Le nuove tecnologie si sono rivelate terreno fertile per la violenza di genere. A partire dai dati più recenti, tre ricercatrici americane raccontano in che modo la violenza digitale sta contaminando la politica
La violenza digitale sta
infettando la politica
Non disponiamo ancora di studi che riportino dati affidabili sull’aumento della violenza digitale ai tempi del Covid-19, i dati a disposizione risultano ancora superficiali e di natura qualitativa. Tuttavia, stando alle stime dell’FBI i reati informatici sono quadruplicati, e voci autorevoli affermano che potrebbe verificarsi un aumento dei casi di cyberbullismo e violenza digitale durante l’emergenza sanitaria. Inoltre, sembrerebbe essersi verificato un incremento significativo nell’utilizzo di una pratica di violenza digitale nota come Zoombombing, rivolta in particolar modo ai corsi universitari incentrati sulle tematiche di genere e razziali – questo, almeno, stando alle testimonianze in circolazione e alle fonti giornalistiche. Di fronte a tale fenomeno, le università hanno dovuto potenziare i protocolli di sicurezza. Del resto lo Zoombombing rappresenta oggi un reato federale.
Per comprendere cosa sta accadendo, e capire la sfida che abbiamo di fronte, è fondamentale partire dal mondo della politica.
Ovunque, le donne che oggi si candidano alle elezioni sono molte di più rispetto al passato, con risultati di portata storica in paesi diversissimi tra loro quali gli Stati Uniti, il Brasile, lo Sri Lanka, il Messico e Gibuti, dove il numero di donne elette nei parlamenti nazionali o negli organi rappresentativi a livello locale è cresciuto significativamente. Al contempo, gli atti di violenza politica (inclusa la violenza digitale) che prendono di mira le donne hanno raggiunto livelli senza precedenti e sono fonte di forte preoccupazione. Un’indagine condotta nel 2018 sulle parlamentari e sul personale parlamentare femminile in 45 Paesi membri del Consiglio d’Europa ha rilevato che l’85,2% delle intervistate ha subito violenza psicologica durante il proprio mandato, e che il 58,2% ha invece ricevuto attacchi sessisti sui social network. Inoltre, stando alla stessa indagine, il 46,9% delle intervistate ha ricevuto minacce di morte o di stupro/violenza fisica. Cosa alquanto sconcertante, anche il livello di violenza politica è in aumento.
Le ricerche evidenziano come una delle categorie più colpite dalla violenza digitale di genere sia costituita dalle donne che hanno un ruolo a livello pubblico, quali le giornaliste, le esponenti del mondo della politica, e le attiviste. La situazione peggiora quando si esprimono opinioni politiche, e i livelli di violenza digitale aumentano durante le campagne elettorali o quando si ricopre una carica politica. Inoltre, la probabilità che le candidate alle elezioni e le donne che ricoprono una carica elettiva siano vittime di violenza digitale è due volte più elevata rispetto agli uomini nella stessa posizione, e aumenta enormemente nel caso delle donne di colore o dei membri della comunità LGBTQ+.
La violenza digitale contro le donne in politica si manifesta anche in modalità fortemente caratterizzate dal punto di vista di genere, e si concentra spesso sull’aspetto esteriore delle vittime o implica minacce di aggressione sessuale. Questa forma di violenza si traduce in una molteplicità di pratiche, che includono il revenge porn, il doxing, lo stalking e le minacce di stupro. Nel 2017, qualche giorno dopo che Diane Rwigara aveva annunciato la sua intenzione di prendere parte alla competizione elettorale con lo scopo di detronizzare il Presidente ruandese Paul Kagame, sono stati diffusi dei fotomontaggi che la immortalavano senza veli. Questi attacchi, unitamente ad altri atti ostili, l’hanno costretta a ritirare la propria candidatura. Siffatte forme di molestie e comportamenti abusivi fanno parte di una serie continua di vessazioni e violenze perpetrate sia in spazi fisici che digitali, le quali si originano nei primi e sconfinano nei secondi e viceversa.
Perché è così importante
La violenza digitale minaccia di mettere a tacere le vittime, in particolare quelle che già si trovano ai margini della società. La nostra attività di ricerca e valutazione a livello accademico di episodi di violenza digitale di alto profilo in campo politico è giunta alla conclusione che questo fenomeno rappresenta una problematica particolarmente grave, con implicazioni significative a livello di diversità e inclusione a livello politico. Queste conseguenze hanno un impatto devastante a livello internazionale sia per i singoli individui che per la società nel suo insieme. Possiamo citare l’effetto intimidatorio sulla libertà di parola e sulla partecipazione politica, il quale non solo innalza una barriera all’ingresso nel caso delle posizioni di potere, ma impedisce alle minoranze di ottenere il giusto riconoscimento per il proprio status e di far sentire la propria voce. Questo insieme di atti intimidatori e forme di controllo mina alla base la democrazia, rafforzando al tempo stesso lo status quo della supremazia bianca di stampo patriarcale. Di conseguenza, continua a mancare la rappresentanza nelle posizioni chiave, il che perpetua l’oppressione esercitata dal sistema e impedisce il progresso all’interno della società.
Questi atti di violenza minacciano la sicurezza fisica e psicologica di persone che potrebbero fungere da agenti del cambiamento, e inaspriscono le disuguaglianze all’interno del sistema politico. Le ricadute della violenza digitale includono il senso di vergogna e le minacce di morte, e, nei casi più estremi, perfino la morte. Le molestie rivolte alle donne hanno una forte caratterizzazione sessuale: le minacce di violenza sessuale e le intimidazioni a livello fisico sono rivolte principalmente alle donne e ai membri della comunità LGBTQ+ che si candidano alle elezioni. Gli atti di violenza perpetrati online anticipano spesso comportamenti abusivi posti in essere nella vita reale, quali gli atti di effrazione, gli atti di vandalismo e la violazione della privacy. Come evidenziato da Rebecca Thompson, che nel 2014 era in corsa per un seggio alla Camera dei rappresentanti del Michigan: “Mi sono sentita in pericolo durante tutta la campagna elettorale. Mi sembrava quasi di essere in uno stato di guerra psicologica, come se cercassero di intimidirmi”. Di conseguenze, le donne decidono di abbandonare la competizione elettorale o, se in carica, preferiscono non ripresentarsi alla tornata successiva evitando così di essere rielette. Come accade nel caso del Parlamento del Regno Unito, il fatto che le donne in carica non si ricandidino alla tornata elettorale successiva rappresenta un “segno tangibile del rafforzamento del clima intimidatorio tanto online quanto nella vita reale”.
La violenza digitale implica conseguenze tangibili per la società e per la vita delle persone. Ciononostante, a essa non è stata prestata sufficiente attenzione per una molteplicità di ragioni, tra cui la normalizzazione culturale della violenza di genere e il mancato riconoscimento del fatto che l’impegno politico mostra una natura fortemente caratterizzata dal punto di vista di genere.
Cosa devono fare i governi
Attualmente, i principali stakeholder, tra cui le agenzie di comunicazione politica, chi ha un ruolo attivo nel processo decisionale, e i colossi dei social network, non riescono a contrastare la violenza digitale né a trovare risposte adeguate, contribuendo così, in molti casi, alla continuazione del fenomeno. Inoltre, dal momento che la tecnologia diventa sempre più pervasiva nelle nostre vite, come dimostra l’attuale emergenza sanitaria, l’incidenza e la gravità del fenomeno della violenza digitale potrebbero crescere.
Al fine di fermare la violenza digitale, i principali stakeholder devono assumersi le responsabilità del caso e realizzare interventi concreti relativamente alle implicazioni di genere della violenza digitale in ambito politico. Attualmente, i partiti politici e le agenzie di comunicazione politica adottano un approccio cautelativo quando si tratta di fornire suggerimenti alle candidate riguardo l’aspetto fisico o la presenza sui social: si raccomanda di postare foto “che anche le nonne approverebbero” e di rimuovere dai telefoni qualsiasi forma di attività personale quale sexting e immagini sessualmente esplicite. Al contrario, le agenzie che offrono formazione e sostegno a chi partecipa alle competizioni elettorali dovrebbero denunciare la violenza digitale ed evitare di fornire raccomandazioni cautelative e che colpevolizzano le vittime.
I partiti politici spesso non forniscono sostegno alle donne quando vengono perpetrati degli attacchi ai danni di queste ultime. Piuttosto, prendono le distanze dalle vittime e fanno apparire l’accaduto come un ammonimento. Queste pratiche rafforzano l’approccio imperniato sulla colpevolizzazione delle vittime, adottato attualmente nelle azioni di contrasto alla violenza di genere. Le istituzioni politiche dovrebbero riconoscere che la violenza digitale rappresenta un rischio politico, e attuare procedure che comportino un trasferimento della responsabilità dalle vittime a coloro che commettono gli atti di violenza digitale. Le reti e le istituzioni politiche dovrebbero adottare politiche di tolleranza zero nei confronti degli episodi di violenza digitale, e impegnarsi a offrire sostegno alle donne che ne sono vittime.
Inoltre, la maggior parte delle disposizioni normative in materia di violenza domestica e di genere non prevedono misure per il contrasto alla violenza digitale. È necessario che il legislatore consideri l’intero ambito della violenza di genere, introducendo disposizioni normative che forniscano una risposta di contrasto alla violenza negli spazi digitali. Inoltre, pratiche quali il revenge porn dovrebbero essere perseguibili penalmente su tutto il territorio data la loro natura, che le porta a valicare i confini geografici.
Negli Stati Uniti sarebbe necessaria la modifica dell’art. 230 del Communications Decency Act, la legg sul decoro nelle comunicazioni, per far sì che le piattaforme social rispondano anche dei contenuti pubblicati. Le carenze mostrate (in particolar modo da Facebook e Twitter) nel contrasto alla violenza digitale hanno portato a un aumento della misoginia all’interno di queste piattaforme. Inoltre, al fine di rafforzarne la responsabilità, le aziende dovrebbero raccogliere e pubblicare i dati sui contenuti offensivi condivisi attraverso le loro piattaforme.
I dati dovrebbero includere il tasso di episodi denunciati, disaggregato per tipologia di atto perpetrato, il tasso di risposta dell’azienda, e i metodi di risposta. Inoltre, gli atti plurimi di violenza digitale perpetrati da singoli soggetti, una volta accertati, dovrebbero essere chiaramente identificati, e i relativi dati dovrebbero essere resi pubblici e accessibili alla collettività. Oltre a rispondere dei contenuti condivisi sulle relative piattaforme, i colossi dei social network dovrebbero formare partenariati con chi ha un ruolo attivo nel processo decisionale, con l’obiettivo di combattere la violenza digitale perseguendo gli atti di revenge porn.
Sebbene gli interventi a livello politico da parte delle piattaforme social, dei decisori politici e degli attori politici siano fondamentali, è necessaria un’azione collettiva a livello sociale per introdurre un cambiamento nelle norme che ingenerano e perpetuano la violenza di genere. Alleandoci, possiamo fare di più: rifiutandoci di essere complici, denunciando alle piattaforme online gli episodi di cui siamo testimoni, e chiedendo a gran voce che alla violenza digitale, in quanto problematica seria, venga data priorità da parte di tutti gli stakeholder che hanno il potere di ingenerare il cambiamento.
Leggi l'articolo originale in inglese
Leggi anche
Taci, anzi parla piano. Sessismo in parlamento