Politiche

Storie e progetti per "disintossicare lo spazio pubblico dalle disuguaglianze". Tutto quello che architette, illustratrici, attiviste ed esperte stanno portando all'interno del padiglione Italia della Biennale di Venezia 2021

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Foto: Unsplash/ Mae Mu

Resilient Communities (Comunità resilienti) è la risposta che il padiglione Italia, curato dall’architetto e docente universitario Alessandro Melis, ha scelto di dare alla domanda How will we live together? posta dalla Biennale di Architettura 2021. Una risposta corale, complessa, e volutamente caotica che parte dal rifiuto fermo dei paradigmi che storicamente hanno guidato il mondo dell’architettura e più in generale la pianificazione e la progettazione delle nostre città e dei nostri territori.

Nelle parole dello stesso Melis: “Gli strumenti dell’architettura sono spesso strumenti che dall’alto vigilano alla costruzione dei sistemi delle città, perdendo il punto di vista delle comunità”. Nel proporre il superamento di una visione che tende a uniformare e a omologare persone e comunità, a marginalizzare le diversità, relegandole ad aspetto caratterizzante e negativo delle dicotomie decoro/degrado, ordine/disordine, il padiglione Italia sceglie di contestare “un’idea di città e di architettura che sia l'espressione esclusiva di un maschio occidentale, sessantenne, bianco” e di cedere spazio a voci, esperienze, storie e punti di vista delle comunità.

È proprio alle comunità che si deve tornare a dare voce, riconoscendone e valorizzandone le complessità, ricercando ed evidenziando le contraddizioni, aprendo a tutte le marginalizzazioni che fin qui non hanno trovato spazio, individuando nel disordine e nel caos la potenza creativa e trasformatrice che contiene.

Architette Ribelli

In questa riflessione controcorrente non poteva non trovare il suo posto una visione intersezionale delle diseguaglianze che lo spazio pubblico può generare. Così è nata la sezione Decolonizing the built environment, curata dall’associazione di attiviste creative RebelArchitette, che ha come tema la decolonizzazione dell’ambiente costruito dai pregiudizi e dalle forme di reificazione con l’idea che “la diversità sia il giusto strumento per superare i limiti del sistema attuale”. Con la loro opera, Detoxing architecture from inequalities. A plural act, le Rebel propongono di disintossicare il mondo dell’architettura dalle ineguaglianze, partendo dalla questione di genere e dalla denuncia di come nella professione oggi non ci siano quella equità e quella inclusività che si vorrebbero poi nei luoghi progettati.

È qui che si inserisce l’installazione di ActionAid Sisterhood in the neighborhood. Detoxing public space from patriarchy, per raccontare un’altra faccia dello spazio pubblico: quello delle esperienze che nascono dal basso e che propongono strutture alternative del potere, sfidando le dinamiche che creano e sostengono le disuguaglianze, di genere in primis. L’opera è un racconto a fumetti - realizzato grazie al talento dell’illustratrice ed attivista Rita Petruccioli - di cinque pratiche che in varie parti d’Italia mettono in atto visioni trasformative delle relazioni e delle comunità, costruendo spazi di partecipazione, inclusione e cittadinanza attiva.

Lo spazio pubblico infatti delinea forme diverse di libertà e di esercizio dei diritti fondamentali di chi lo abita e lo vive. Genere, orientamento sessuale, dis/abilità, provenienza geografica e appartenenza religiosa sono solo alcuni esempi di caratteristiche individuali che possono influenzare l’uso degli spazi e la possibilità delle persone di autodeterminarsi.

Dai territori emergono però esperienze che aprono a possibilità trasformative di quartieri, città, aree interne e rurali, attraverso nuove forme di collaborazione e inclusione che arrivano fino alla co-definizione di servizi, coinvolgendo nei processi decisionali e comunitari le persone più lontane e più invisibili alle politiche pubbliche. Le abbiamo volute chiamare 'alternative femministe' perché sfidano lo status quo e la struttura sociale patriarcale all’origine delle diseguaglianze.

Alternative femministe cercasi

Che cos’è quindi un’alternativa femminista? Lungi dal pretendere di fornire una definizione, abbiamo voluto raccogliere alcune caratteristiche fondamentali che possono nutrire possibili alternative a una visione tradizionale e dominante del potere, ispirandoci innanzitutto alle realtà che abbiamo raccontato nell’opera. Tra questi principi vi sono indubbiamente la necessità di partire dalla consapevolezza di sé, dei propri privilegi e delle forme di oppressione che subiamo nel nostro quotidiano, proprio per quello che siamo; così come la volontà politica di leggere le varie forme – anche multiple – di discriminazione che colpiscono le persone, soprattutto donne, ragazze e bambine; ma anche e soprattutto l'impegno nel costruire concretamente relazioni e comunità fondate sull'inclusione e sul rispetto delle diversità, quale prerequisito per raggiungere la giustizia sociale.

Come a Carmagnola (To), dove l’associazione Karmadonne, animata da un direttivo di 17 donne e da più di 900 socie e soci di diversi continenti, vede la diversità come il patrimonio comune da cui partire per leggere il territorio e rispondere ai suoi bisogni, dando vita a una comunità multiculturale e solidale. La sua sede, Casa Frisco, è un housing sociale per l’accoglienza e l’accompagnamento di persone che temporaneamente hanno bisogno di un contesto alloggiativo o persone in situazione di disagio ed è uno spazio aperto e multiculturale, un luogo di incrocio e scambio di saperi e persone e un punto di riferimento per la comunità. Karmadonne ha un approccio orientato all’inclusione attiva di tutte le soggettività che attraversano l’associazione e che rifiuta l’assistenzialismo ma agisce sulla relazione, sull’attivazione di portatrici e portatori di diritto e sul loro coinvolgimento nei processi decisionali e nella governance dell’associazione.  

A Catania invece la ricerca e la valorizzazione della diversità è elemento centrale per sfidare gli squilibri di potere e le narrazioni esistenti. Nel quartiere storico di San Berillo, oggetto di una speculazione edilizia negli anni ‘50 e divenuto nel tempo luogo dell’abitare per le persone escluse dalla città del decoro, Trame di quartiere agisce tessendo relazioni tra le diverse soggettività e creando spazi perché possano essere parte attiva nella lettura del territorio e nell’immaginare e dare vita a nuovi modi di abitarlo e di raccontarlo. In un quartiere noto per secoli come area povera e malfamata, Trame di quartiere co-costruisce, insieme a chi lo abita, una narrazione alternativa a quella cristallizzata degli ultimi 50 anni che identifica il quartiere come un’area della città “da risanare” appiattendone tutta la complessità e l’intreccio di storie, competenze e soggettività presenti.  

Rendere visibili le discriminazioni e dare voce e spazio a chi le subisce per trasformare le comunità. Questo è il cuore del nostro programma Cambia Terra, che punta a favorire il protagonismo e la rappresentanza delle donne impiegate in agricoltura nell’arco Ionico. Il tema dello sfruttamento lavorativo è spesso analizzato in modo neutro, accentuando – anche involontariamente – l'invisibilità delle lavoratrici e le loro condizioni di vita e lavoro. Cambia Terra guarda al problema con una lente intersezionale, promuovendo i diritti delle donne che sono più esposte al rischio sfruttamento a causa di molteplici fattori (barriere linguistiche e culturali nell’accesso ai servizi pubblici, status economico, stigma e discriminazione, status legale, carichi di cura, etc.) e promuovendone l’agency ed il protagonismo nella lettura della propria condizione e nella ricerca e co-costruzione di risposte ai propri bisogni insieme alla comunità.

La riflessione sulle alternative femministe non può però prescindere da quella sugli spazi all’interno dei quali esse prendono vita, si evolvono, interagiscono con territori e comunità e dalle forme di gestione di questi spazi. Realtà come Rimake a Milano e Lucha y Siesta a Roma, che abbiamo scelto di raccontare, rappresentano un universo variegato di esperienze che in tutta Italia hanno trasformato immobili e spazi in disuso in beni comuni aperti ed inclusivi in cui tutte le soggettività trovano spazio, intrecciano relazioni, co-costruiscono pratiche di auto organizzazione e mutualismo.

La casa delle donne Lucha y Siesta, negli anni diventata un punto di riferimento per l’autodeterminazione delle donne e per la lotta ad ogni forma di violenza di genere, sfida le dinamiche dominanti di potere, anche nella gestione della cosa pubblica, proponendo un percorso partecipato di confronto sulla destinazione d’uso dello spazio per dar vita a un nuovo modello di bene comune aperto e transfemminista.

Rimake, che si autodefinisce “spazio di riappropriazione sociale, di autogestione e di mutuo soccorso conflittuale”, rimette al centro la cura come atto collettivo: una visione femminista alternativa a quella dominante che si fonda sul lavoro di cura non pagato, considerato marginale e delegato a chi è più fragile e non può sottrarsi. Una cura basata sul mutualismo e la solidarietà come atti politici nella convinzione che “la via d’uscita alternativa alla crisi siano proprio le relazioni solidali curative che si sono sviluppate tra migliaia di persone, a partire da bisogni comuni e condividendo insieme risorse ed energie”.

Entrambe queste realtà propongono e mettono in pratica modelli di governance degli spazi e del bene comune fondati sull’inclusività, sulla distribuzione orizzontale del potere e sull’autodeterminazione delle persone.

Come molte altre nel nostro paese, Lucha y Siesta e Rimake lottano per non perdere gli spazi in cui agiscono e che hanno restituito alla collettività.

Superare la pandemia, ripartendo dalle alternative esistenti

In tempi di pandemia globale, le realtà raccontate nell’opera - insieme a molte altre di vari territori d’Italia - hanno avuto un ruolo centrale nella lettura di bisogni emergenti e nell’attivazione di risposte concrete, soprattutto laddove le istituzioni non sono arrivate. Sono proprio la loro prossimità e il loro radicamento che hanno reso possibile un’organizzazione tempestiva ed efficace in risposta a vecchi e nuovi bisogni, in un contesto inasprito da una crisi inaspettata e multiforme.

Ed è proprio alla luce dell’attuale crisi sanitaria, sociale ed economica che riteniamo necessario valorizzare il ruolo importante che tali realtà svolgono nei territori, anche oltre la pandemia in corso. La promessa di ripresa e ripartenza delle istituzioni europee e nazionali potrà infatti essere mantenuta solo se costruita in partenariato con le coloro che sul territorio operano da decenni e che più di ogni altra istituzione sono in grado di informare le politiche sui bisogni delle comunità, fungendo spesso da cerniera tra le persone e i servizi formali. Se a pagare il prezzo della crisi saranno soprattutto le donne e le ragazze, valorizzare le realtà che sperimentano pratiche trasformative dei ruoli di genere è oggi, ancora più di ieri, di fondamentale importanza.

Considerando anche solamente l’aspetto economico: le risorse pubbliche non sarebbero utilizzate più efficacemente se si riconoscesse e valorizzasse chi già ora è in grado di leggere e prendere in carico, con un approccio intersezionale, bisogni sociali in evoluzione, visto che il nostro sistema di welfare è già molto sotto pressione?  

Costruire collettivamente

L’opera Sisterhood in the neighborhood. Detoxing public space from patriarchy rimarrà esposta all'interno del padiglione Italia fino a fine novembre 2021.

Il 3 novembre il padiglione ospiterà un evento pubblico, a cui sarà possibile partecipare anche online, in cui tutte le realtà illustrate nell’opera prenderanno parola per confrontarsi con altre/i speaker e partecipanti su cosa significa nel contesto politico attuale proporre alternative femministe nella pratica quotidiana.

Un concetto dinamico e da costruire collettivamente, con il fine ultimo di perseguire insieme un cambiamento tangibile nelle nostre vite e in quelle delle comunità in senso ampio. Partire quindi da esempi concreti nella speranza che siano contagiosi e che ispirino nuovi territori e nuove pratiche trasformative degli squilibri di potere nelle relazioni sociali e nella strutturazione degli spazi pubblici.

Il cambiamento, d’altronde, per essere tale deve essere concreto, reale, vissuto. Non importa se piccolo, ciò che conta è il rumore che fa e la risonanza che può avere sulle persone e sui territori.

Leggi il dossier Che genere di città