Politiche

L'inclusione delle donne migliora i processi politici ma conciliare il lavoro con la vita è ancora una missione che sembra impossibile a molte, tanto più per chi ricopre un incarico importante. L'esperienza di un'assessora

Conciliare i tempi nelle amministrazioni locali

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Foto: Unsplash/ rawpixel.com

Le donne hanno dovuto combattere per entrare nelle “stanze dei bottoni” e stentano ancora ad avere posti di vera responsabilità. Anzi, ora faticano di più perché gli uomini hanno stretto le fila: la politica è ancora un “club per soli uomini”. È sempre un gruppo al maschile che decide se conferire una carica a una donna, e – quando lo fa – è principalmente per necessità burocratiche. Ma in questo modo la democrazia rischia di restare dimezzata.

Avere più donne e più madri in politica – oggi una competizione serrata in cui siamo noi la parte maggiormente penalizzata – significa anche promuovere modelli di vita in cui gli impegni del lavoro e le esigenze familiari coinvolgono ugualmente donne e uomini. Quale madre, ad esempio, può occuparsi di politica a tempo pieno se la conciliazione dei tempi e degli orari (ovvero la possibilità di gestire con equilibrio i momenti di vita professionale, privata, sociale) è ancora lontana? La cultura dello “sfinimento” che caratterizza l’epoca attuale fa sì che il lavoro pervada la giornata. Le donne  dovrebbero essere poste in condizione di potersi dedicare sia alla famiglia che al lavoro: invece per loro – a cui tradizionalmente è delegato il compito di cura di figli, parenti anziani – il traguardo di posti di responsabilità è oltremodo ostacolato, poiché restano schiacciate dalla gestione del quotidiano.

Sono stata nominata da poco più di due anni assessore nel Comune più grande nell’Area Metropolitana di Torino e quinto del Piemonte: Moncalieri. In un Comune con le dimensioni del nostro, far parte della giunta non significa soltanto governare i processi, amministrare e, nel mio caso, svolgere compiti più squisitamente tecnici. È necessaria una forte presenza sul territorio: stare con la gente e ascoltare; e con la delega alla Cultura in maggior misura, con la partecipazione a numerosissimi eventi, solitamente di sera e nei fine settimana.

Di base, l’impegno è poco compatibile con le esigenze familiari. Il tempo libero è quasi inesistente, molto ridotta è la possibilità di seguire figli, marito, parenti anziani, amici.

Allora, se si ha una famiglia, è essenziale – ed è una grande fortuna! – che questa ti segua: che il marito non ostacoli, ma stia “dalla tua parte” e collabori. Vale per tutte le donne in politica con cui mi confronto, da nord a sud, in Italia e all’estero.

E, quando ci sono figli, la politica attiva è compatibile con la maternità? È senz’altro difficile per la madre di bambini piccoli occuparsi della vita pubblica: si può, a costo di grandi sacrifici da parte di tutti, rompendo l’equilibrio tradizionale della famiglia con ruoli di genere specializzati e riorganizzando radicalmente la vita e i tempi familiari.

È un lavoro di squadra: il sostegno del compagno che si occupi dell’accudimento dei figli piccoli, della casa,  accettando limitazioni alle proprie responsabilità professionali e sottraendo a se stesso molto tempo libero; il supporto di una collaborazione domestica; l’iscrizione del bambino a una scuola con orari dilatati e proposte extracurriculari. Supporti preziosi che però non cancellano l’assenza della madre.

Inoltre, in un quadro in cui la cultura di genere tradizionale permea tutto e con una classe politica tra le più mascolinizzate e anziane d’Europa, ovviamente gli uomini continuano a organizzare riunioni senza preoccuparsi di proporle in orari serali; e le donne che prendono parte al mondo della politica si vedono imporre un adeguamento ai modelli maschili.

Se l’attenzione alla dimensione di genere fosse parte integrante e trasversale di ogni decisione, la partecipazione politica delle donne potrebbe essere più larga. Si innescherebbe un circuito virtuoso in cui le donne potrebbero promuovere maggiori strategie di conciliazione e minori discriminazioni di genere, nonché provvedimenti determinanti per la parità. “Oltre a essere un diritto costituzionale, l’inclusione delle donne nei processi politici li migliora. Come dimostrato da molte ricerche, quando le donne si trovano in ruoli decisionali, vengono prese decisioni più inclusive e introdotte leggi e politiche più progressiste” ricordava John Hendra di UNWomen[1].

Ma è necessario un cambiamento di mentalità e di cultura, oltre che interventi concreti. Certamente in Italia negli ultimi 30 anni vi è stata una crescita della rappresentanza femminile nella composizione delle giunte comunali le donne assessore sono oggi il 33,1%[2]. L’incidenza delle donne sul totale degli amministratori è pari al 29,5%, con donne amministratrici che si confermano più istruite dei maschi (il 46,2% delle donne ha una laurea o un titolo post laurea, a fronte del 31,7% degli uomini).

Per incoraggiare la partecipazione femminile alla politica, sono state introdotte le quote rosa. In particolare, la doppia preferenza di genere ha garantito nelle elezioni locali del 2013, 2014 e 2015 un aumento di 19 punti percentuali nella proporzione di donne elette nei consigli municipali (legge 215/2012). Ciò ha prodotto un aumento di donne elette e un miglioramento della qualità dei politici eletti – valutata attraverso gli anni di istruzione.

Non è però una conquista ottenuta per sempre. Nelle ultime elezioni amministrative infatti si è registrato un arretramento: il numero delle candidate e, quindi, delle sindache elette è diminuito sensibilmente rispetto all’andamento degli ultimi anni. Le donne stentano a essere rappresentate in politica, e non solo in Italia. Infatti, la politica è, nel mondo, la dimensione più critica per le differenze di genere, più della salute e dell’istruzione, della sfera lavorativa ed economica[3]. Questo dipende, da un lato, dai partiti, dall’altro dalle stesse donne, poco inclini a candidarsi (mancanza di tempo, costi superiori ai benefici, ecc.).

Le donne indiscutibilmente non sono confortate e ispirate da esempi di altre che sono arrivate ai vertici: le vedono, anzi, come testimonianza di sacrifici personali immensi. Ma “più donne in politica significa migliore rappresentanza (le donne rappresentano il 50% dell’elettorato), minore corruzione, modelli di riferimento per le giovani generazioni femminili, e anche un’agenda politica più inclusiva, che metta al centro temi tipicamente lasciati ai margini dai politici uomini –come la famiglia, l’ambiente, la cultura– e con un orizzonte temporale più lungo. Tutto questo a vantaggio dell’intera società”[4].

Detto ciò, una volta gestiti i sensi di colpa personali, sono convinta che il mio bambino – spesso da me coinvolto nelle iniziative culturali e politiche – stia facendo esperienze e acquisendo strumenti che da grande, se vorrà, potranno essergli utili. È una sorta di investimento culturale: il servizio che presto alla comunità è forse anche, indirettamente, a beneficio della mia famiglia.

 

Note 

[1] La mappa delle donne in politica (e le strategie per accelerare il cambiamento)Viviana Mazza, La 27 ora, marzo 2014

[2] Donne Amministratrici. La rappresentanza di genere nelle amministrazioni comunali, Anci 2017

[3] Gender Gap Report-World Economic Forum, 2016

[4] Paola Profeta, Il Sole 24 Ore, 8 agosto 2017

Leggi il dossier di inGenere Lo stato delle pari opportunità