economiche degli individui. Una resistenza che rendere difficile spiegare alcuni aspetti della vita reale. Per esempio l’influenza della religione sulle decisioni di partecipazione al mercato del lavoro delle donne (1). In un articolo pubblicato su inGenere qualche tempo fa ci chiedevamo se la dottrina cattolica, che sostiene “la specialità delle donne nei ruoli di cura”, abbia un ruolo rilevante nella scelta delle donne di lavorare o meno. L’influenza potrebbe essere tanto maggiore quanto più le donne risultano praticanti e osservanti. Innegabile è inoltre l’importanza che può assumere l'atteggiamento degli uomini e dei mariti verso il lavoro femminile, così come la presenza di servizi di cura che consentirebbero alle donne di conciliare meglio vita lavorativa e familiare.

Utilizzando i dati dell’European Values Study (EVS) del 2008 relativi a 47 paesi europei  è stato possibile evidenziare il nesso tra tassi di occupazione femminile e percentuali di popolazione cattolica ed ortodossa presenti in ogni nazione. Nelle nazioni con la più alta presenza di cattolici e ortodossi vi sono più bassi tassi di occupazione femminile. Italia, Grecia, Polonia, Romania ed Ungheria appartengono a questo gruppo. La presenza di questa forte e chiara correlazione negativa ci ha spinto ad indagare la possibile presenza di un legame più ampio tra la partecipazione femminile al mercato del lavoro e l’appartenenza all’una o all’altra confessione religiosa, non solo quella cattolica ed ortodossa.

Nello specifico, abbiamo analizzato nei vari paesi la probabilità di essere occupate piuttosto che disoccupate in funzione della appartenenza religiosa (2). Le stime effettuate controllando solo per religione, suggeriscono che tutte le fedi esercitano un effetto negativo sulla partecipazione femminile, a eccezione della religione protestante, che è associata ad una maggiore partecipazione, e di quella evangelica, che non sembra esercitare alcun effetto. Il dubbio, però, è che questa influenza possa dipendere da altri fattori: per esempio se le protestanti sono più istruite delle cattoliche, lavorano anche di più, ma il motivo è la loro maggiore probabilità di trovare occupazione sul mercato del lavoro piuttosto che la loro affiliazione religiosa.

Abbiamo tenuto conto sia della presenza di possibile eterogeneità individuale e familiare – introducendo tra i regressori il livello di istruzione, lo stato civile, la presenza di figli, di genitori e nonni conviventi, il livello di istruzione dei genitori, la nazionalità –, sia della presenza di eterogeneità relativa ad altri aspetti della vita culturale, quali la posizione rispetto alla soglia di povertà e l’intensità della esperienza religiosa.

Un primo interessante risultato è che la dottrina di alcune confessioni religiose, quali la musulmana e la cristiano ortodossa, esercita una forte influenza sulle decisioni di lavorare delle donne anche controllando per tutte queste variabili. Il risultato è particolarmente evidente per le donne musulmane. Introducendo nelle stime una variabile di controllo per il sistema di welfare presente nel paese, le donne ortodosse e musulmane presentano ancora ceteris paribus una probabilità di essere occupate più bassa della media tra il 30% e 40%. Al contrario, l’appartenenza alla religione protestante aumenta la probabilità delle donne di essere occupate di circa il 50% rispetto alla media.

I risultati relativi alle confessioni musulmana e ortodossa vengono confermati anche quando si controlla i country fixed effects (cioè per gli effetti fissi a livello di paese), che colgono le specificità di ciascuna nazione che potrebbero influenzare la relazione fra religione e partecipazione femminile, compreso il grado di secolarizzazione, non colti dall’appartenenza ad un certo regime di welfare state anziché ad un altro.

Le altre religioni quali la cattolica e l’evangelica, quando si considerano tutte le variabili che possono influenzare l'occupazione femminile, non determinano cambiamenti statisticamente significativi. Ciò suggerisce che la correlazione negativa trovata nelle prime stime con l'appartenenza alla religione cattolica ed ortodossa dipendono da caratteristiche individuali e familiari delle donne cattoliche, oltre che dalle caratteristiche specifiche del sistema di welfare adottato nei paesi dove questo tipo di religione è praticato in modo prevalente.

Ci sono differenze non banali fra donne religiosamente attive e non attive. La maggior parte dell’effetto della religione sulla partecipazione femminile è dovuta ai gruppi che vivono il loro credo religioso più intensamente. Quando distinguiamo le donne che seguono i servizi religiosi almeno una volta o più volte alla settimana, troviamo che le cattoliche più attive dal punto di vista religioso hanno una minore probabilità di lavorare rispetto alla media. Nel caso delle donne protestanti, invece, l’impatto positivo sulla partecipazione femminile dipende essenzialmente dalle donne che non vivono i loro sentimenti religiosi in modo attivo. Le donne protestanti religiosamente attive tendono ad avere una probabilità superiore alla media di essere senza lavoro, in modo analogo alle donne appartenenti ad altre confessioni religiose, sebbene le differenze non sono statisticamente significative. Nel caso delle donne che appartengono alla religione ortodossa e musulmana, troviamo piccole differenze nel rischio di essere senza lavoro fra le attive e le non attive. Questi risultati sono confermati anche dopo l’uso di diverse variabili di controllo, sebbene il coefficiente delle donne ortodosse risulta non statisticamente significativo quando si controlla per gli effetti fissi a livello di paese.

Fra le donne immigrate, le ortodosse non sembrano molto diverse dal gruppo di base delle agnostiche, cosa che può essere considerata una dimostrazione della loro capacità di assimilarsi alla cultura del paese di destinazione. Le donne protestanti continuano ad avere un rischio di disoccupazione inferiore alla media di circa due volte. Le donne musulmane hanno un maggior rischio di non occupazione anche quando emigrano. Tuttavia, questo effetto relativo alle donne musulmane si perde quando si controlla per il tipo di regime di stato sociale.

Nelle stime in cui distinguiamo fra donne native, immigrate di prima e di seconda generazione, si nota che le donne cattoliche di seconda generazione hanno una probabilità di occupazione inferiore alla media. Per qualche motivo, i dogmi religiosi sembrano riemergere dopo una generazione, l’opposto del processo di assimilazione. Le donne protestanti che emigrano si assimilano più facilmente e perdono la loro tendenza a lavorare più della media. Le musulmane di seconda generazione tendono, invece, ad assimilarsi al tasso di partecipazione del paese di destinazione. Le ortodosse sembrano assimilarsi già alla prima generazione, sebbene, come le cattoliche, tendono a tornare alla loro cultura di origine alla seconda generazione.



Note

(1) Questo articolo riassume i risultati di una più ampia ricerca disponibile come: Pastore, F. e S. Tenaglia (2013), “Ora et non labora? A Test of the Impact of Religion on Female Labor Supply”, IZA discussion paper, n. 7356,  April (http://ftp.iza.org/dp7356.pdf). 

(2) Rcerca effettuata attraverso stime LOGIT. Selezionando i dati relativi alle donne di età compresa tra 18 e 60 anni, sono stati stimati diversi tipi di equazione di partecipazione