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In Italia il valore del lavoro di cura svolto dalle famiglie gratuitamente supera i 50 miliardi di euro. La maggior parte di questo lavoro è ancora a carico delle donne che, tra attività retribuite e non, lavorano più degli uomini ma guadagnano meno

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Foto: Unsplash/ Volha Flaxeco

L’Istat ha recentemente pubblicato il suo rapporto sull’uso del tempo.[1] Il rapporto, che mette a confronto i dati sull’uso del tempo degli italiani a partire dal 1988 – anno della prima rilevazione – a oggi, non si limita ad analizzare l’uso del tempo da parte della popolazione, ma attraverso l’analisi della iniqua divisione del lavoro tra uomini e donne fa emergere, ancora una volta, come sottovalutare il valore del lavoro non retribuito significhi avere una visione parziale dell’economia del nostro paese. 

Il report sottolinea, in primo luogo, la marcata disuguaglianza di genere nella divisione del lavoro non retribuito che caratterizza l’Italia. L’ultima rilevazione sull’uso del tempo, del 2014, mette in evidenza, infatti, che le donne in media dedicano al lavoro non retribuito circa 5 ore al giorno mentre gli uomini solo poco più di 2 ore. Fa da contrappeso il basso numero medio di ore di lavoro retribuito quotidiano delle donne (circa 1 ora e 30) rispetto a quello degli uomini (circa 3 ore). Ciononostante, le donne in Italia, quando consideriamo sia il lavoro retribuito che quello non retribuito, lavorano in media più ore degli uomini. Nel 2014 le donne hanno lavorato oltre un’ora al giorno in più rispetto agli uomini: 6 ore e 20 minuti contro 5 ore e 11 minuti. 

Nel nostro paese le differenze di genere nei tempi di lavoro totale crescono con l’età, passando dai 42 minuti che si registrano tra i 15-24enni fino a 1 ora e 52 minuti tra gli ultra-sessantaquattrenni. La differenza di genere nel lavoro totale si attenua tra gli occupati (52 minuti) e si rinforza nel Mezzogiorno del Paese (1 ora e 23 minuti nelle Isole e 1 ora e 29 minuti al Sud). In sintesi, avere un lavoro retribuito avvicina leggermente i tempi delle donne a quelli degli uomini, mentre la visione più tradizionale dei ruoli di genere in alcune aree del paese inibisce la redistribuzione dei carichi di lavoro non retribuito.

Figura 1: Ore di lavoro totale e composizione tra tempi di lavoro retribuito e tempi di lavoro non retribuito per genere e condizione - Anni 2013-2014 (durata media generica in ore e minuti e composizione percentuale)

 

Fonte: Istat

Esaminando come cambia per genere la composizione del tempo di lavoro totale tra lavoro retribuito e lavoro non retribuito, ritroviamo chiaramente come il modello culturale del male breadwinner-female caregiver sia ancora ben radicato nella società italiana: mentre per gli uomini il 62,4 per cento del tempo di lavoro totale è assorbito dal lavoro retribuito e il 37,6 per cento da quello non retribuito, la situazione è più che capovolta per le donne, che concentrano il 75 per cento del loro monte ore di lavoro quotidiano sul lavoro non retribuito. Questo fa sì che in Italia oltre la metà delle occupate risulti sovraccarica di lavoro (54,7 per cento), cioè lavori per oltre sessanta ore a settimana tra impegni di lavoro retribuito e non; indicatore che scende al 47,3 per cento tra gli occupati maschi. In altre parole, per gli uomini occupati alle quasi 42 ore di lavoro retribuito settimanale si sommano circa 10 ore e mezza di lavoro non retribuito, raggiungendo una media attorno alle 52 ore di lavoro totale a settimana; per le donne occupate alle circa 32 ore di lavoro retribuito si sommano oltre 26 ore di lavoro non retribuito, raggiungendo una media di oltre 58 ore di lavoro totale a settimana, cioè in media 6 ore più degli uomini.

Guardando nello specifico alle ore di lavoro non retribuito, la maggior parte delle ore di lavoro non retribuito è destinato al lavoro domestico (il 74,5 per cento, equivalente a 2 ore e 48 minuti al giorno), il 10,8 percento al lavoro di cura di bambini e degli adulti e disabili conviventi, seguito da una quota quasi equivalente spesa negli spostamenti compiuti per svolgere attività di lavoro non retribuito (9,6 percento); il restante 4,9 percento del lavoro non retribuito è dedicato al lavoro volontario. 

L’analisi di genere sulla composizione del lavoro non retribuito vede le donne maggiormente impegnate nei lavori domestici, mentre gli uomini tendono a dedicarsi prevalentemente al lavoro di cura, alle attività di spostamento e accompagnamento nonché al lavoro volontario. Dal 2002 il tempo dedicato quotidianamente al lavoro non retribuito dal complesso della popolazione è rimasto abbastanza stabile, tuttavia questo è il risultato di dinamiche opposte che hanno visto diminuire il contributo femminile (da 5 ore e 31 minuti a 5 ore e 9 minuti) e crescere quello maschile (da 1 ora e 59 minuti a 2 ore e 16 minuti). 

Come già detto, gli uomini preferiscono dedicarsi al lavoro di cura, prediligendo le attività non rutinarie e che prevedono la maggiore interazione con la persona della quale ci si prende cura (bambino o anziano/disabile). E infatti se si guarda a quelle attività di cura dei bambini che prevedono l’interazione, si può notare che seppure la percentuale di uomini che si occupa della cura dei bambini (8,6) sia più bassa di quella delle donne (10,4), gli uomini superano le donne per la quantità di tempo dedicano a questo tipo di attività (1 ora e 3 minuti al giorno contro 58 minuti), confermando la loro propensione a scegliere attività di cura più piacevoli e appaganti. 

Al pari dei bambini, un’altra parte della popolazione che necessita di cure è quella degli anziani e dei disabili. Tali attività coinvolgono quotidianamente il 5,1 percento delle donne e il 2,8 percento degli uomini. Tuttavia, il tempo che vi dedicano è più contenuto per le prime piuttosto che per i secondi (56 minuti al giorno contro 1 ora e 21 minuti). In altre parole, emerge che le donne si dedicano per la maggior parte alle attività di più breve durata e, come per i bambini, esse sono maggiormente coinvolte nelle attività legate alle cure fisiche o alle prestazioni sanitarie, mentre gli uomini prediligono le altre tipologie di assistenza generica (fare compagnia, accompagnare, ecc.), alle quali dedicano più tempo che le donne (2 ore e 13 minuti contro 1 ora e 46 minuti).

Figura 2: Ammontare di ore annue destinate alla cura di familiari conviventi - Anni 2002-2003, 2008-2009 e 2013-2014 (in miliardi di ore)

 

Fonte: Istat

Il report dedica un approfondimento interessante al valore del lavoro non retribuito e, in particolare, al valore del lavoro di cura prodotto dalle famiglie in Italia, che, come abbiamo visto, viene in gran parte svolto dalle donne. Vi si evidenzia che in Italia, che è caratterizzata da un sistema di welfare “sub-protettivo” e “familista” dove la cura dei soggetti bisognosi (bambini, anziani, malati ed emarginati) è largamente demandata a famiglie e volontari, l’entità del lavoro prodotto dalle famiglie nelle varie attività di cura è stimata oltre i 50 miliardi di euro. Per quanto riguarda la cura dei bambini, nel 2014 le famiglie vi hanno dedicato 5,7 miliardi di ore che equivalgono a più di 44 miliardi di euro. Di questi il 29,2 percento è prodotto dagli uomini e il 70,8 percento dalle donne. Inoltre, 815 milioni di ore sono state destinate all’assistenza di adulti e/o disabili conviventi, per un valore di 6,4 miliardi di euro. In questa tipologia di attività le differenze di genere risultano meno evidenti, con il 57,4 percento della produzione a carico delle donne e il restante 42,6 percento generato dagli uomini. Rispetto al passato sono costantemente cresciute le ore destinate alla cura dei bambini, passate dai 4,9 miliardi di ore del 2002 ai 5,7 del 2014; mentre sono diminuite le ore destinate alla cura di adulti/disabili conviventi.

In sintesi, il report Istat pone in evidenza per l’ennesima volta come il sistema di welfare italiano sia basato sulle famiglie, che nel 2014 hanno generato quasi 6,5 miliardi di ore di lavoro destinate alla cura dei soggetti non autosufficienti, e in modo particolare sulle donne, che sono coloro che svolgono la maggior parte del lavoro di cura. Considerare questi dati significa comprendere come politiche pubbliche di sostegno alle famiglie – ad esempio maggiori servizi pubblici per l’infanzia – possono liberare risorse da reinvestire sul mercato, soprattutto in termini di aumento della partecipazione femminile al mercato del lavoro.

Note

[1] I Tempi della Vita Quotidiana. Lavoro, Conciliazione, Parità di Genere e Benessere Soggettivo, Istat, 2019

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