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Raccontare uno stupro richiede una consapevolezza politica che incide non solo sulle parole che si scelgono, ma anche sul modo in cui vengono rappresentati i fatti. Ripartiamo dal caso di Franca Viola, per capire come e quanto il giornalismo sta cambiando

Raccontare lo stupro,
da Franca Viola a oggi

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Foto: Unsplash/ Istituto Storico Parri

Raccontare uno stupro non è mai semplice. Nonostante le battaglie femministe durate decenni e le più recenti campagne a favore di un linguaggio inclusivo e non sessista, infatti, capita ancora di leggere articoli che fin dal titolo ripropongono vecchi stereotipi e scaricano sulla vittima una parte delle responsabilità. Di fronte a questi casi viene davvero da pensare che non stiamo facendo passi avanti, che determinati modelli patriarcali sono così radicati nella società e nella mentalità da superare indenni la prova dei tempi. Ma è davvero così? Per capirlo siamo tornate indietro di quasi sessant’anni, fino al primo caso di violenza sessuale affrontato dai media – quello che coinvolse Franca Viola –, con l’obiettivo di comprendere come si raccontava uno stupro prima degli anni ’70, del femminismo di seconda ondata e degli studi di genere, quando concetti come patriarcato, vittimizzazione e intimate partner violence non esistevano.

La "ragazza di Alcamo"

Franca Viola aveva 17 anni e viveva ad Alcamo (Trapani) quando il 26 dicembre 1965 il suo ex fidanzato, Filippo Melodia, la sequestrò e la violentò. Il ragazzo avrebbe voluto risolvere la vicenda con un tradizionale matrimonio “riparatore”, che avrebbe estinto i reati di rapimento e violenza carnale (articolo 544 del Codice penale, abrogato nel 1981), ma Franca e suo padre rifiutarono questa soluzione e lo denunciarono. Quella che sembrava una classica 'fuitina' – la fuga che in passato alcune coppie organizzavano per ottenere il permesso di sposarsi – si trasformò così in un caso giudiziario e giornalistico destinato a passare alla storia, e Franca Viola diventò un simbolo: “la ragazza di Alcamo”, la prima a rifiutare un matrimonio riparatore.

Il caso attirò subito l’attenzione dei giornali, che si accorsero che il rapimento era stato troppo violento per essere una fuga consensuale. Tuttavia, nessuno credeva a un finale diverso dalle nozze riparatrici. Quando, quindi, la vicenda finì in tribunale, la notizia diventò clamorosa e a Trapani arrivarono gli inviati di tutti i principali quotidiani. A questo punto i giornalisti dovevano decidere se credere a Filippo Melodia, che sosteneva che Franca era stata consenziente, o a Franca Viola, che negava. La maggior parte di loro scelse di stare dalla parte della ragazza. 

Il racconto dei giornali 

Innanzitutto, a convincere i giornalisti fu la reazione della ragazza. In altre parole, Franca Viola reagì allirruzione di Filippo Melodia nella sua casa esattamente come una donna vittima di violenza dovrebbe reagire secondo le più diffuse e radicate credenze patriarcali. Nel mito dello stupro, infatti, si grida, si piange e si lotta con tutte le forze. La sua resistenza, dunque, rese Franca credibile agli occhi dei cronisti e fece sì che il racconto giornalistico non si cristallizzasse su altri elementi che avrebbero facilmente potuto far ricadere sulle sue spalle una parte di colpa.

Non tutti i giornalisti, però, si mostrarono convinti fino in fondo. Un cronista di un quotidiano siciliano, ad esempio, interpretò alcune dichiarazioni fatte da Franca alla polizia come un’ammissione del suo consenso ai rapporti sessuali. In realtà, quello che Franca aveva dichiarato era di aver ceduto a Melodia, dopo giorni di prigionia, perché era ormai troppo spaventata e stremata per opporre ancora resistenza, il che non significa affatto essere consenziente. Ma il giornalista non colse questa fondamentale sfumatura e ricostruì tutta la vicenda come un amore tormentato, tragicamente ostacolato dal padre di Franca Viola che, come il più tradizionale 'padre-padrone', avrebbe separato i due innamorati contro la volontà della figlia. Questa narrazione si inserisce in un 'frame', quello dell’amore romantico, che tutt’oggi guida l’interpretazione di alcuni casi di violenza di genere: adottando questa chiave di lettura, la violenza diventa una cifra distintiva dell’amore, parte naturale di un rapporto passionale e al contempo burrascoso.

Il “frame dell’amore romantico”, tuttavia, non fu quello più comune nel racconto giornalistico del caso di Franca Viola. La maggior parte dei cronisti, infatti, interpretò gli eventi di Alcamo calandoli nel contesto siciliano e, quindi, presentandoli come il frutto di un ambiente avvelenato dall’onore e dal potere della mafia, a cui era legata la famiglia del ragazzo, nonché da una mentalità ancora tradizionale e “medievale”. Per i giornalisti dei principali quotidiani italiani, dunque, il rapimento di Franca Viola non era altro che un segno dell’arretratezza della Sicilia: secondo questi, nel nord Italia non sarebbe mai successo niente di simile.

Allo stesso tempo, però, la ribellione di Franca fu interpretata dalla stampa come un segnale positivo, l’inizio di un cambiamento all’insegna della modernità e della civilizzazione anche nell’isola. Per questo i giornalisti si schierarono con forza a fianco della donna, definendola “eroina” di una Sicilia “nuova”, contrapposta a una Sicilia, diventata simbolo di malaffare e bigottismo per le testate continentali che ne parlavano con un certo disprezzo.

Le parole sono importanti 

In tutto questo, però, sullo stupro in sé il racconto giornalistico si soffermò poco. Anzi, molti articoli tendevano a non nominarlo proprio: la definizione prevalente era quella di “ratto”, che inglobava la violenza sessuale e la affidava all’immaginazione del lettore, sottolineando solo la rapacità del portar via la donna. Il termine stupro, al contrario, era rarissimo: quando i giornalisti volevano riferirsi esplicitamente all’abuso, lo chiamavano solo “violenza” oppure “violenza carnale”.

A oltre mezzo secolo dal caso di Franca Viola, non si può dire che non sia cambiato niente. Oggi c’è una lettura di genere che lega lo stupro al patriarcato, e quindi alle dinamiche di potere e alla supremazia maschile. Ora è chiaro che le violenze sessuali accadono a nord come a sud, perché il problema è endemico e coinvolge tutti gli uomini e tutte le donne. Negli articoli del presente, inoltre, lo stupro è solitamente definito in modo diretto (come “stupro”, appunto, o “violenza sessuale”). 

Tuttavia, questo non significa che le nostre narrazioni siano perfette. Anzi, a volte gli articoli odierni si approcciano a un caso di violenza sessuale proprio come fece il cronista siciliano con Franca Viola, cioè cercando nelle parole della vittima, nel suo abbigliamento e nel suo passato un indizio che possa far pensare che fosse consenziente o in parte responsabile della violenza subita.

Inoltre, nelle narrazioni contemporanee gli stupri sono spesso inquadrati all’interno di un “frame episodico” che li racconta come singoli casi di aberrazione, frutto delle azioni di individui che fuoriescono dalla norma. In questo, effettivamente, i cronisti del caso Viola fecero meglio: Filippo Melodia non fu dipinto dai giornali come un pazzo, bensì come un mafioso; i giornalisti capirono che il ratto di Franca Viola non era un caso isolato, ma, in mancanza del concetto di patriarcato, formulato per la prima volta nel 1970, lo ricondussero alla mafia.

La sfida dei prossimi anni sarà far prevalere il “frame di genere” sul “frame episodico” e su quello “dell’amore romantico”. I cambiamenti che ci separano dal racconto dello stupro di Franca Viola, infatti, per quanto importanti, non sono sufficienti: finché a finire sul banco degli imputati (e sotto la lente dei giornalisti) sarà prevalentemente la donna che denuncia, ci sarà ancora molta strada da fare.

Riferimenti 

Giulia Siviero, Il mito dello stupro, Internazionale.it, 21 aprile 2021

Elisa Giomi, Sveva Magaraggia, Relazioni brutali. Genere e violenza nella cultura mediale, Bologna, Il Mulino, 2017

Niamh Cullen, The case of Franca Viola: Debating Gender, Nation and Modernity in 1960s Italy, «Contemporary European History», XXV, 1, 2016, pp.97-115

Chiara Cretella, Inma Mora Sànchez, Lessico familiare. Per un dizionario ragionato della violenza contro le donne, Cagli, Settenove, 2014

Elisa Giomi, Sveva Magaraggia, Relazioni brutali. Genere e violenza nella cultura mediale, Bologna, Il Mulino, 2017

Kate Millett, Sexual Politics, New York, Doubleday, 1970

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