Dati

I dati del nuovo Dossier statistico immigrazione, presentato oggi in contemporanea in tutte le regioni italiane, restituiscono un quadro che smentisce molti stereotipi su uomini e donne arrivati in Italia e in Europa da altri paesi

Migranti. Se i dati smentiscono
gli stereotipi

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Foto: Flickr/KC Wong
Se la voce corrente racconta di una “invasione” quotidiana di richiedenti asilo e poveri di cui l’Italia e l’Europa sono costrette a farsi carico, i dati mostrano una realtà differente, in cui restano molto sostenuti i flussi di persone che arrivano in Italia in fuga da situazioni di crisi e pericolo (e il più delle volte per tentare di raggiungere altri paesi europei), ma al contempo non si rintracciano grandi mutamenti nell’immigrazione stanziale. È da almeno 3 anni, infatti, che gli stranieri residenti in Italia mantengono una dimensione vicina ai 5 milioni e che non si assiste all’arrivo di significativi flussi di ingresso (meglio sarebbe dire a decreti flussi di autorizzazione all’ingresso) di migranti interessati a entrare e restare stabilmente in Italia.   
 
A confermarlo è il Dossier statistico immigrazione 2016 presentato oggi a Roma dal Centro Studi e Ricerche Idos in contemporanea in tutte le regioni italiane[1]. Il volume affronta anche quest’anno le principali caratteristiche delle migrazioni a livello internazionale, europeo e italiano, dedicando ampio spazio al tema dei rifugiati, ma anche dei tanti immigrati stanziali presenti nel paese. Ed è il confronto tra queste due dimensioni, tra il fenomeno dei richiedenti asilo e quello delle migrazioni in senso ampio  e più in generale tra i numeri percepiti e i numeri effettivi  a produrre quella che si può definire una narrazione controcorrente. 
 
Calma piatta, dunque? Non proprio. Da una parte perché i flussi di richiedenti asilo e persone in fuga, seppure siano solo una parte dell’immigrazione in Italia, sono certamente tra le sue facce più dolorose e complesse da affrontare, dall’altra perché la stazionarietà dei numeri sui migranti stanziali per molti aspetti è in realtà apparente.  
 
Nel 2015 in Italia sono sbarcate 154.000 persone (il 9% in meno rispetto al 2014) e, soprattutto, il paese ha iniziato ad attuare il cosiddetto approccio hotspot[2], con tutte le preoccupanti criticità che questo sta sollevando e che l’associazionismo e le organizzazioni di tutela dei migranti vanno evidenziando da molti mesi. E tuttavia, nello stesso anno i migranti forzati  (ossia i richiedenti asilo, i rifugiati e i profughi) sono stati a livello mondiale 65,3 milioni , un picco mai raggiunto in precedenza. Di questi, 21,3 milioni sono rifugiati e 3,2 milioni richiedenti asilo in attesa di una decisione sulla loro domanda. 
 
L’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati stima che ogni minuto ci siano nel mondo 24 persone costrette a lasciare la propria casa per sfuggire a una situazione insostenibile di bisogno o per evitare il pericolo di morte o di privazione della libertà. Nell’attuale scenario globale, dunque, questi flussi sono in larga misura ineliminabili perché, alle conseguenze del passato coloniale, si aggiungono pesanti fattori strutturali: guerre, contrapposizioni politiche interne, incompetenza delle classi dirigenti locali, disastri finanziari, cause naturali e persecuzioni di varia natura. Lo slogan “aiutiamoli a casa loro” mostra così tutta la sua debolezza e insufficienza.
 
Guardando invece ai migranti stanziali, alla fine del 2015 gli stranieri residenti in Italia sono 5.026.153, appena 12mila in più rispetto allo scorso anno. A questa presenza va aggiunta quella dei soggiornanti non (ancora) iscritti all’anagrafe, considerando i quali Idos stima che a fine 2015 gli stranieri regolarmente presenti in Italia sfiorino i 5 milioni e mezzo di persone (5.498.000).
 
Restando ai soli residenti, la loro apparente immobilità numerica va letta insieme a un altro dato, quello sulle acquisizioni di cittadinanza italiana. Nel 2015 sono stati 178.035 gli stranieri che hanno ottenuto la cittadinanza italiana, per quasi i due quinti minori. E così, nonostante nel 2015 si siano iscritti alle liste anagrafiche 250mila stranieri provenienti dall’estero, il fatto che vi sia stato un così alto numero di persone divenute italiane, oltre ai decessi e alle cancellazioni di altra natura, spiega perché il numero complessivo resti di fatto quasi immutato.
 
Nonostante l’apparenza dei numeri, in realtà, è in atto un profondo e silenzioso mutamento antropologico del paese e della sua composizione sociale, culturale, religiosa e linguistica. Basti considerare che sono almeno 1.150.000 le persone di origine immigrata che fino ad oggi hanno acquisito la cittadinanza italiana. Conteggiando anche gli italiani che vivono all’estero (5.202.000 secondo le anagrafi consolari, cresciuti nel 2015 di circa 200mila unità), si può stimare che, su 244milioni di migranti nel mondo, l’Italia detenga una quota del 4% (oltre 10 milioni), riferibile per la metà ad italiani all’estero e per l’altra metà a immigrati residenti sul territorio nazionale. 
 
Tra gli stranieri non comunitari titolari di permesso di soggiorno sono ulteriormente cresciuti i soggiornanti di lungo periodo, giunti ad essere quasi 6 su 10: anch’essi espressione di una presenza che, pur non registrando picchi statistici, ogni anno matura un più forte radicamento sociale. Anche guardando ai permessi di soggiorno, torna il dualismo tra immigrazione stanziale e migrazioni forzate, due poli del fenomeno che nell’attuale fase rischiano di offuscarsi l’un l’altro, ma che esprimono domande e bisogni fortemente differenti. Ad essere cresciuti più di tutti nel 2015 sono stati, da una parte, i permessi di lungo soggiorno (non soggetti a scadenza), e dall’altra quelli rilasciati per asilo e protezione umanitaria, il cui incremento è stato del +40,5% e che hanno inciso per il 28,2% sui nuovi permessi rilasciati (19,3% nel 2014 e 7,5% nel 2013). 
 
Ma cosa dicono i dati sulle donne immigrate? Queste continuano ad essere più della metà degli stranieri residenti in Italia (52,6%), hanno inciso per la metà sulle acquisizioni di cittadinanza italiana, ma nel mercato del lavoro risultano meno rappresentate e per lo più relegate ai lavori di cura e assistenza familiare (vi è impiegata la metà delle donne straniere occupate in Italia). 
 
Uno dei dati più esplicitamente controcorrente rispetto alla vulgata riguarda l’accesso alla cittadinanza italiana, cresciuto proporzionalmente più tra le donne che tra gli uomini. Un dato che sfata la leggenda per cui queste sposerebbero gli uomini italiani al fine strumentale di acquisirne la cittadinanza. Tra il 2014 e il 2015, infatti, l’Istat evidenzia che, nonostante il boom di acquisizioni di cittadinanza italiana, quelle avvenute a seguito di matrimonio (che in passato erano le più numerose e riguardavano maggiormente le donne) sono diminuite, passando da una quota del 14% al 9% (e il calo è stato ancora più forte tra le donne: dal 25% al 16%). 
 
Il lavoro resta tra i principali ostacoli al loro inserimento. Tra le straniere entrate con permesso di soggiorno rilasciato nel 2015, il motivo del lavoro copre una percentuale sempre più esigua ed è sceso da una quota del 14,5% nel 2014 al 6,8% (in quasi tre casi su cinque il rilascio è avvenuto per motivi familiari). Né può consolare la più bassa esposizione delle immigrate alla perdita del lavoro negli anni della crisi, perché la controparte è la loro accentuata concentrazione nei servizi domestici e assistenziali, la cui domanda non è stata influenzata dal ciclo economico negativo. Su 100 addetti stranieri del settore, le donne sono 86,5 (93,8 tra le badanti). Inoltre nel 15,1% dei casi si tratta di donne che, all’interno dei propri nuclei familiari, sono le uniche “breadwinner”. 
 
La più alta tenuta occupazionale, dunque, ha tutelato le donne dalla disoccupazione ma ne ha acuito la segregazione nelle posizioni lavorative meno qualificate, meno retribuite, più esposte a irregolarità contrattuale o a sottoccupazione: il 49,6% è sovraistruita rispetto al lavoro che svolge (a fronte del 22,1% tra le italiane); il 12,4% è sottoccupata (4,8% tra le italiane); la retribuzione media mensile ammonta a 822 euro (a fronte di 1.202 euro tra le italiane).
 
Insomma, la società, e da ultimo la crisi economica, penalizzano le immigrate. E però, le immigrate sfidano la società e la crisi: in Italia il 23,3% delle 550mila imprese straniere è a conduzione femminile; tra le aziende degli immigrati, quelle condotte da donne sono cresciute del 5,8% tra il 2014 e il 2015 (a fronte di una media del 5,0%); restringendo l’analisi agli stranieri responsabili d’impresa, dal 2008 al 2015 gli uomini sono cresciuti del +49,6% e le donne del 66,4%. 
 
Al contempo, le donne straniere intraprendono più spesso e con più successo la formazione universitaria: sono il 58,7% degli universitari stranieri e il 60,8% dei laureati stranieri. Infine, secondo l’Oim, le donne inviano nei paesi di origine più soldi degli uomini, contribuendo con le loro rimesse a sostenere i familiari rimasti a casa e l’economia dei paesi di partenza. 
 
Quello che emerge dal dossier, insomma, è un quadro “controcorrente”, che richiederebbe risposte innovative. Lo è stata, sul versante delle migrazioni forzate, l’iniziativa dei corridoi umanitari realizzata, in accordo con il ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, dalla chiesa valdese e dalla comunità di S. Egidio. Dovrebbe esserlo, sul versante dell’immigrazione stanziale, una politica che valorizzi l’apporto dei migranti e delle nuove generazioni di migranti e che sappia strategicamente fare dell’integrazione lo strumento per una ripresa economica e culturale di tutto il paese. 
 
NOTE

[1] L’annuario, a cura del Centro Studi e Ricerche Idos, in partenariato con la rivista interreligiosa “Confronti”, è stato pubblicato con il sostengo del Fondo otto per mille della chiesa valdese e metodista e in collaborazione con l’Unar.
 
[2] Nell’agenda europea sulla migrazione presentata a maggio 2016, la Commissione europea ha introdotto un nuovo metodo basato sugli hotspots per dare sostegno agli stati membri in prima linea nell’affrontare le pressioni migratorie alle frontiere esterne dell’Ue. Si tratta di centri predisposti in prossimità dei porti e dei punti di arrivo dei migranti ai fini dell’identificazione, della registrazione e del rilevamento delle impronte digitali. Mentre i rifugiati sono coloro cui è stata già riconosciuta una protezione internazionale, i richiedenti asilo sono tutti coloro che hanno presentato domanda di protezione ma attendono ancora l’esito della stessa.