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Seppur citata, la visione di genere resta marginale nel piano nazionale proposto dal governo per la ripresa. Osservazioni critiche e una proposta per ripartire dall'occupazione femminile

Una vera ripresa mette
al centro le donne

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Foto: Unsplash/ engin akyurt

Il 15 settembre scorso il governo ha trasmesso alle camere la proposta di Linee guida del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) per l’Italia. Il 14 ottobre (alla vigilia del consiglio europeo del 15-16 ottobre) la proposta è stata approvata dal parlamento, e il governo l’ha trasmessa a Bruxelles per iniziare il dialogo informale con la commissione europea in vista della predisposizione del piano definitivo. Quello approvato è un documento preparatorio che indica le linee programmatiche per accedere alle risorse previste dal Next Generation EU (NGEU). La versione finale del PNRR dovrà tradurre le attuali linee guida in un insieme di progetti dettagliati che richiederanno l’approvazione dagli organi comunitari. Poiché il processo di approvazione del PNRR è previsto per gli inizi del 2021, rimane qualche mese per la stesura definitiva dei singoli progetti. Il tempo è poco, ma non possiamo perdere l’opportunità di avanzare proposte in un’ottica di genere da inserire nel PNRR definitivo.     

Il recovery fund è un’importante risorsa resa disponibile dall’accordo del 21 luglio scorso tra i 27 stati membri sul programma Next Generation EU. L’Italia potrà disporre di 209 miliardi (tra aiuti e prestiti) da utilizzare per riforme e investimenti. È cruciale che queste risorse siano utilizzate al meglio, al fine di superare i nodi strutturali del nostro sistema economico. Tra i tanti nodi irrisolti vi è l’insufficiente integrazione delle donne nel mondo del lavoro. Come ha recentemente ricordato Linda Laura Sabbadini, se il tasso di occupazione femminile in Italia aumentasse fino ad allinearsi alla media Ue (attorno al 60%), il livello del Pil aumenterebbe di circa 7 punti percentuali. Il nuovo programma NGEU mette l’accento sulle generazioni future, su un domani con una crescita in ripresa e più sostenibile. È stato pertanto deliberato che i piani nazionali – che ciascuno stato membro dovrà presentare a Bruxelles per accedere ai fondi del programma comunitario  devono delineare un insieme di riforme e investimenti (intesi in senso ampio) volti alle transizioni verde e digitale, esplicitando al contempo in che modo contribuiscono a rafforzare il potenziale di crescita. Per l’Italia, l’utilizzo del recovery fund dovrebbe includere tra gli obiettivi generali un deciso aumento dell’uguaglianza di genere realizzato a partire dall’accesso al lavoro retribuito.  

Il tasso di occupazione femminile è un indicatore semplice da capire: indica il numero di donne (in età lavorativa) che attraverso il lavoro retribuito gode di indipendenza economica (almeno parziale). È un punto di partenza importante nell’analisi delle disuguaglianze di genere, pur nella consapevolezza della presenza di molte altre disuguaglianze. Come è noto, il tasso di occupazione femminile in Italia è sempre stato molto basso, collocandosi nelle ultime posizioni nei confronti internazionali. Se andiamo indietro nel tempo a prima della grande recessione, il confronto tra Italia e Ue27 mostra un progressivo aumento della differenza: il divario prima della grande recessione era di 11,7 punti, ed è andato aumentando fino a 14,1 punti nel 2019. Inoltre, se durante la grande recessione la contrazione occupazionale era stata più marcata tra gli uomini, l’impatto occupazionale della pandemia è stato più marcato tra le donne (cfr. tav. 1).

Tavola 1. Occupazione e tasso di occupazione per sesso in Italia nel II trimestre del 2020

 

Note: variazione congiunturale: variazione rispetto al periodo immediatamente precedente (I trimestre 2020); variazione tendenziale: variazione rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente (II trimestre 2019). Fonte: Istat, Nota trimestrale sulle tendenze dell’occupazione. II trimestre 2020, 18 settembre 2020

Sulla stampa, e in generale nei media, si è sottolineata la mancanza, da parte del governo, di una linea strategica chiara per utilizzare al meglio i 209 miliardi del Next generation EU. Si è parlato molto anche dei 557 progetti presentati un po’ alla rinfusa dalle varie amministrazioni in vista del PNRR definitivo. Questi progetti ammontano complessivamente a 677 miliardi, più del triplo rispetto ai fondi che l’Italia potrà ottenere. E altri progetti sono arrivati e stanno arrivando, senza un chiaro coordinamento dall’alto.

Bisognerà scegliere, e per farlo è cruciale delineare una strategia capace di utilizzare questi fondi per investire sulle generazioni future e superare le tante criticità strutturali dell’economia italiana. Ribadisco con Valentina Cardinali che “non ci potrà essere alcuna strategia futura di ripresa fino a che la scarsa partecipazione delle donne al mercato del lavoro non sarà una priorità del paese”. E ciò richiede di considerare in modo esplicito e prioritario l’obiettivo di un innalzamento significativo dell’occupazione femminile nella scelta e nella definizione dei progetti su cui puntare.

Le linee guida del piano si presentano come un documento snello (38 pp.) che delinea i macro-obiettivi che dovranno ispirare il PNRR, le grandi aree di intervento (indicate come ‘missioni’), il principio del raggruppamento dei progetti di investimento in cluster (insieme di progetti omogenei per missione), i criteri di selezione dei progetti e le iniziative di riforma coerenti con le missioni. La lettura del documento, da economista femminista, sollecita tre commenti critici, ma anche una precisa proposta.

L'occupazione femminile resta sotto traccia

La questione del basso tasso di occupazione femminile è presente nelle linee guida del PNRR, ma un po’ troppo sotto traccia. Ad esempio, nell’elenco degli obiettivi economico-sociali di lungo termine individuati dal governo (cfr. Riquadro 1) è incluso l’obiettivo di un aumento del tasso di occupazione totale (di 10 punti percentuali), senza però che venga esplicitato un target occupazionale specifico per le donne. Ciò sorprende se si tiene presente che donne e uomini si differenziano per molte caratteristiche individuali rilevanti – es.: livello d’istruzione ed ambito disciplinare degli studi; disponibilità ad orari lunghi/ridotti – che influenzano l’impatto occupazionale per sesso di eventuali progetti di investimento. Non è pertanto sufficiente definire un obiettivo occupazionale indifferenziato per assicurare un significativo aumento del tasso di occupazione femminile. Tanto più che il regolamento per la predisposizione dei PNRR chiede agli stati membri di considerare le ‘raccomandazioni’ specifiche ricevute dalla commissione negli ultimi due anni (2020 e 2019), e nella seconda raccomandazione fatte all’Italia nel 2019 si legge di “sostenere la partecipazione delle donne al mercato del lavoro attraverso una strategia globale”. Ma favorire la partecipazione senza creazione di occupazione rischia di tradursi in ulteriore scoraggiamento.

Riquadro 1. Gli obiettivi economico-sociali di lungo termine del PNRR

 

Fonte: Linee guida PNRR – Documento approvato dal CIAE (slide n. 4)

La dimensione di genere è circoscritta come tema a sé

In un’ottica di genere la discussione delle sei aree tematiche di intervento (pp. 12-19) è deludente, mentre è proprio su queste sei aree, o ‘missioni’ (cfr. Riquadro 2), che dovranno focalizzarsi i progetti di investimento da includere nel piano per il raggiungimento degli obiettivi generali. Invece che essere presente a livello trasversale – come richiede una strategia che punti sull’occupazione delle donne per la crescita  la dimensione di genere rimane circoscritta all’interno della missione 5 ‘Equità sociale, di genere e territoriale’ (pp. 17-18), ed esclusivamente con riferimento alle ‘politiche sociali e di sostegno alla famiglia’. A ciò si aggiunge l’indeterminatezza di alcune espressioni.  Perché parlare genericamente di “equità … di genere”, quando l’accento dovrebbe essere sulla promozione dell’uguaglianza tra uomini e donne (o riduzione della discriminazione nei confronti delle donne). E perché assumere, seppure implicitamente, che all’origine della bassa occupazione femminile ci siano esclusivamente difficoltà di conciliazione e non piuttosto l’insufficiente creazione di posti di lavoro buoni – soprattutto nel mezzogiorno. È noto come la scarsità di posti di lavoro ponga molte giovani donne in condizioni di grande svantaggio anche prima di diventare madri! E le condizioni di precarietà in cui si trovano oggi molti giovani donne si ripercuotono sulle loro scelte riproduttive (come confermano i dati sull’andamento del tasso di fecondità). Il problema della cura (intesa in senso ampio) e del sovraccarico di lavoro per le donne in età lavorativa è un nodo cruciale che va affrontato e risolto, ma che non risolve un nodo altrettanto cruciale: l’insufficiente creazione di occupazione femminile, fatta di lavori sicuri.

Riquadro 2. Le missioni del PNRR


Valutare l'impatto di genere, un concetto stravolto

Nelle linee guida viene fatta menzione “all’introduzione di una adeguata valutazione di impatto di genere”, ma ancora una volta il concetto di gender impact assessment – introdotto dall’approccio gender mainstreaming all’intervento pubblico  è stravolto. In breve, la menzione è confinata all’interno della missione 5 (p. 18), mentre l’idea del gender impact assessment è necessariamente trasversale. È poi del tutto dimenticato nella dettagliata discussione dei criteri di valutazione dei progetti ai fini della loro ammissibilità e inclusione nel documento finale (il PNRR), da presentare alla commissione europea per accedere alle risorse previste dal recovery fund. Questa omissione è grave se si tengono presenti alcuni dei criteri – definiti dal Regolamento predisposto dalla Commissione europea – che vincolano le scelte dei paesi. In particolare, va ricordato che circa la metà delle risorse disponibili nello strumento per la ripresa e la resilienza dovranno essere destinate alla transizione verde e digitale.    

Una proposta

Per riassumere, metterei in fila ciò che un piano di medio-lungo termine deve prevedere per risultare efficace e coerente nel perseguire l’uguaglianza di genere.

Innanzitutto deve includere un obiettivo chiaro ed esplicito per il tasso di occupazione femminile – precondizione per una significativa riduzione delle disuguaglianze nella società, nel mercato del lavoro e in famiglia.

In secondo luogo, per arrivare ad individuare un insieme di progetti coerenti con questo obiettivo, è fondamentale includere tra i criteri per la selezione dei progetti da inserire nel PNRR una valutazione dell’impatto occupazionale disaggregato per sesso, nel medio-lungo periodo.

Tale valutazione dovrà considerare non solo gli effetti occupazionali diretti del progetto, ma anche eventuali effetti indiretti. La proposta avanzata da Francesca Bettio ed Elena Gentili  sull’espansione dell’offerta nidi costituisce  un possibile esempio di progetto inseribile nel PNRR definitivo. Ben vengano nelle prossime settimane altri esercizi nello stesso spirito!  

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