Politiche

Politiche di genere in città: ne parliamo con Simona Lembi, responsabile del Piano per l'uguaglianza che Bologna ha deciso di redigere a partire dalle disuguaglianze che sono cresciute con la pandemia

Bologna vuole un piano
per l'uguaglianza

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Foto: Unsplash/ Mitchell Hollander

Simona Lembi, da dove nasce l’esigenza di redigere un piano per l’uguaglianza in una città come Bologna?

Il punto di partenza è netto: la crisi ha aumentato le disuguaglianze. È quindi necessario trovare nuovi strumenti per far fronte a una situazione che non conoscevamo, solo pochi anni fa. Se l’Europa si è dotata di una strategia per la parità di genere 2020-25 e l’Italia ne ha una 2021-26, penso che ogni Comune d’Italia dovrebbe averne una simile. E però, come si fa a discutere e, ancora prima, a descrivere, qualcosa che non esiste? Avanzo un tentativo: quello di riprendere discorsi che la storia ha lasciato in sospeso e, successivamente di guardare con cura e attenzione a questo particolare momento storico. Facciamo un passo indietro. Nel 1956, nel Consiglio comunale di Bologna venne eletta una giovane donna, di appena 25 anni. Si chiamava Mirella Bartolotti. Insieme con lei vennero elette anche altre 6 consigliere, ma, diversamente dalle altre Bartolotti fu l’unica a sedere in Giunta, la prima, dal voto a suffragio universale (quello delle elezioni amministrative del ’46) a ricoprire un incarico di governo locale con una delega davvero curiosa: "Assessore ai problemi della donna".

Perché secondo lei è importante oggi ricordare questo evento?

Nell’ambito della storia delle politiche di genere e dei nomi che quella delega ha assunto nel corso del tempo, a partire dai governi locali, è ragionevole pensare che quella “ai problemi della donna” sia stata la delega antesignana delle più recenti politiche di pari opportunità e poi successivamente delle politiche delle differenze, e oggi quelle che chiamiamo gender policy o politiche di genere. Certamente fa del tipo di scelte che l’Italia ha potuto conoscere, sperimentare e agire dal basso, nei comuni, molto prima che diventasse politica nazionale. La prima delega alle pari opportunità a Roma, è bene ricordarlo, arriva 40 anni dopo: Governo Prodi, 1996, ministra Anna Finocchiaro.

Torniamo alla Bologna del 1956, e alla nomina di 'Assessore ai problemi della donna'. Come hanno reagito le femministe di quegli anni di fronte a questa dicitura? E l'opinione pubblica?

Noi Donne, il periodico dell’Udi, l’associazione femminile più longeva d’Italia, salutava la scelta del nuovo assessorato con un titolo profetico: “Un po' di futuro a Palazzo d’Accursio” e scriveva “I bolognesi, dopo aver superato la prima impressione di perplessità, hanno accettato il nuovo singolare assessorato comunale, quello 'ai problemi femminili' convinti che sia un'iniziativa felice e vantaggiosa non solo per le donne, ma per tutta la città”. Il settimanale La Lotta, il 10 gennaio 1957 metteva in evidenza come le novità a Bologna fossero due: l'assessorato ai problemi della donna e quello al lavoro assegnato a Giorgio Scarabelli. Nel presentare il loro lavoro, entrambi gli assessori sostenevano che, anche se i problemi appena segnalati, questione femminile e lavoro, non potevano essere risolti direttamente dal comune, il comune avrebbe potuto “concorrere alla loro soluzione mediante un'azione costante e illuminata, di guida e di orientamento che, seppur svolta anche in passato, richiede, allo stato attuale delle cose, un assessorato specificatamente dedicato a questo compito”. Ecco il punto quindi: problemi non nuovi che necessitano, per essere affrontati, di nuovo vigore, nuove scelte, nuovi strumenti.

In che modo pensate di farlo con il piano a oggi in lavorazione?

Il nuovo Piano per l’Uguaglianza della Città Metropolitana di Bologna è stato voluto dal Sindaco Matteo Lepore per il fatto che ”l’attuale stato delle cose” oggi si chiama crisi pandemica e vede, anche nella nostra città, crescere le disuguaglianze a partire da quelle tra donne e uomini. Nel 2020 l’Istat ci ha detto che il 60% dei posti di lavoro andati perduti in Emilia Romagna erano precedentemente occupati da donne. Nello stesso anno, l’ispettorato del lavoro ha registrato che circa l’80% dei genitori che, nei primi 3 anni di vita dei figli, si sono dimessi “volontariamente” dal posto di lavoro, erano madri lavoratrici. Tutto questo, mentre l’Italia risultava, sempre nel 2020, ultima in Europa per indice di occupazione per le giovani donne tra i 24 e i 29 anni. Mi chiedo come si possa, davanti a numeri come questi, rimanere fermi con gli strumenti e le azioni cui eravamo abituati prima della pandemia.

Quindi il Piano per l'uguaglianza nasce da un desiderio di innovazione delle politiche?

Certamente. Scrivere, promuovere e attuare il primo Piano per l’uguaglianza del territorio metropolitano, significa anche proporre una possibile evoluzione delle politiche di pari opportunità: una funzione capace di influenzare l’attività dell’ente, in raccordo con i 55 comuni del territorio. Vogliamo, per questo, dotarci di un tavolo di confronto con le assessore, di una assemblea delle elette e di momenti di dialogo e confronto dentro e fuori alle istituzioni.

Com’è strutturato nel dettaglio il piano che state progettando?

Per ora il piano prevede cinque aree di attività: lavoro pagato, lavoro non pagato, violenza contro donne e minori, cultura dell’uguaglianza e contrasto alle discriminazioni multiple, additive, intersezionali. Per quanto riguarda il lavoro, la fotografia attuale ci mostra una presenza impari nel lavoro pagato con una maggioranza femminile nei lavori meno remunerati. A questo si aggiunge una differenza salariale e una disuguaglianza nella carriera - che ricade, ovviamente, anche nel trattamento pensionistico. Noi proponiamo la creazione di un fondo che sostenga progetti rivolti all’imprenditoria femminile e che favorisca l’occupazione femminile. Sarà poi necessario individuare un maternity e paternity manager che segua progetti e azioni di affiancamento al lavoro, in particolare nei primi anni di vita dei figli, escluso il periodo di maternità e paternità obbligatorio. Lavoriamo affinchè sia possibile raggiungere il 70% di occupazione femminile.

E per quanto riguarda il lavoro di cura non retribuito?

Occuparsi di cura - di figli, di anziani e anche delle nostre case - non è un hobby. Richiede tempo. Si tratta di un lavoro vero e proprio - in economia si chiama “monte ore” ed è più ampio del lavoro pagato - che ha la caratteristica di non essere retribuito in primo luogo perché non riconosciuto. Ma il lavoro di cura non è un fatto privato, relegabile al confronto tra coniugi o conviventi. Vogliamo definire “misure anticrisi” nei servizi pubblici, a partire dai nidi, capaci di rispondere a chi perde il lavoro (partite iva comprese), a chi è in cassa integrazione o è alla ricerca di nuovo lavoro. Il piano prevede l’ampliamento e la modulazione della rete dei servizi educativi - capace di rispondere al 100% delle domande - senza limitarsi a migliorare le condizioni di chi già li frequenta. Vogliamo favorire un patto tra pubblico e privato per nuovi nidi aziendali, anche in accordo tra più privati. Il piano prevede inoltre di orientare il sistema socio-sanitario verso un rafforzamento dell’assistenza domiciliare, oltre che di prevedere un sostegno ad assistenti familiari e caregiver. È indispensabile, inoltre, prevedere un ampliamento della rete servizi per anziani e soggetti fragili a partire dalle comunità riabilitative ad alta assistenza, per una maggiore integrazione socio-sanitaria e per una nuova e più umana concezione dell’invecchiamento.

Avete già in mente azioni positive specifiche per contrastare la violenza di genere e promuovere una cultura dell’uguaglianza?

Certamente. La violenza è aumentata con la crisi pandemica, così come le disuguaglianze. Ce lo ha detto anche il Viminale: nel primo semestre 2020 ci sono state, in Italia, più donne ammazzate per violenza domestica che per mano della criminalità organizzata. I nodi della violenza sono chiari: è l’effetto della disparità di potere (economico, sociale, politico) tra uomini e donne ed è trasversale all’età, alla condizione economica e sociale. Le azioni previste nel piano sono precise: un raddoppio complessivo dei fondi metropolitani per le azioni di contrasto alla violenza, la creazione di un fondo per rafforzare autonomia lavorativa e abitativa e uno per sostenere le spese legali di chi denuncia. Prevediamo inoltre progetti per orfani di femminicidio e azioni di sensibilizzazione rivolte agli uomini maltrattanti. Più complessivamente, vale la pena di insistere su azioni e politiche a favore di una cultura dell’uguaglianza. Vogliamo costruire indicatori capaci di monitorare le politiche di uguaglianza e proseguire il lavoro del bilancio di genere. Prevediamo azioni che colmino le diseguaglianze nell’accesso alle tecnologie; in ambito scolastico e formativo vogliamo promuovere e rafforzare le azioni di contrasto al gender gap e al digital devide e favorire lo studio delle materie STEM. Più complessivamente intendiamo contrastare gli stereotipi di genere facendo leva sulle istituzioni scolastiche e culturali del territorio. Stiamo lavorando anche a indicatori della cura nei nuovi insediamenti urbani e produttivi.

Discriminazioni ‘multiple, additive, intersezionali’, cosa intendi e come cercherete di arginarle?

La crisi ha colpito tutti. Non tutti allo stesso modo. Genere, orientamento sessuale, disabilità, origini etniche, età, condizione sociale rimangono fattori di svantaggio. Quando questi fattori si sommano e si incrociano, si amplificano gli effetti della disuguaglianza. Stiamo lavorando per riconoscere la questione e promuovere formazione ad hoc a partire dalle scuole. Per costruire un indicatore di “discriminazione multipla” nei servizi del territorio, capace di qualificare i servizi che rispondano a questa complessità. Ma ovviamente si tratta solo di primi appunti che stiamo discutendo con sindache, assessore, elette e associazioni del territorio. C’è ancora molto da discutere insieme, un piano locale per l’uguaglianza di genere va costruito insieme. Per questo ringrazio inGenere per aver voluto ospitare il racconto di questa nuova policy amministrativa, e tutte/i coloro che vorranno contribuire con domande e proposte.

Per domande e proposte: Simona Lembi, Responsabile Piano per l’Uguaglianza, Gabinetto del Sindaco, Città Metropolitana di Bologna, mail: pianoperluguaglianza@cittametropolitanadibologna.it