Politiche

Come voteremo quando torneremo a votare? Nel dibattito sulla nuova legge elettorale, un blitz parlamentare ha trasformato la doppia preferenza di genere in tripla. Trucchi in lista anche nella legge lombarda. Tentativi estremi di fermare una pressione che cambierebbe il volto della rappresentanza politica

Triplo salto mortale,
per aggirare le donne

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Da lungo tempo si discute della necessità di modificare la legge elettorale nazionale, ma i tempi sono ormai ristrettissimi e le possibilità di pervenire ad un accordo appaiono lontane. In tale quadro negativo, va registrato il fatto che nel dibattito generale il tema della rappresentanza di genere ha ormai fatto la sua comparsa e sarebbe oggi impensabile non prevederne la presenza nelle normative elettorali che saranno adottate a livello nazionale.

Ciò è il risultato di una combinazione di fattori. Da un lato, la sempre maggiore consapevolezza della persistenza del "tetto di cristallo" ha reso possibile l’azione delle tante reti e associazioni di donne, che hanno esercitato  una pressione sull’opinione pubblica e sulle forze politiche, anche mediante proposte tecniche articolate per l’attuazione della democrazia paritaria. Dall’altro lato, l’impegno delle parlamentari donne, intercettando le istanze provenienti dalla società, ha portato alla creazione di  uno schieramento trasversale, che ha consentito di raggiungere il recente risultato dell’approvazione delle norme per il riequilibrio di genere nei consigli e nelle giunte degli enti locali e nei consigli regionali. Inoltre, la giurisprudenza, a partire dalla sentenza n. 4 del 2010 della Corte Costituzionale sulla doppia preferenza di genere, alle pronunce dei tribunali amministrativi in relazione al principio della composizione paritaria delle giunte (es. pronunce del Tar Lazio sulla composizione della giunta capitolina e Tar Lombardia per la Giunta regionale, commentate anche qui), ha posto alcuni punti fermi sulla questione.

Tuttavia, questi segnali di apertura e la maggiore sensibilità e consapevolezza rispetto alla sottorappresentazione delle donne nei luoghi decisionali della politica non comportano, come ci si potrebbe legittimamente aspettare, l’adozione delle misure più efficaci per ovviare a tale situazione e garantire una effettiva parità, peraltro già individuate nei numerosi studi in materia.

Anzi, proprio le vicende politiche attuali rivelano come il principio della parità di genere non sia assolutamente assodato presso la nostra classe politica, con un parlamento composto per l’80% da uomini, che, anziché coglierne il potenziale innovatore rispetto alla attuale degenerazione della politica, sembra piuttosto far prevalere il timore di vedersi ridotte le proprie possibilità di riconferma nelle prossime tornate elettorali.

Il tentativo di “annacquare” la portata delle norme di genere da introdurre, magari con blitz dell’ultimo momento o con soluzioni inaspettate, è sempre in agguato ed obbliga la società civile ad una costante azione di controllo e monitoraggio. In tal senso, possiamo leggere ciò che è accaduto in Commissione Affari costituzionali del senato in occasione della discussione del disegno di legge di riforma della legge elettorale per il parlamento. Il testo assunto come base di discussione (ddl An. 3557 - c.d. bozza Malan) prevede l’attribuzione di due terzi dei seggi con sistema proporzionale con preferenze e il restante terzo con liste bloccate.

Per quanto riguarda il tema delle preferenze, è molto preoccupante l’emendamento presentato dai senatori Quagliariello e Gasparri del Pdl ed approvato in Commissione, che ha introdotto la possibilità per l’elettore/elettrice di esprimere tre preferenze, comprendendo candidati di entrambi i generi, pena l’annullamento della seconda e della terza preferenza (invece della doppia preferenza originariamente prevista dal testo base). Come facilmente intuibile, la previsione della “tripla preferenza” penalizza le donne che si vedrebbero ridurre le possibilità di essere elette, ne depotenzia notevolmente la portata riequilibratrice e rappresenta un vero passo indietro. Se la “doppia preferenza”, infatti, risponde pienamente al principio della parità delle condizioni di partenza per uomini e donne, non si può sostenere altrettanto per la “tripla preferenza”. Questa violerebbe il principio paritario, perché potrebbe sbilanciarsi in favore di un genere (due preferenze per gli uomini contro una sola per le donne), oltre al fatto che potrebbe favorire, come si è verificato in anni passati, pratiche di controllo del voto e della libertà dell’elettore/elettrice.

La sentenza n. 4/2010 della Corte Costituzionale ha posto un punto fermo rispetto alla legittimità della norma introdotta dalla legge elettorale della regione Campania che prevede la possibilità per l’elettore e l’elettrice di esprimere una doppia preferenza, di cui la seconda di genere diverso, a pena di annullamento della stessa. Tale meccanismo, applicato per la prima volta in Campania in occasione delle elezioni regionali del 2010, ha dimostrato la propria efficacia in quanto ha consentito di aumentare notevolmente il numero delle consigliere elette.

Il ddl di riforma della legge elettorale nazionale in discussione prevede indubbiamente altre novità da evidenziare, ma le norme di genere che intende introdurre non vanno certamente nella direzione di una democrazia veramente paritaria. La tripla preferenza ne è il segnale più evidente.

Il testo prevede la quota di un terzo/due terzi di presenza dei due sessi nella composizione delle liste per la parte proporzionale con preferenze; l’ordine alternato di genere per la parte con lista bloccata, per i/le candidati/e successive al capolista. Anche in questo caso, non possiamo fare a meno di evidenziare che l’efficacia dell’obbligo di alternanza, misura in grado di garantire l’elezione effettiva di donne, viene stemperata dal fatto che il capolista è escluso da tale alternanza: presumibilmente, data l’esperienza storica, sarà nella maggior parte dei casi un uomo, minimizzando così il risultato in termini di riequilibrio. L’inammissibilità delle liste che non rispettano tali norme rappresenta comunque una sanzione “forte”.

Nel quadro attuale del dibattito, fonte di preoccupazione sia per il tipo di riforma nazionale che verrà attuata in relazione alla governabilità (tema che non affrontiamo in questa sede) sia per le norme sulla rappresentanza di genere (come sopra esposto), una notizia positiva è sicuramente rappresentata dall’approvazione della legge relativa alle norme di genere per le elezioni amministrative, approvata in via definitiva lo scorso 13 novembre alla camera dei deputati, che ha inserito la doppia preferenza di genere per le elezioni dei vari livelli. Da questo punto di vista, la legge, che per altri versi non è pienamente condivisibile in quanto introduce la quota di un terzo/due terzi nella composizione delle liste anziché il principio pienamente paritario, potrebbe costituire il volano anche per la legge nazionale.

Per quanto riguarda le regioni, l’auspicio è quello di una omogeneità delle diverse leggi elettorali, nel senso di una introduzione generalizzata della doppia preferenza. Purtroppo, le ultime vicende della legge elettorale delle regione Lombardia, che ha eliminato il c.d. listino, non va in questa direzione: infatti, si limita ad introdurre il principio della composizione paritaria delle liste, senza nulla dire sulla doppia preferenza.

Le vicende sopra riportate ci inducono ad alcune riflessioni. La sottorappresentazione delle donne nella politica continua ad essere indice di una condizione di disparità strutturale di genere in Italia e pone la questione irrinunciabile della democrazia del sistema. Tuttavia, in un momento storico di forte crisi della politica, le forze politiche sembrano orientate a trovare soluzioni al “ribasso”, anziché far leva sulle donne come fattore di rinnovamento per recuperare la credibilità delle istituzioni. Pur sapendo che è doveroso introdurre norme ad hoc per rispondere alle istanze della società civile, in linea con le indicazioni europee e internazionali, sembrano prevalere ancora una volta logiche di potere escludenti. Eppure, poiché è interesse dei partiti avere il consenso dell’elettorato femminile, oltre alla via legislativa il cui esito è molto incerto, sta ad essi assumere la questione della rappresentanza con scelte autonome orientate alla parità e alla democrazia effettive.

Post scriptum.  Le vicende del Consiglio Regionale della Puglia in merito alla proposta di legge di iniziativa popolare “50 e 50” sono l’ennesimo esempio del maschilismo pervadente della classe politica del nostro paese. La proposta, sostenuta da 30.000 firme, prevedeva l’introduzione della doppia preferenza di genere e la composizione paritaria delle liste, a pena di inammissibilità, nella legge elettorale regionale. Il Consiglio, composto da 67 uomini e soltanto 3 donne, nella seduta del 27 novembre, ha bocciato la proposta, utilizzando il “trucco” del voto segreto, accompagnato da numerose assenze, che ha consentito ancora una volta la saldatura trasversale a difesa di interessi consolidati del genere maschile. (P.s. aggiunto il 28 novembre 2012)