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Il nuovo rapporto sullo stato della popolazione nel mondo svela la connessione tra salute delle donne ed economia. Finché non sarà garantito a tutte l'accesso al sistema sanitario non ci sarà nessuna uscita dalla crisi globale

La salute dell'economia
dipende dalle donne

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Foto: Andrea Bruce/NOOR-Unfpa

Sono poco più di 2mila le persone che gestiscono i bilanci miliardari del pianeta, mentre le famiglie che riescono a malapena a sopravvivere, con meno di 1,25 dollari al giorno, sono centinaia di milioni. Le disparità nella distribuzione della ricchezza continuano a crescere con costi altissimi per le donne che si moltiplicano per intere comunità. Con un divario di reddito cresciuto in 34 paesi tra il 2008 e il 2013, e un gap di genere aumentato in 68 paesi dal 2015 al 2016, il prezzo più alto lo pagano le ragazze e le bambine che in vaste aree del globo si vedono negato l’accesso alla salute e all’istruzione, qualcosa che inciderà fortemente sulla possibilità di essere incluse nel mercato del lavoro e di conquistarsi un’autonomia sociale ed economica. È l’istantanea che emerge dal nuovo rapporto annuale del Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione (Unfpa) intitolato Mondi a parte. Salute e diritti riproduttivi nell’epoca della disuguaglianzapresentato il 17 ottobre in contemporanea in più di cento città – tra cui Roma, Londra, Parigi, Madrid, Ginevra, Stoccolma, Berlino, Washington, New York, Bangkok, Johannesburg, Città del Messico.

Disparità di genere e accesso alla salute sessuale e riproduttiva sono i due aspetti che più preoccupano della situazione attuale, avverte il volume, che stavolta mette al centro la condizione economica delle donne. 

Ma cosa c’entra la salute con l’economia? La novità del rapporto di quest’anno sta proprio nell’indagare questa intersezione. “Empowerment economico e salute vanno insieme. L’accesso al mercato lavoro è più agevole se una donna ha la possibillità di essere sana” ha commentato Maria Grazia Panunzi, Presidente dell’Associazione italiana donne per lo sviluppo (Aidos) che ha curato e diffuso il rapporto in Italia. 

Qualcosa che ha molto a che fare anche con il luogo in cui ci si trova a vivere e spesso, indipendentemente dalla latitudine, con la marginalizzazione territoriale. “È più facile smettere di fumare e fare jogging se hai il parchetto sotto casa, ma 1,5 miliardi di persone nel mondo vivono negli slum, e gli slum sono ovunque, anche in Italia” ha ricordato infatti Stefano Vella – Direttore del Centro nazionale salute globale dell’Istituto superiore di sanità, intervenuto alla presentazione del rapporto a Roma.

Le donne del 20 per cento delle famiglie più povere rischiano di essere tagliate fuori dai servizi per la salute sessuale e riproduttiva, compresa la contraccezione e la prevenzione di epidemie, ricorda il rapporto, che significa: più gravidanze indesiderate, maggior rischio di morti per parto, maggior rischio di contrarre malattie come l’Hiv, uscita precoce dai percorsi di istruzione. Mentre questa esclusione determina un consolidamento della posizione in fondo alla scala economica – perché spesso è proprio la pianificazione riproduttiva a permettere la realizzazione dei progetti economici personali e familiari – le donne del 20 per cento di famiglie più ricche accedono più facilmente all’assistenza e ai servizi. Questo consente loro di proseguire gli studi, e di accedere e permanere nel mercato del lavoro abbastanza da rafforzare una posizione economica e sociale all’interno della comunità.

Attualmente è il 50 per cento delle donne a partecipare alla forza lavoro globale (contro il 76% degli uomini) con una disoccupazione che riguarda il 6,2% delle donne (contro il 5,5% degli uomini) e un divario retributivo al 23%. Significa che a livello globale le donne guadagnano il 77% di quanto guadagnano gli uomini. E non è un caso che siano proprio le donne a svolgere la maggior parte del lavoro non retribuito e che le ragazze siano particolarmente a rischio di lavori informali o sottopagati. A favorire queste disparità sono stereotipi radicati nella cultura, vuoti normativi, leggi cattive o applicate male.

Eppure le diseguaglianze di reddito sono in grado di mettere a repentaglio la crescita di intere economie, ricorda il rapporto che citando, tra gli altri, uno studio del 2015, mostra in un grafico come l’aumento del Pil pro-capite sarebbe legato proprio alla riduzione della disuguaglianza di genere. 

Che fare ancora se il divario aumenta nonostante gli impegni presi nei trattati e nelle convenzioni internazionali? L’Unfpa ci prova, lasciando un appunto che va ad inscriversi tra il Programma d’azione della Conferenza internazionale su popolazione e sviluppo del 1994 e gli obiettivi dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile. Un decalogo che forse parla più chiaro chiamando in causa direttamente un reddito minimo sicuro, il potenziamento di servizi come gli asili nido, e la garanzia per tutte le donne di un'assistenza sanitaria di base che sia indipendente dalla loro situazione economica.

 

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