Dati

L’introduzione dell'identità di genere nell'ultimo censimento del Regno Unito è un primo passo verso la visibilità statistica della popolazione omosessuale, trans e non binaria, e potrebbe rappresentare un esempio virtuoso anche per noi

Se la statistica
diventa 'non binaria'

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Foto: Unsplash/Anh Tuan To

Il censimento portato avanti in Inghilterra e Galles a marzo 2021 dall'Office for National Statistics (il corrispettivo del nostro Istat nel Regno Unito) ha incluso per la prima volta nella storia della statistica inglese un quesito specifico relativo all’identità di genere della popolazione. Nello specifico, alle persone intervistate è stato chiesto se la propria identità di genere differisse dal sesso assegnato alla nascita e che termine usassero per definirla.

La domanda si aggiunge a quella, già presente nelle edizioni precedenti del censimento, sull’orientamento sessuale, facendo del Regno Unito l’unico paese, insieme al Canada, a raccogliere dati relativi all’identità di genere: nel 2023, lo stesso approccio verrà adottato nel censimento neozelandese. Per quanto riguarda la Scozia, la raccolta è stata rimandata a causa della pandemia di Covid-19: i dati verranno resi pubblici nel corso del 2023. L’Irlanda del Nord ha invece scelto di non includere un quesito relativo all’identità di genere nel censimento.

Prima di spendere parole sull’importanza di questa scelta – definita “una tappa fondamentale per l’inclusione” da Kevin Guyan, ricercatore all’Università di Glasgow ed esperto di elaborazione dati sulla popolazione Lgbt – vale la pena dare un’occhiata a cosa emerge dai dati raccolti.

Innanzitutto, il livello di partecipazione a questa sezione del questionario è stata considerevole: il 7,5% per cento delle persone che hanno partecipato al censimento ha scelto di non rispondere al quesito relativo all’orientamento sessuale e il 6% a quello sull’identità di genere. Più di un milione di persone in Inghilterra e Galles – che insieme contano una popolazione di circa 60 milioni – si identificano come lesbiche, gay o bisessuali; 165.000 definiscono con la categoria “altro” il proprio orientamento sessuale. Le definizioni maggiormente utilizzate da queste ultime sono state pansessuale, asessuale e queer.

Per quanto riguarda l’identità di genere, 262.000 rispondenti (lo 0,5%) hanno dichiarato che questa si differenzia dal sesso assegnato alla nascita. Non tutte le persone hanno però indicato il modo in cui definiscono la propria identità di genere; tra coloro che l’hanno fatto, lo 0,24% si definisce come uomo trans, una percentuale simile si definisce come donna trans e lo 0,06% come persona non binaria, ovvero la cui identità di genere si distanzia dal binarismo uomo/donna.

La regione di Londra è quella con l’incidenza statistica maggiore di persone residenti che si sono definite come uomini e donne trans: questo dato non dovrebbe stupire visto che è stato da tempo evidenziato come le persone Lgbtqia+ trovino nei contesti urbani un ambiente spesso più favorevole e accogliente rispetto alla propria identità di genere e sessuale.

La domanda del censimento relativa all’identità di genere prevedeva una compilazione su base volontaria e aperta alle persone di età superiore ai 16 anni. Di rilievo la scelta di consentire alle persone partecipanti di 16 anni o più di rispondere ai quesiti relativi a orientamento sessuale e identità di genere in un modulo anonimo a parte, per mantenere la riservatezza nei confronti degli altri membri della famiglia, se questo fosse stato il desiderio del rispondente.

Nelle intenzioni del Office for National Statistics, l’introduzione di un quesito volontario sull’identità di genere aveva un duplice obiettivo: da un lato, fornire una rappresentazione statisticamente solida di un paese sempre più diverso; dall’altro, contribuire a orientare le scelte dei decisori pubblici in materia di politiche destinate al contrasto delle discriminazioni e a favorire l’inclusione della popolazione Lgbtqia.

È infatti questo il punto di rilievo della rilevazione statistica inglese. La popolazione Lgbtqia+  nel Regno Unito come altrove – fatica a rientrare nelle statistiche ufficiali, venendo piuttosto intercettata da survey su scala ridotta e da studi tematici. L’unica eccezione in questo senso è la survey condotta dall’Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali nel 2019 (la prima edizione è del 2012) sulle esperienze di discriminazione vissute dalle persone Lgbti nei 27 stati membri, in Macedonia del Nord e in Serbia.

Una raccolta di dati quantitativi sull’incidenza della popolazione Lgbtqia+ rappresenta il primo passo fondamentale per evidenziare agli occhi dei policy-maker l’esistenza di un gruppo sociale a rischio di discriminazioni e con esigenze specifiche che richiedono delle politiche pubbliche ad hoc. L’invisibilità statistica, ovvero l’assenza totale di dati, spesso relega i gruppi sociali all’esclusione dalla sfera pubblica, soprattutto in assenza di una volontà politica reale da parte dei decisori di migliorare le condizioni di vita delle persone marginalizzate e di favorirne la piena inclusione sociale.

Chiaramente, il censimento non evidenzia le esperienze di discriminazione né le barriere che la popolazione Lgbtqia+ britannica incontra nell’accesso alle principali sfere della vita pubblica, quali il mercato del lavoro, l’abitazione, la sanità e l’istruzione. Tuttavia, favorire l’emersione nelle statistiche ufficiali è un passo ineludibile per strutturare politiche pubbliche inclusive.

L’esistenza di dati, inoltre, è uno strumento di massimo rilievo anche per le realtà della società civile che portano avanti un lavoro imprescindibile di supporto alla popolazione Lgbtqia+ e di pressione sulle autorità pubbliche. La organizzazione non governativa britannica Stonewall, per esempio, già nel gennaio 2023 ha utilizzato i dati del censimento per esortare il governo britannico a reintrodurre la validità automatica del Gender Recognition Certificate rilasciato da paesi – come il Canada, l’Australia o la Nuova Zelanda – che prevedono la possibilità per le persone trans e non binarie di autodeterminare il proprio genere sui documenti, senza necessità di un percorso medico-legale istituzionale. La sospensione del riconoscimento automatico, che è stato vigente per anni nel Regno Unito, costituisce di fatto, secondo la ong, un divieto di viaggio per le persone trans provenienti da questi paesi.

inGenere ha spesso raccontato l’importanza dei dati per parlare della società in cui viviamo e per articolare politiche pubbliche che rispondano alle esigenze reali della popolazione e soprattutto dei suoi gruppi sociali più a rischio di violenza e marginalizzazione. L’introduzione dell’identità di genere nel censimento del Regno Unito è un primo passo verso la visibilità statistica della popolazione Lgbtqia+ che vive nel paese e potrebbe rappresentare un ottimo esempio anche per gli uffici statistici di altri paesi, Italia compresa.

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