Storie

Giovanna Scassellati, ginecologa del San Camillo di Roma, sull'applicazione della 194: "Le donne devono denunciare l'illegalità, Zingaretti assuma i 20 non obiettori in graduatoria nei consultori del Lazio"

Gli ospedali non
possono obiettare

6 min lettura
Foto: Flickr/ Jonathan Crow

Mentre la Regione Lazio apre alla sperimentazione dell'aborto farmacologico nei consultori, dove dall'estate prossima sarà possibile accedere alla pillola Ru486, facciamo il punto sull'applicazione della legge 194 con Giovanna Scassellati, ginecologa e ostetrica dell'Ospedale San Camillo di Roma, di recente preso di mira da accese polemiche per un concorso bandito rivolto a soli medici non obiettori.

La pubblicazione del bando di concorso per l’assunzione di due medici non obiettori bandito dalla vostra struttura ha suscitato critiche e disaccordi anche da personalità istituzionali. Cosa prevedeva il concorso, nello specifico, e perché è stato ritenuto necessario per la vostra struttura?

Il concorso è stato indetto perché noi siamo il più grosso ospedale che fornisce il servizio di interruzione volontaria di gravidanza non solo nel Lazio ma anche a livello nazionale. Avevamo due colleghi non obiettori che lavoravano in questa struttura dal 2000 con contratti a scadenza che venivano rinnovati ogni due anni. Ma questa tipologia di contratto non prevede un rinnovo all’infinito e noi semplicemente abbiamo bisogno del lavoro di medici che siano in grado di offrire un servizio completo all’utenza: dall’ostetricia, alla ginecologia, alle guardie, all’interruzione volontaria di gravidanza.

Quello che ha scosso una parte dell'opinione pubblica è stato il fatto che il concorso si rivolgesse esclusivamente a medici "non obiettori". Com'è andata alla fine?

Di 57 domande pervenute all’esame si sono presentate 20 persone in totale. I due colleghi hanno vinto perché ogni anno di servizio dava un punto e loro ne avevano 16 alle spalle. In più, sì, c’era il requisito della non obiezione di coscienza, perché, come detto, la struttura ha bisogno di personale che offra un servizio completo per rispondere adeguatamente alla domanda che ci arriva ogni giorno.

Gli ultimi dati ministeriali, relativi al 2015, parlano di oltre 9.600 interruzioni volontarie di gravidanza all'anno nel Lazio, si registra quindi una diminuzione rispetto agli anni precedenti, almeno tra le interruzioni legali. Quante sono le interruzioni di gravidanza chirurgiche e farmacologiche nel vostro ospedale?

Noi facciamo di solito circa 3mila interruzioni volontarie di gravidanza all’anno. Nell’ultimo sono state di meno: ne abbiamo fatte più di 1400 chirurgiche, 810 Ru486 e 126 aborti terapeutici dopo il novantesimo giorno. Come dicevo, lavoriamo su grandi numeri.

Cosa ne pensa della prassi farmacologica? Secondo lei potrebbe facilitare la gestione ospedaliera degli aborti? Le misure di educazione e prevenzione sono sufficienti?  

Sicuramente la prassi farmacologica potrebbe demedicalizzare l’aborto. In Francia le donne abortiscono in casa. Da noi, a livello di educazione e prevenzione stiamo a zero. Le donne non hanno nessuna idea di come funzioni il proprio corpo o l'apparato riproduttivo, c’è un’incapacità totale in questo senso. 

Beh, non sarà colpa delle singole donne… sarà anche un problema di cultura dei corpi e della sessualità, dello smantellamento dei consultori.

Come no, beh è colpa anche delle singole. A volte non sanno neanche quando sia il periodo più fecondo, hanno letto qualche cosa, ancora si usa molto il coito interrotto. Già solo se tutti usassero il preservativo sempre, abbasseremmo il tasso di diffusione delle malattie sessualmente trasmesse. Siamo l’unico paese dove l’Hiv e la sifilide si trasmettono per via eterosessuale. Le donne dovrebbero aprire gli occhi. Siamo l’ultimo paese d’Europa a usare la pillola, a usarla sono poco più del 6% delle donne, solo in Sardegna la usano il 15%. Non so da cosa dipenda. Tutti pensano che la pillola faccia male, invece protegge dai tumori.

Torniamo al servizio. Nel Lazio l’obiezione di coscienza tra i medici è circa dell’80%, la più alta tra le regioni dell’Italia...

L’obiezione di coscienza è un fenomeno davvero sconveniente. Se pensiamo che il 40% dell’attività di ostetricia è costituita da aborti, sia spontanei che indotti, capiamo bene che in pratica è un meccanismo che autorizza i medici a non lavorare. Nel nostro caso sarebbe stato impensabile continuare a rispondere a una domanda di questo tipo con due soli medici, per di più sottopagati. Nel Lazio, e lo confermano i dati diffusi ogni anno dalla Regione, noi lavoriamo molto di più rispetto alle altre regioni. Nel Lazio ogni operatore fa 4,2 interruzioni al giorno, nelle altre regioni la media scende a 1,2. A Roma c’è la concentrazione più alta, al nostro ospedale arriva gente da tutto il Lazio ma anche dalle altre regioni, persino dalla Sicilia. In tutto questo, le altre province del Lazio sono completamente sfornite. È assurdo che, per fare un esempio reale, si siano incontrate qui due donne di Frosinone perché a Frosinone non c’è servizio. 

Di questo si parla, quando si parla di cattiva applicazione della legge, secondo cui a obiettare possono essere i singoli, non le strutture. E invece dai dati ministeriali si vede che, restando sempre nel Lazio, su oltre 50 strutture presenti sul territorio solo in 20 è possibile accedere all’interruzione volontaria di gravidanza. Una dimensione che rischia davvero di impedire l’accesso delle donne al diritto alla salute. 

È già così, e vorrei che qualcuno mi spiegasse perché ad esempio il Sant’Andrea non fa interruzioni di gravidanza. Si tratta di un ospedale pubblico, universitario, e che dovrebbe insegnare agli studenti a svolgere il loro lavoro per intero. Al Policlinico Umberto I l’anno scorso hanno fatto 336 interventi, Rieti ne fa uno a settimana, Anzio ne fa uno a settimana, Latina ne fa 7 a settimana e non copre il suo territorio, questo è molto grave. Le donne di Latina sono costrette ad andare a Caserta o venire a Roma. Perché il collega che prende uno stipendio come il mio, a Latina, non può fare gli aborti terapeutici? Io lavoro tre volte in più, per lo stesso stipendio e molto mobbing. E mi arriva di tutto, situazioni al limite, ma io non sono un'aspirapolvere e il nostro è un ospedale serio. Allora se la situazione è questa e tutta la domanda si sposta su strutture come la nostra, noi abbiamo bisogno dei mezzi per lavorare.

Avete bisogno di personale.

Sì, io voglio che la graduatoria vada avanti. Che vengano assunte anche le colleghe e i colleghi che si sono posizionati ai posti successivi. Perché è dal 2000 che noi ci gestiamo un terzo delle Ivg regionali, solo oggi 18 tra chirurgiche e farmacologiche. Non ce la facciamo. Lancio un appello al Presidente Zingaretti: assumiamoli tutti e 20 e distribuiamoli nei consultori del Lazio, ripartiamo da lì.

Il concorso del San Camillo diventerà un modello per altre regioni? 

Sì, potrebbe diventarlo. Ce lo confermano anche gli avvocati della Cgil che hanno fatto il ricorso alla Corte Europea, che ha richiamato l’Italia perché inadempiente rispetto alla legge 194. Per il resto, il primo strumento è nelle mani delle donne. Bisogna iniziare a denunciare, recarsi alla caserma dei carabinieri e far mettere agli atti tre righe in cui si specifica che negli ospedali del proprio territorio tutti i medici sono obiettori e non è garantito il servizio. Perché si tratta di una situazione illegale, e ogni donna è nel diritto di farlo presente, aprendo così la strada per le altre. Magari non andrà in porto per la singola, ma se lo fanno più donne i direttori generali degli ospedali saranno costretti ad aprire un capitolo.