Dopo l'inversione americana sull'aborto, il Parlamento europeo propone di inserire il diritto all'interruzione volontaria di gravidanza nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione. Cosa dice la risoluzione, e come potrà tradursi in un cambiamento normativo
Il 7 luglio 2022 il Parlamento europeo, riunito in seduta plenaria a Strasburgo, ha proposto di inserire “il diritto all'aborto sicuro e legale” nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. La risoluzione, adottata dopo la decisione della Corte suprema statunitense di abolire il diritto costituzionale all'aborto consegnando ai singoli stati americani la competenza di limitarne o vietarne la pratica, richiama la necessità e l'urgenza di tutelare la libertà di scelta e il diritto alla salute delle donne in Europa.
Seguito a una risoluzione precedente – datata 9 giugno 2022, che già denunciava “le minacce al diritto all'aborto nel mondo: possibile revoca del diritto all'aborto negli Stati Uniti da parte della Corte suprema” – e promosso dall’ala progressista del parlamento (Socialisti e Democratici, Renew Europe, Verdi/Alleanza libera europea, The Left), il testo è stato approvato a larga maggioranza con 324 voti favorevoli, 155 voti contrari e 38 astensioni.
Tra i contrari si annoverano i voti dei gruppi conservatori e riformisti europei – Identità e Democrazia, nonché alcuni parlamentari del Partito Popolare Europeo. Non stupisce la posizione contraria di molti eurodeputati italiani afferenti ai partiti di Lega e Fratelli d’Italia
L'aborto come diritto fondamentale
Gli eurodeputati chiedono che il diritto all’aborto sia inserito nella Carta di Nizza, ritenendo necessario che venga presentata al Consiglio europeo una proposta intesa a emendare la Carta con l’aggiunta di un nuovo articolo, il cosiddetto 7bis, che riporti come: “ogni persona ha diritto all'aborto sicuro e legale”. A tal fine, il parlamento ha richiamato un’altra risoluzione, datata anche questa 9 giugno 2022, che già suggeriva la convocazione di una "convenzione per la revisione dei trattati dell’Ue" per dare un seguito concreto alla chiusura della Conferenza sul futuro dell'Europa.
Gli eurodeputati hanno condannato fermamente “la regressione in materia di diritti delle donne e di salute sessuale e riproduttiva e relativi diritti”, ricordando come questi “sono diritti umani fondamentali che dovrebbero essere tutelati e rafforzati, e non possono in alcun modo essere indeboliti o revocati” ed esprimendo “preoccupazione per un possibile aumento del flusso di denaro per finanziare gruppi anti-genere e anti-scelta”.
Risulta apprezzabile la sensibilità manifestata dagli europarlamentari nell’esprimere “profonda preoccupazione per il fatto che i divieti e le altre restrizioni all'aborto colpiscono in modo sproporzionato le donne in condizioni di povertà, in particolare le donne che sono vittime di discriminazioni razziali (…), nonché le donne provenienti dalle zone rurali, le persone LGBTIQ, le donne con disabilità, le adolescenti, le donne migranti, (…) e le famiglie monoparentali con un capofamiglia donna”.
In questo senso il parlamento ha lanciato una doppia esortazione all’Ue e ai suoi stati membri, invitandoli a “riconoscere giuridicamente” e “depenalizzare l'aborto, e a eliminare e combattere gli ostacoli all'aborto sicuro e legale e all'accesso alla salute sessuale e riproduttiva e ai relativi diritti”. Si tratta di un appello quanto più appropriato nel panorama europeo attuale, “considerando che l'aborto è vietato a Malta; che l'aborto farmacologico nelle prime fasi della gravidanza non è legale in Slovacchia e non è praticato in Ungheria; che in Italia la piena applicazione della Legge 194 del 1978 sull’interruzione volontaria di gravidanza non è mai stata garantita; che in altri stati membri dell'Ue, come di recente in Croazia, si nega l'accesso all'assistenza in caso di aborto”.
Altri servizi fondamentali, secondo il parlamento, vanno garantiti accanto a quelli per interrompere volontariamente una gravidanza in un modo sicuro, legale e gratuito. Sono “servizi e forniture di assistenza sanitaria prenatale e materna, pianificazione familiare volontaria, contraccezione e servizi adatti ai giovani, nonché prevenzione, trattamento, assistenza e sostegno nella lotta all'HIV”. In questo quadro, risulta necessario “intensificare il sostegno politico a favore dei difensori dei diritti umani e dei prestatori di assistenza sanitaria che lavorano per far progredire la salute sessuale e riproduttiva […] nonché […] delle organizzazioni di base per i diritti delle donne, che sono attori chiave per le società fondate sull'uguaglianza di genere”.
In chiusura del testo della risoluzione, il parlamento avanza due richieste agli Stati Uniti, invitando, da un lato, il Congresso ad approvare “un progetto di legge che tuteli l'aborto a livello federale” e, dall’altro, il governo “a garantire la protezione dei dati per tutti, in particolare per coloro che desiderano abortire, effettuano e facilitano l'aborto, bloccando il tracciamento comportamentale, rafforzando le politiche di cancellazione dei dati, (…) e cifrando i dati in transito”.
Un messaggio forte, ma l'ultima parola spetta ai singoli stati
Il messaggio politico nettamente progressista e femminista contenuto nella Risoluzione del 7 luglio 2022 non va tuttavia di pari passo con il suo valore legale poiché, nell’ordinamento giuridico dell’Unione europea, le risoluzioni si annoverano tra le fonti del diritto prive di efficacia vincolante per i loro destinatari, nonché atipiche.[1] Tali caratteristiche non hanno comunque impedito un utilizzo sempre più frequente di risoluzioni da parte del parlamento, che ne ha definito la posizione politica, stimolando all’azione le altre istituzioni.
In questo caso, l’elemento fondamentale sta nel reiterato appello rivolto al Consiglio dell’Unione europea, a sottoporre le proposte enunciate all’esame del Consiglio europeo “al fine di convocare una Convenzione composta da rappresentanti dei parlamenti nazionali, dei capi di Stato o di governo degli Stati membri, del Parlamento e della Commissione” finalizzata alla revisione dei Trattati dell’UE, come si legge nella risoluzione del Parlamento europeo del 9 giugno 2022.[2] Tale procedura, per altro estremamente complessa e che richiede il voto unanime degli stati membri, costituisce l’unica possibilità concreta di emendare la Carta di Nizza includendovi il diritto all’aborto, che assurgerebbe così a diritto fondamentale dell’Ue.
Dall’entrata in vigore del Trattato di Lisbona nel 2009, infatti, la Carta ha acquistato il medesimo valore giuridico dei Trattati, e “considerando che [questa] sancisce i principali diritti e libertà fondamentali per le persone che vivono nell'Ue; che la protezione dell'aborto sicuro e legale ha implicazioni dirette per l'esercizio effettivo dei diritti riconosciuti dalla Carta, quali la dignità umana, l'autonomia personale, l'uguaglianza e l'integrità fisica” come spiega la risoluzione del 7 luglio, la sua inclusione nel testo non deve apparire peregrina.
Spetterà dunque a capi di stato e di governo dei 27 paesi membri, in occasione del Consiglio europeo, rispondere alle risoluzioni del parlamento e decidere se convocare o meno una convenzione.
C'è poi da considerare che la procedura di revisione dei trattati europei è una procedura estremamente laboriosa, che richiede anni di negoziati al fine di raggiungere l’unanimità dei 27 Stati membri, poiché ciascuno di essi conserva un sostanziale potere di veto. Inoltre, alcuni stati membri richiedono che i loro parlamenti nazionali sostengano le modifiche, mentre altri devono ottenere l'approvazione tramite referendum popolare.[3]
Ad oggi, stando a quanto è emerso dall’ultima riunione del Consiglio europeo del 23 e 24 giugno 2022, siamo al corrente solo di una tiepida presa d’atto “delle proposte contenute nella relazione sui risultati della Conferenza” sul Futuro dell’Europa, di cui “le istituzioni devono garantire un seguito efficace”.[4] Quindi sappiamo già che la strada per un aborto sicuro, legale e gratuito come diritto fondamentale dell’ordinamento europeo è ancora tutta in salita.
Note
[1] Vale a dire non incluse nell’elenco di cui all’articolo 288 del TFUE (ex articolo 249 del TCE).