Politiche

Intervista alla teologa Marinella Perroni. "Tutto può cambiare, come si è visto nelle dimissioni di Benedetto XVI e nella loro accorta regia. Ma per il cambiamento è necessario che la Chiesa accolga la soggettività femminile. Una svolta che va ben oltre il sacerdozio alle donne"

Che genere di papa sarà?
Le donne e il conclave

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Marinella Perroni, teologa, ex presidente del Coordinamento teologhe italiane, docente al S. Anselmo di Roma, ha scelto “Todo cambia” come suoneria del suo cellulare da due anni. E dopo le dimissioni di Benedetto XVI ha scritto e ripetuto: “La Chiesa ha bisogno di grandi cambiamenti”.  Cambiamenti che sono segnati anche, e in modo fondamentale, dalla questione femminile nella Chiesa: che, nelle parole di Perroni, una delle più importanti esponenti della “teologia di genere”, va ben oltre le questioni del sacerdozio alle donne e di un loro maggior ruolo nelle gerarchie.

Quanto hanno pesato e peseranno nella spinta al cambiamento le donne nella Chiesa?

In tutte le proposte di riforma della Chiesa, da quelle più locali ai movimenti di portata mondiale, torna la questione delle donne, lo snodo fondamentale della soggettività femminile. Penso all’Appello alla disobbedienza dei parroci, nato in Austria e dilagato a macchia d’olio ovunque (v. Pfarrer-Initiative), così come all’iniziativa mondiale di teologi e credenti per la riforma della Chiesa, partita dopo le dimissioni di Benedetto XVI, che chiedono collegialità, apertura sul ruolo delle donne, sull’omosessualità, sulle questioni bioetiche. Un’onda lunga, con la quale la Chiesa ha dovuto fare i conti. Quanto però l’urgenza di questa riforma sarà effettivamente portata avanti, non è ancora chiaro. Un’istituzione millenaria come la Chiesa cattolica non procede per cambiamenti lineari, sono possibili anche regressioni, passi indietro.

Dove è sentita di più quest’urgenza di cambiamento?

Ci sono gruppi nella Chiesa in cui è del tutto preclusa, altri in cui è più avanzata, soprattutto, ma non solo, in Europa e nel Nord America. Ma non credo che la prima cosa da fare sia l’apertura del ministero del sacerdozio alle donne, quanto piuttosto una profonda revisione del modo di intendere il ministero della Chiesa.

Cosa ci dice, in proposito, quel che è successo tra l’annuncio delle dimissioni di Benedetto XVI e quel volo d’elicottero verso Castel Gandolfo?

E’ impressionante quello che è successo in quei 19 giorni. Il papa poteva dimettersi, e andar via subito. Perché aspettare? Nel tempo intercorso, è successo qualcosa: un evento dirompente e increscioso, che alterava la figura della sacralità del pontefice, si è trasformato in qualcos’altro, con la partecipazione commossa dei credenti, la trasformazione anche dell’attenzione dei media. Una regia pastorale intelligente, studiata dal Vaticano, ha guidato l’evento, ne ha cambiato la cromatura, per passare dallo choc all’attenzione partecipe verso un uomo vecchio che va al suo ultimo pellegrinaggio.

Un po’ come era successo a suo tempo con la lunga malattia di Giovanni Paolo II, con la trasformazione di una debolezza estrema in forza?

Sì, ma in quel caso c’era l’apoteosi mistica, qui invece si trattava di far digerire ai credenti una cosa che la cultura religiosa media non ammetteva, come l’intangibilità del papato. Si è creato un precedente: è successo, e la Chiesa non ne è stata distrutta. Se questo è stato possibile, le grandi novità sono possibili. Ma occorre una regia seria, che dovrebbe appartenere alla saggezza pastorale della Chiesa.

Pensa anche lei che questa sia la fine del patriarcato anche nella Chiesa?

Non sono bombe, eventi deflagranti, ma tante scalfitture. E questa è una delle più grosse: non c’è nessuna intangibilità su una figura, come quella papale, che incarna il patriarcato. Anche questo è un segnale del fatto che il patriarcato è nudo.

Il pontificato di Benedetto XVI è stato particolarmente chiuso, per le donne.

Sì, lo è stato. Basterebbe pensare solo agli ultimi due discorsi: in occasione degli auguri di Natale alla curia romana (qui il discorso), quando si è scagliato con virulenza contro il pensiero di genere, e quello della giornata della pace, nel quale ha  indicato gli omosessuali come nemici della pace (qui il discorso). E’ per questo che dico che non basta chiedere il sacerdozio delle donne: occorre che la Chiesa assuma il pensiero di genere, quello di fondo. Che operi una trasformazione, verso la comprensione di un’umanità che include i due generi,  la revisione degli stereotipi , e la costituzione di una sessualità non segregante.

Non pensa che a livello culturale, nella Chiesa diffusa, questo processo sia già in atto da tempo?

Credo che i cattolici farebbero meno fatica ad ammettere le donne al sacerdozio che a cambiare le coordinate di fondo. Ma sì, sta avvenendo anche questo, sotto la spinta di questioni che hanno un effetto volano, come i diritti degli omosessuali. Ma le singole conquiste rimandano a questioni di fondo, che poi aprono la strada ad altre singole conquiste: l’importante è che si avvii questo circolo virtuoso.

Da cosa si capirà, al momento della fumata bianca, se il cambiamento si è avviato?

Dalla provenienza del nuovo papa. Non tanto quella etnico-geografica, ma dal suo gruppo, la sua appartenenza, quel che ha fatto. Dalla sua biografia, per usare una parola importante nel pensiero delle donne.