L’estate di inGenere è ricca di pensieri su orizzonti femministi indirizzati alle ragazze che stanno vivendo il presente e alle donne che vivranno nel futuro. Li abbiamo chiamati "messaggi in bottiglia". In questo, Mara Gasbarrone riflette su cosa significa diventare vecchie nel terzo millennio
Cosa significherà per me vivere il nono decennio della mia vita negli anni ’30 del XXI secolo? Per tentare di prevederlo, mi è sembrato necessario guardare indietro, alla vecchiaia novecentesca di mia madre, e quindi alla vecchiaia come l’ho conosciuta io (da spettatrice) quando ero giovane. E poi alla vecchiaia come è diventata negli anni, quella che vivo oggi, quella che forse vivrò domani. Esperienze, frivolezze e non solo.
Riti di passaggio che non esistono più (e forse non è il caso di rimpiangerli)
Vi ricordate le nozze d’argento e le nozze d’oro dei nostri genitori? Riti religiosi e riti “civili”, con rinnovo delle promesse originarie, grandi banchetti per parenti e amici, scambio di regali. Oggi, a malapena sussistono un po’ di matrimoni (molto meno di una volta), figuriamoci le fotocopie successive. Al massimo un gelato da Fassi, come fece mia cugina, e allora ci contammo sulla punta delle dita. Le mie, di nozze d’argento, nel 2011, non solo non le ricordo adesso, ma all’epoca me ne dimenticai, non solo di celebrarle, ma proprio non mi accorsi che nel calendario ricorreva “quella” data.
E così il lutto, i vestiti neri ai funerali, seguiti dal mezzo lutto, in grigio scuro. Per mogli, sorelle e figlie, non per gli uomini, ai quali bastava un bottone nero sulla giacca. Una decina di anni fa, al funerale di un mio anziano cugino, portavano il nero solo i giovani nipoti, che un vestito nero se lo ritrovavano nell’armadio, come accessorio utile quando andavano a suonare, o a ballare.
Altri momenti di transizione sono rimasti uguali, e senza alcun rito di passaggio: la cataratta, intorno ai 70, e tutto il comparto odontoiatrico (dentiera, impianti, ponti, ecc. ecc.). Quest’ultimo, variabile secondo il portafoglio: se te lo puoi permettere, puoi salvare il sorriso, altrimenti invecchierai sdentata.
Non ci sono più i tacchi di una volta
Non vi fate ingannare dai tacchi 12 delle attrici, o delle giornaliste nei talk show televisivi, arrampicate su quegli strani sgabelli e in bilico sui loro tacchi vertiginosi: sono le leggi dello spettacolo. Fate invece una piccola indagine statistica, su quali calzature portano le donne normali che camminano per strada, con le borse della spesa, i carrelli, spingendo la carrozzina del pupo, accompagnando il cane nell’uscita quotidiana. Oggi ho contato una decina di scarpe che una volta avrei definito “da ginnastica”, adesso si chiamano sneakers, prima di incontrare un accenno di tacco, abbinato a una gonna, altro indumento in via di sparizione.
Con l’aiuto degli archivi del mio defunto blog “avanzi di cucina”, recupero un ricordo di una ventina di anni fa, questa volta in un negozio di calzature. Personaggi e interpreti: io, mia madre allora più che ottantenne, una giovane commessa. Io accompagno mamma a comprarsi un paio di scarpe nuove, cercando di persuaderla a scegliere un modello comodo e sicuro, per camminare senza rischiare rovinose cadute. Lei è fedele al suo personale modello di eleganza, che richiede un po’ di tacco, non proprio raso terra come le scarpe che porto io, sua figlia.
Mi lascio sfuggire davanti alla commessa un riferimento all’età di mia madre. Non l’avessi mai fatto: complimenti perché gli 80 proprio non li dimostra, e poi un fiume di melense stupidaggini. Subito mamma viene definita “nonnina”: non ha nipoti, come almeno un terzo delle sue coetanee, ma per la commessa tutte le ottantenni sono nonnine. Mamma abbocca all’amo della commessa, parla diffusamente delle sue origini romagnole, e ormai si è azzerato il mio peso contrattuale nella scelta delle scarpe, che è diventata tutta una cosa privata fra la commessa e mia madre. Che alla fine comprò le scarpe col mezzo tacco.
Ho l’impressione che – al contrario della mia mamma – le attuali ottantenni (e non solo loro), abbiano optato decisamente per la comodità, e (indirettamente) per un miglior controllo delle loro vite. Che i tacchi appartenessero un po’ alla stessa categoria dei piedi fasciati delle donne cinesi, lo avevo sempre sospettato.
Mi sono divertita a confrontare le scarpe con i tacchi che Rita Levi Montalcini, elegantissima scienziata, indossava all’epoca del Nobel (1986, 40 anni fa), con quelle – fortemente ancorate a terra – di Ornella Vanoni, oggi quasi novantenne donna di spettacolo, alla quale le attuali tendenze della moda, più tollerante e pluralista, hanno consentito questa libertà. Se qualcuna pensa di accusarmi di pregiudizi talebani contro i tacchi alti, posso dire che sono in ottima compagnia. Sentite cosa ne scrive Nora Ephron (cito da Il collo mi fa impazzire, Feltrinelli, pag.19): “Non vorrei sembrare pignola, ma una borsetta (come i tacchi alti) incide veramente sulla mobilità di una persona. E questa è una delle tante ragioni per cui il trend dei maschi-con-borsetta non attecchisce”.
Ma che cos’è diventata la vecchiaia?
Non è più una fase della vita in cui diventi arcaica e decrepita, sembrerebbe piuttosto una tarda maturità, in cui continui a fare le cose che hai sempre fatto, magari prendendoti i tuoi tempi, permettendoti qualche comodità in più, selezionando le persone da frequentare per evitare chi ti fa perdere tempo.
Fiorella Mannoia festeggia i suoi 70 anni. Da quando non ci sembra più necessario “aggiustare” l’età ? Magari tutte ringiovaniamo la nostra foto sui social, ma sventolare la propria data di nascita, ormai si fa, è prassi sdoganata. In molte scegliamo di tenerci i capelli grigi: un’opzione estetica come un’altra, eventualmente revocabile. Una mia amica ha optato per il colore verso gli 85, stava bene prima, e sta bene adesso.
Ogni tanto leggiamo (o meglio, leggevamo) dei continui incessanti progressi della speranza di vita. Poi è venuto il Covid, le ondate di calore, e di progressi se ne sono visti di meno. In ogni caso, l’aspettativa di vita è come la media del pollo: nulla dice sui destini individuali di ciascuna e ciascuno. Anzi: per ora gli uomini stanno guadagnando di più, perché erano più indietro e hanno più anni da recuperare.
L’età giusta
Raffaella Carrà, Umberto Eco, Gigi Proietti, cosa hanno in comune? Personaggi pubblici, che - quando sono morti - hanno suscitato in molti la stessa domanda: ma è possibile? così presto? Eppure non sembravano vecchi, non erano come la regina Elisabetta, come Marisa Rodano, di cui era legittimo aspettarsi la dipartita. Insomma, qual è l’età giusta per andarsene? Purtroppo, pare che non esista un’età giusta: vedi Michela Murgia, Andrea Purgatori, David Sassoli, tanti e tante altre.
Le nostre sorelle femministe in particolare hanno dimostrato una speciale propensione a questi abbandoni prematuri e repentini: a cominciare da Mariella Gramaglia che ha fatto parte del nostro collettivo, Paola Masi anima di DWF e sempre amica di inGenere, Rosetta Stella, Bia Sarasini, Bianca Pomeranzi, Donatella Sommani, Elena Pulcini. E prima ancora Annarita Buttafuoco e Fabrizia Ramondino. Tutte più giovani di me: nate dopo di me, oppure morte prima dell’età che io ho oggi, 75 anni. Poi ancora Roberta Tatafiore e Clara Sereni, che scelsero volontariamente di andarsene. Perdonate questa piccola Spoon River, in cui ho citato solo alcune donne che hanno fatto parte in qualche modo della mia vita.
Piccole inquietudini, fra Spid e microonde
C’è stato un tempo, fino a qualche mese fa, in cui le Poste italiane erano più indulgenti con gli utenti di Spid ultra 70enni. Solo loro avevano diritto a ricevere un codice via sms, anziché doversi dotare di apposita app, necessitante di smartphone aggiornato e abbastanza capiente. Ora pare che questa indulgenza temporanea sia terminata, e così non riesco più ad accedere al mio fascicolo sanitario e tanto meno al cassetto fiscale. Pensare che ero riuscita addirittura a fare il cambio del medico di medicina generale… Giovane e donna, che peraltro deve ancora imparare a caricare i miei referti e le mie analisi. Resiste ancora il privilegio di conservare il mercato tutelato per le utenze elettriche, in quanto soggetti a priori vulnerabili.
Dopo 40 anni di onorato servizio, il mio forno a microonde mi ha abbandonato. Ricordo che all’epoca, quando lo comprai, convinta di introdurre in casa mia il progresso tecnico, dovetti fronteggiare critiche e perplessità di varia provenienza, dalla famiglia e dalle amiche: ma non sarà pericoloso? Perché non limitarsi a un tradizionale, più sicuro, forno elettrico? E ieri, invece, dal negoziante presso il quale ho ordinato quello nuovo, ho avuto un entusiastico riconoscimento di “cliente-casalinga perfetta”, capace di far durare un elettrodomestico per ben quattro decenni. Inevitabilmente, nella mia mente silenziosamente calcolavo per quanti decenni mi avrebbe accompagnata quello nuovo: certamente molto meno di quattro.
Ascensori, barriere architettoniche e arresti domiciliari
Un'amica mi dice (e concordo) che in Germania (ma anche in Alto Adige, negli alberghi) si vedono tanti disabili che girano con le loro sedie a rotelle, prendono tram e treni, fanno cose. Ci sono più disabili in quelle terre? No, da noi i disabili (e molti/e anziani/e lo diventano) rimangono agli arresti domiciliari.
Perché, anche se i Comuni hanno messo rampe e attrezzi vari per facilitare gli ingressi agli uffici, questi rimangono inutili e inutilizzati, in quanto i disabili (anzi le, per lo più) non possono neanche uscire di casa, senza ascensori idonei e pedane mobili, perché i condomini se ne fregano delle loro necessità (questi attrezzi turberebbero l'estetica del palazzo e nessuno sportello informa sulle agevolazioni esistenti).
Non parliamo dei mezzi di trasporto: scalini troppo alti per salire e scendere dagli autobus, maniglie cui appendersi riservate a persone di alta statura, ascensori inservibili nelle stazioni metro, e via enumerando.
Fa caldo, ma farà sempre più caldo
Quando lavoravo, un viaggio all’estero l’estate non me lo levava nessuno. Le ferie, obbligate, erano ad agosto, per me possibilmente a luglio. Oggi è impensabile. Passo luglio e agosto chiusa in casa con l’aria condizionata, raramente vado al mare, preferibilmente se mi ci portano, e solo se è possibile parcheggiare la macchina all’ombra. Ho dovuto metabolizzare la perdita di quella stagione che si passava all’aria aperta.
Il turismo mi appare sempre più un’attività faticosa, ai limiti del sopportabile. Eppure, la voglia di conoscere paesaggi e persone diverse c’è ancora tutta intera. Rinuncio, mi astengo, rifugiandomi in estate nella casa degli avi in collina, e converto i miei interessi, nella misura del possibile.
Fin qui, rientriamo abbondantemente nella categoria dell’adattamento ai cambiamenti climatici, non certo della mitigazione. D’altra parte, non saprei cosa fare per dare il mio piccolo personale contributo alla mitigazione. Piantare alberi sul mio balcone? Si seccherebbero, esposti a sud-ovest. Metterci un pannello solare? Il condominio ha già detto di no. Dare via l’automobile, che sarebbe pure ibrida, ma che non uso quasi mai? Per ora rinvio, aggiornando via via la lista delle amiche che hanno smesso di guidare.
Mi difendo come posso. Le previsioni catastrofiche (ma realiste) di un aumento della temperatura oltre i 2,5 gradi entro fine secolo non mi riguardano direttamente, perché certamente non ci sarò più, ma – anche se tremo per i nipoti – non posso non preoccuparmi anche per me, per gli anni che mi rimangono da vivere, e che vorrei vivere non troppo male.
E il testamento? Un tabù? Perché non se ne parla?
Fra le carte di famiglia, ho ritrovato il testamento di mia suocera, che non ho conosciuto, perché morì prima che conoscessi mio marito. Andò dal notaio e lasciò qualcosa alla prima nipotina, che oggi, a quarant’anni passati, ha una sicurezza in più.
Di testamenti mancati, invece, ne ho sentiti tanti: varie amiche che non si erano sposate, e non avevano voluto sposarsi, preferendo una libera convivenza, rimasero prive di reversibilità, di eredità e così via: “vedove” povere, senza neanche esserlo ufficialmente. Un’altra amica morì all’improvviso da sola in casa, e il suo testamento non si trovò, per cui una sorella ricca e antipatica “ope legis” ereditò tutto.
Però, specialmente chi non ha figli/e, un pensiero ce lo dovrebbe fare. Noi donne childless siamo l’11% delle nate nel 1950, e il doppio nella generazione del 1978. Lunga vita ai nostri corpi e ai nostri cervelli, ma siamo comunque un po’ responsabili anche per chi viene dopo di noi.