Seconde e terze generazioni in Europa, un rapporto fa il punto sui dati disponibili per indagare le condizioni di vita e di lavoro delle donne di discendenza straniera, ancora fortemente caratterizzate da disuguaglianze e stereotipi
Come stanno le figlie delle
straniere in Europa
In un rapporto pubblicato di recente dal Parlamento europeo, abbiamo tracciato una panoramica dei dati e degli studi esistenti sulle condizioni di vita e di inclusione sociale delle donne di discendenza africana, mediorientale, latinoamericana e asiatica che vivono nell’Unione europea. Il rapporto indaga l’inclusione partendo da alcuni indicatori considerati punti di osservazione strategica in materia: l’istruzione, le condizioni abitative, i modelli familiari e relazionali, l’inserimento lavorativo e le condizioni di salute delle donne di seconda e terza generazione in Europa.[1]
Prima di entrare nel merito dei risultati della ricerca, è importante esplicitare la complessità di vissuti che l’etichetta “seconde e terze generazioni” rischia di celare. A tal proposito, riprendiamo dalla letteratura in materia i concetti di “integrazione” e “transnazionalismo”, entrambi ampiamente utilizzati dagli studi presi in considerazione dal rapporto. Mentre il primo sta generalmente a indicare il processo di adattamento reciproco tra la popolazione del paese di residenza e la popolazione immigrata e le persone discendenti dalla stessa; il transnazionalismo si riferisce, piuttosto, alle condizioni specifiche delle persone immigrate e da esse discendenti che mantengono con la cultura di origine dei legami materiali e simbolici, legami questi che sono significativi per spiegare l’agency e gli obiettivi di vita del sotto-gruppo di popolazione preso in considerazione.
Il primo elemento che emerge con forza dal rapporto è la scarsità di dati comparabili e affidabili relativi alle condizioni di vita di donne e uomini discendenti da persone immigrati negli stati membri della Ue. Nonostante i dati in ambito migratorio e sull’inclusione vengano raccolti oggi con maggiore costanza rispetto al passato e la loro qualità negli anni sia migliorata, questi fanno ancora riferimento in generale al campione di “persone migranti e loro discendenti” senza consentire una disaggregazione per gruppo etnico.
Data la mancanza di informazioni specifiche sulle donne di discendenza africana, mediorientale, latinoamericana e asiatica residenti nei 27 stati membri, abbiamo condotto una rassegna il più possibile esaustiva degli studi relativi alle condizioni di vita della popolazione interessata a partire dagli indicatori sopra riportati: si tratta però spesso di studi che si riferiscono a contesti locali specifici e non alla complessità del territorio dell’Unione; per questo ogni generalizzazione risulta impossibile.
Per quanto riguarda l’istruzione, questa viene tradizionalmente considerata la via principale per una piena integrazione nella società di arrivo. Tuttavia, affermare il ruolo centrale della scolarizzazione non è sufficiente per rendere conto delle forme molteplici di discriminazione (diretta o indiretta) che le persone immigrate e loro discendenti devono affrontare in ambito scolastico. La letteratura scientifica in materia ha mostrato come la disponibilità di strutture educative per l’infanzia, di politiche multiculturali e di sistemi educativi poco selettivi contribuiscano a ridurre il gap educativo tra minori con e senza background migratorio. Inoltre, le studenti ottengono risultati scolastici migliori dei loro coetanei di genere maschile, in continuità con quanto avviene in generale nella popolazione.
Nonostante tutto, però, la letteratura identifica tre fattori specifici come particolarmente dirimenti per la continuazione degli studi da parte delle giovani donne con background migratorio. In particolare: le aspettative familiari, gli stereotipi di genere a livello sociale e familiare; e il grado di adesione ai valori e alle aspettative prevalenti nel paese di residenza.
Per quanto riguarda le condizioni abitative, i dati disponibili disaggregati per genere e gruppo etnico sono lacunosi e si concentrano prevalentemente sul grado di urbanizzazione della popolazione di origini straniere residente in Ue, soprattutto a paragone con la popolazione cosiddetta autoctona. Sulla base di questi dati, la popolazione di origine straniera ha meno probabilità di essere proprietaria della casa di abitazione ed è più esposta a discriminazioni nell’accesso al mercato immobiliare. Altri fattori che contribuiscono alla segregazione spaziale sono la sovrapposizione tra svantaggio socioeconomico ed etnico, i prezzi elevati delle abitazioni, la localizzazione delle opportunità lavorative e la necessità di fare riferimento al sostegno della comunità etnica di appartenenza.
Analizzando l’inclusione socioeconomica dal punto di vista dell’inserimento lavorativo, la letteratura analizzata ha individuato vari fattori che influenzano l’accesso al lavoro da parte delle donne di discendenza migratoria. Questi includono sia fattori individuali – come il background sociale, la padronanza linguistica, le aspirazioni personali e familiari – che elementi strutturali quali la discriminazione, il razzismo e gli ostacoli nell’accesso alla cittadinanza.
Anche per quanto riguarda, infine, le condizioni di salute, la mancanza di dati disaggregati per genere e gruppo etnico impedisce di fornire una visione d’insieme dell’intero territorio comunitario. Comunque gli studi disponibili mostrano che le minoranze etniche godono generalmente di condizioni di salute peggiori rispetto al resto della popolazione, specialmente per quanto concerne le patologie cardiovascolari e il diabete.
Studi recenti mostrano, inoltre, come le donne appartenenti a minoranze etniche siano maggiormente esposte al rischio di sviluppare disagio mentale principalmente a causa dell’isolamento, delle difficoltà nell’accesso ai servizi per la salute mentale e dell’influenza di fattori culturali. Infine, nell’ambito della salute, risultano centrali i comportamenti del personale sanitario: più risorse andrebbero, quindi, investite nella formazione e nella decostruzione di pregiudizi e comportamenti discriminatori che costituiscono un ostacolo cruciale nell’accesso delle persone appartenenti a minoranze etniche ai servizi medico-sanitari.
Il rapporto si conclude con delle raccomandazioni rivolte ai policy-maker nazionali e comunitari. La prima riguarda la creazione di metodi di raccolta dati che permettano di visualizzare chiaramente la situazione socioeconomica delle minoranze etniche in Europa, disaggregandoli per genere e per ogni altra caratteristica che risulti rilevante per determinare le politiche e le misure necessarie a favorire una piena inclusione nella società di residenza.
Le altre raccomandazioni si focalizzano su ciascuno degli ambiti centrali per l’integrazione e riguardano, per esempio, maggiori investimenti in sistemi educativi che promuovano l’inclusione e l’integrazione, rimuovendo le barriere all’accesso ai gradi più alti dell’istruzione per tutte e tutti le/gli studenti. O ancora, risorse dedicate alle politiche abitative che permettano l’accesso alla casa a tutti i gruppi sociali, incluse le minoranze etniche, evitando fenomeni di segregazione abitativa.
L'analisi che abbiamo condotto mostra come la strada verso una piena inclusione di persone di origine straniera che da generazioni vivono in Europa è ancora lunga; a maggior ragione quando si tratta di donne. È necessario creare dati e informazioni di qualità che orientino in tal senso le politiche pubbliche a tutti i livelli di governo, incluso quello locale. Oltre ai dati, servono, inoltre, un serio impegno politico e risorse adeguate. La strada è lunga, ma non impossibile.
Note
[1] Il rapporto è stato commissionato dallo European Parliament’s Policy Department for Citizens’ Rights and Constitutional Affairs su richiesta del FEMM Committee.