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Marta Venturini, compositrice e produttrice, ha lanciato Calcutta nel 2015 e ha lavorato con alcune delle voci più note in Italia, da Paola Turci a Emma Marrone, passando per Giusy Ferreri e Fedez. In un'intervista ci racconta cosa significa fare questo lavoro

Produrre dischi
e farlo bene

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Marta Venturini, compositrice e produttrice, è co-fondatrice dello studio di registrazione Studionero. Ha lavorato come autrice per Warner Chappell, nel 2015 ha prodotto per Calcutta l’album “Mainstream” (disco d’oro) e il singolo "Gaetano” (disco di platino). Ha collaborato con Emma Marrone, Paola Turci, Enzo Avitabile, Galeffi, Roberto Casalino, Alessandra Amoroso, Giusy Ferreri, Fedez e tanti altri. Nel 2020 ha aperto la sua etichetta discografica 'Rumore di Zona' che comprende nel suo poster i progetti di Boreale, Disco Zodiac e Carrese. L'abbiamo intervistata.

Come è nata la tua passione per la produzione musicale? Come sei arrivata al lavoro che fai oggi e a fondare il tuo studio, StudioNero?

La mia passione per la produzione musicale è nata da una necessità in realtà, quella di produrre i miei brani, che altrimenti non avrebbero mai visto la luce. Quindi in un certo senso la mia vera passione da sempre sono le canzoni. Avevo una band a vent'anni con cui ho suonato per dieci anni. Il ragazzo con cui scrivevo le canzoni adesso è mio socio di studio e uno dei miei amici più fraterni. Scrivevamo io la musica e lui i testi, volevamo fare Battisti e Mogol e io mi occupavo più di lui degli arrangiamenti musicali di queste canzoni. Così, piano piano mi sono appassionata alla conoscenza di software e di tecniche di registrazione. Nel frattempo studiavo odontoiatria alla Sapienza, che frequentavo purtroppo solo per volontà dei miei.

Quindi hai cambiato strada.

Direi che ho decisamente cambiato strada e alla fine quello che facevo in cameretta con Valerio e in sala prove con i ragazzi della band è diventato il mio mestiere, un bel lieto fine, anche se poi la band a un certo punto non c’è più stata perché non è mai successo un granché, diciamo che non è mai stato fatto il 'grande salto'. Però abbiamo deciso insieme di aprire uno studio di registrazione perché non potevamo fare altro mestiere che non riguardasse la musica. Ora sono dieci anni che abbiamo inaugurato lo studio e anche se in una completa incoscienza, che è stata la nostra più grande fortuna, mi rendo conto che ne è stata fatta di strada e la cosa mi rende piena di soddisfazione. 

In un’intervista con Giulia Ananìa abbiamo parlato delle discriminazioni che spesso si trovano ad affrontare le donne che lavorano nel settore discografico, non solo da parte degli uomini ma anche delle donne. Quali sono state le difficoltà in questo senso nel tuo percorso? 

Il problema più grande credo sia la diffidenza e la scarsa fiducia nelle tue capacità in un campo in cui sono soprattutto gli uomini a giocare. Ma una volta superati i primi ostacoli in realtà credo sia anche un vantaggio, perché sei “ingiustamente” considerata un’eccezione, un caso particolare, quasi unica. Alla fine credo che sia la bravura e il talento a parlare sempre, bisogna solo sgomitare un po’ di più all’inizio. Quindi forse la strada parte un po’ più in salita, anche se la controprova non avendo mai vissuto da uomo, non l’avrò mai. 

Ma perché ci sono così poche donne che si cimentano nella produzione musicale? Pensi che ce ne siano veramente poche o che hanno difficoltà ad affermarsi in questo ambiente?

La fiducia di cui parlavo prima purtroppo non riguarda solo gli uomini che in veste di discografici o artisti possono affidarti la produzione di un brano o di un album, riguarda anche e soprattutto le donne che forse non credono di poter scendere in campo con la stessa validità gli uomini, forse semplicemente perché manca un precedente, un esempio da seguire, che se anche c’è stato, non  è mai stato troppo svelato. I dischi più belli e di successo di Prince sono stati prodotti da una donna, Susan Rogers, e poco tempo fa cercando informazioni su dei brani di Giuni Russo che credevo fossero stati scritti e prodotti da Battiato vengo a scoprire che grandissima parte della discografia della cantautrice siciliana è stata prodotta da Maria Antonietta Sisini che fu anche autrice dei grandi successi.

Cosa significa fare questo lavoro?

È sicuramente un lavoro molto duro. A volte si passano 12 ore in studio senza neanche una finestra da cui poter vedere scorrere la giornata, si montano e smontano le sale per fare sessioni di batteria, si spostano testate e amplificatori, si ha a che fare di continuo con le paranoie degli artisti, quelle dei discografici e le proprie, quando ad esempio qualcosa non gira o non vuol venir fuori. Sei tra l’incudine e il martello, le scadenze, i malcontenti e i mal di testa. È un lavoro fisico e mentale, che ti consuma a volte anche la notte, da cui non stacchi praticamente mai. Devi avere polso ed essere convincente. Insomma tanta roba, ma sono qui a dirvi che si può fare tutto e che quell’esempio potete essere voi, basta cominciare, in qualsiasi modo.

Ma quanto ci rimette l'industria discografica a perdere il contributo e l’intelligenza delle donne?

Non so bene quali potrebbero essere le differenze e in realtà non vorrei che ce ne fossero così tante. È un lavoro artistico che può assolutamente essere fatto da chiunque abbia questa vocazione. Posso dirti quello che ho sentito dire dagli artisti che ho prodotto io. Cosa avevo io rispetto a uomini produttori…? Ho sentito dire che non si sono mai sentiti in difficoltà nell’esprimere la propria opinione o nell'esprimersi su qualcosa su cui magari non fossero d’accordo a livello artistico. Viene un po’ meno quella competizione che può crearsi in studio tra il produttore e l’artista, può esserci come dire una maggiore empatia, cosa che aiuta più la canzone a venire fuori, piuttosto che l’ego delle persone.

Come cambiare le cose? Hai in mente misure o comportamenti che potrebbero incoraggiare le donne a cimentarsi nella produzione musicale?

Personalmente sto cercando di coinvolgere più donne possibili in studio. Mi piace collaborare e suonare con giovani colleghe e le coinvolgo sempre più spesso nei miei lavori di produzione. Cercherei di evitare qualsiasi tipo di “ghettizzazione”. Non rappresentiamo la quota rosa nel music business. Facciamo il nostro mestiere e basta, e lo facciamo bene. 

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