Politiche

Politiche di genere in agricoltura: un’occasione storica da non perdere secondo Actionaid, che dal 2016 porta avanti nell'arco ionico il programma 'Cambia Terra', per garantire i diritti e l'empowerment delle agricoltrici nel Mezzoggiorno

Protagoniste in agricoltura,
una missione possibile

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Foto: Unsplash/Artur Rutkowski

Nel corso degli ultimi anni l’attenzione alla dimensione di genere nelle politiche agricole è parzialmente aumentata per effetto delle politiche europee in materia di uguaglianza di genere. La visibilità, il riconoscimento e le pari opportunità per le donne che lavorano in agricoltura sono tuttavia ancora obiettivi in larga parte da raggiungere in Italia.

Ampio è il divario tra i principi e le intenzioni programmatiche espresse nei vari documenti in cui vengono menzionate le lavoratrici del comparto agricolo e la difficile realtà che molte di loro vivono tutti i giorni. Spesso, infatti, queste lavoratrici sono costrette a subire forme multiple e intersecate di discriminazione, oppressione, tra cui molestie e violenza di genere, tanto che potremmo affermare che l’Italia non è un paese per donne in agricoltura, in particolar modo, se sono operaie e di origine straniera.

È urgente un definitivo cambio di rotta per rendere visibili e protagoniste le operaie agricole, garantendo loro il pieno accesso ai diritti fondamentali, lavorativi e sociali e a servizi pubblici diffusi e disponibili su tutti i territori. Mai, come in questo momento storico, una tale prospettiva è percorribile perché, da un lato, sono in corso di realizzazione o di lancio una serie di politiche rilevanti riguardanti (anche) il settore agricolo e, dall’altro, si stanno sperimentando pratiche trasformative a livello locale che mettono al centro i diritti delle lavoratrici agricole, coinvolgendo in primis le donne e quindi un’articolata rete di soggetti. In questo senso, il Programma Cambia Terra implementato nell’Arco ionico da ActionAid è paradigmatico. 

L’Italia si trova in questi anni di fronte a una grande occasione: quella di migliorare fattivamente le condizioni di vita e di lavoro delle donne in agricoltura, prevenendo e rispondendo alle varie forme di discriminazione, sfruttamento e violenza, attraverso la pronta revisione, integrazione e implementazione in ottica di genere di una serie di norme, linee programmatiche e piani previsti nelle attuali agende politiche nazionali ed europee.[1]

Evitare il 'pink washing'

Non tutte le politiche e le misure prevedono interventi riguardanti specificatamente le donne in agricoltura, alcune invece le menzionano, non sempre però in maniera adeguata. Per valorizzare al massimo le opportunità di cambiamento offerte ed evitare il rischio di mero “pink washing”, alcune condizioni minime devono essere soddisfatte.

Innanzitutto, le lavoratrici agricole devono essere ricomprese in tutte le politiche e i piani nazionali e regionali e le istituzioni che ne sono responsabili devono prendere in debita considerazione i bisogni specifici delle lavoratrici (femminile, plurale) adottando un approccio intersezionale, e superando così – finalmente – la macrocategoria neutra di “lavoratore” o “lavoratori” (maschile, singolare o plurale).

Perché ciò avvenga è determinante che esperte ed esperti di politiche di genere siano stabilmente inclusi negli organi deputati al disegno, all'attuazione, al monitoraggio e alla valutazione dei piani. Le istituzioni coinvolte – e in particolare il Ministero del lavoro e delle politiche sociali – devono poi garantire il massimo e pronto coordinamento tra tavoli, cabine di regia e gruppi tecnici e lavorare in modo sinergico per valorizzare appieno la complementarità, l’efficacia e l’impatto delle politiche, dei servizi e degli interventi programmati.

In tale prospettiva, ad esempio, è urgente che il Dipartimento per le Pari Opportunità, così come stabilito dal Piano triennale contro il caporalato, attivi i previsti meccanismi di collaborazione tra il sistema antiviolenza e quello anti-tratta per fornire assistenza, protezione e percorsi di reinserimento socio-lavorativo alle donne sfruttate e oggetto di violenza in agricoltura. In questo contesto, reti multi-agenzia e multisettoriali locali, comprendenti anche le aziende, sono determinanti.

È necessario quindi favorirne la diffusione su tutto il territorio nazionale, così come assicurarsi che condividano conoscenze, procedure e strumenti, da un lato, per supportare le lavoratrici agricole e, dall’altro, per co-progettare servizi pubblici e soluzioni innovative di welfare comunitario che tengano conto delle specificità di genere e culturali. Soprattutto, però, affinché le politiche e i piani siano efficaci e producano i cambiamenti auspicati è fondamentale coinvolgere le lavoratrici agricole nella costruzione degli interventi, promuovendone l’agency e il protagonismo.

Protagoniste dell'agricoltura 

Dal 2016 ActionAid porta avanti nel Sud Italia il programma 'Cambia Terra', che si pone come obiettivo l’avanzamento dei diritti delle donne impiegate in agricoltura attraverso l’empowerment delle lavoratrici e la co-progettazione di servizi di welfare comunitario. Avviato inizialmente in Puglia, il programma si è poi sviluppato nell’Arco ionico, comprendendo anche territori di Basilicata e Calabria, con un approccio multidimensionale e trasformativo in risposta alle molteplici forme di violazione dei diritti umani subite dalle lavoratrici.

Il programma si fonda sul protagonismo delle operaie agricole, la presa di coscienza dei propri diritti e il disegno collettivo di politiche e misure rispondenti ai loro bisogni, attraverso forme di collaborazione e di responsabilità condivisa a livello comunitario.

La strategia di intervento di Cambia Terra si articola lungo tre assi principali:

  • l’empowerment delle lavoratrici e il rafforzamento della loro rappresentanza e organizzazione collettiva;
  • il rafforzamento e la valorizzazione della collaborazione di tutti gli attori territoriali rilevanti (istituzioni, aziende, sindacati, associazionismo, etc.);
  • la co-progettazione e sperimentazione di servizi di welfare regolati da patti di collaborazione, ossia strumenti di governance collaborativa che declinano ruoli e responsabilità degli enti coinvolti. 

Cambia Terra interviene innanzitutto sugli squilibri di potere che determinano l’invisibilità delle lavoratrici. Lo fa attraverso un programma di leadership femminile e percorsi di empowerment. Il primo prevede la formazione di leader di comunità sui temi dell’agenda del lavoro dignitoso, diritti sociali e tecniche di community building. Le leader sono operaie agricole con funzione di rappresentanza delle lavoratrici marginalizzate: raccolgono le loro richieste per rappresentarle nei tavoli istituzionali. I percorsi di empowerment (chiamati circoli reflection-action) sono invece luoghi di scambio e confronto tra lavoratrici, nonché di emersione dei bisogni.

A partire da questa attività, le donne costruiscono la loro agency individuale e collettiva, necessaria per essere riconosciute dalle istituzioni e dalla propria comunità di riferimento, a cui avanzare le proprie proposte. Sono infatti le priorità identificate dalle donne stesse a informare le fasi successive del programma, in particolare i laboratori comunitari per la co-progettazione di soluzioni ibride di welfare e la sottoscrizione di patti di collaborazione per l’amministrazione condivisa dei beni comuni da parte di un’articolata rete di stakeholder locali per regolare servizi e interventi territoriali.

A oggi, attraverso Cambia Terra, sono state formate 12 leader, sono stati realizzati percorsi di empowerment con 120 lavoratrici agricole rumene, bulgare, polacche, albanesi, kirghize, ucraine, russe e italiane. Sono stati sottoscritti inoltre quattro distinti patti di collaborazione con i comuni di Corigliano-Rossano, Ginosa, Grottaglie e la Provincia di Matera che hanno permesso, ad esempio, di prevedere orari flessibili del nido comunale di Adelfia (Bari) per figli/e delle operaie che iniziano a lavorare all’alba nei campi o di istituire a Schiavone (Cosenza) la Cittadella della condivisione, uno sportello che orienta le donne ai servizi pubblici sociosanitari del territorio, offre servizi di tutela legale, sindacale, della salute, abitativa e di mediazione.

Le attività sono co-gestite da tredici soggetti e dall’amministrazione locale, con un forte indirizzo delle leader. E, visto che moltissime lavoratrici agricole presenti nell’arco ionico sono bulgare e rumene, nei loro paesi di origine sono state formate 81 mediatrici locali del lavoro, con l’obiettivo di creare una rete transnazionale tra pari e informare le donne con progetto migratorio verso l’Italia sui diritti di cittadinanza europea e sulle reti locali a cui possono rivolgersi in caso di violazione dei loro diritti.

A partire dal continuo coinvolgimento e dal costante dialogo con le lavoratrici agricole e gli attori locali, Cambia Terra ha contribuito anche a produrre cambiamenti concettuali significativi. Innanzitutto, ha dimostrato che il welfare non si riferisce solo alla definizione di politiche per la soddisfazione di bisogni di vita e la protezione dai rischi, ma anche a politiche che permettono l’acquisizione di competenze e l’autorealizzazione da parte delle lavoratrici.

Poi, ha provato che è possibile ripensare la pianificazione locale di welfare in ottica di genere, interrogandone la reale funzione rispetto all’esclusione dai diritti di base – come il lavoro dignitoso, la salute, i servizi di cura e abitativi. Soprattutto, ha evidenziato che la sperimentazione del welfare di comunità e dell’amministrazione condivisa nel contesto agricolo è uno strumento decisivo per dare spazio e potere alle lavoratrici agricole, rinsaldandone la fiducia nei processi democratici.

Costruendo infatti il potere dal basso con un approccio basato sulla solidarietà e la sensibilizzazione, Cambia Terra ha segnato un inedito spazio di “corresponsabilità” per le comunità locali per rispondere ai bisogni specifici delle donne impiegate in agricoltura.

È dunque guardando, anche, a programmi come Cambia Terra che le varie cabine di regia e i tavoli di lavoro istituzionali hanno l’occasione di generare processi trasformativi reali e rendere finalmente – dopo secoli di esclusione – le lavoratrici agricole visibili e protagoniste delle diverse politiche che le riguardano da vicino.

Note

[1] In particolare, nei prossimi anni, potranno essere determinanti in questa direzione: il Piano triennale di contrasto allo sfruttamento lavorativo in agricoltura e al caporalato 2020-2022, il Piano nazionale per la lotta al lavoro sommerso e i Piani urbani integrati per il superamento degli insediamenti abusivi dei lavoratori in agricoltura previsti dal PNRR (2021-2026), il Piano nazionale contro la violenza maschile sulle donne (2021-2023) e i piani antiviolenza regionali, la Strategia nazionale per la parità di genere (2021-2026), il Secondo piano nazionale su impresa e diritti umani (2021-2026), il Piano strategico nazionale della Politica agricola comune europea (2023-2027) con l’innovativa clausola sociale e le attività della Rete del lavoro agricolo di qualità, la Convenzione Oil n. 190 sull’eliminazione della violenza e delle molestie nel mondo del lavoro (2021). Se rivista in termini preventivi, anche la legge n. 199 del 2016 contro il lavoro nero e lo sfruttamento in agricoltura, così come la futura direttiva della Commissione europea sul dovere di diligenza e la responsabilità d’impresa – se opportunamente modificata – possono svolgere un ruolo fondamentale. Infine, è auspicabile che l’Istat includa, nell’ambito dell’indagine campionaria triennale sulla violenza contro le donne prevista dalla recente legge 53/2022 “Disposizioni in materia di statistiche in tema di violenza di genere”, anche la raccolta di dati e stime riguardanti le molestie e le forme di violenza subite dalle lavoratrici agricole.

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