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Viaggio nell'aborto farmacologico in Italia

Dati
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Nel 1978, la legge 194 non poteva menzionare l'interruzione volontaria di gravidanza farmacologica, ma con lungimiranza parlava di aggiornamento del personale sanitario "sull'uso delle tecniche più moderne, più rispettose dell’integrità fisica e psichica della donna e meno rischiose per l'interruzione della gravidanza". 

Sono passati tre anni dall'approvazione delle linee guida sull'aborto farmacologico introdotte dal Ministro Speranza, ma a oggi solo tre regioni (Toscana, Emilia Romagna, Lazio) le applicano, mentre altre tre hanno espressamente deciso di non applicarle (Umbria, Piemonte e Marche).

Un recente rapporto pubblicato dall'associazione Medici del Mondo descrive nel dettaglio la situazione in Italia relativa all'aborto con metodo farmacologico, in cui le disuguaglianze regionali e le difficoltà nell'accesso al servizio diventano ancora più evidenti rispetto all'aborto con metodo chirurgico. 

Le linee di indirizzo emanate dal Ministero della Salute nel 2020, inoltre, non hanno un carattere coercitivo e, non prevedendo meccanismi premianti, per le regioni rappresentano quindi solo un’indicazione che, per il momento, la maggior parte ha scelto di disattendere.

Dai dati dal rapporto emerge un paese che procede in ordine sparso, con alcune buone prassi in regioni più virtuose (Emilia Romagna e Lazio) e regioni, come la Sicilia, dove l'obiezione di coscienza è praticamente totale e il Piemonte, con una legge regionale che finanzia attività di dissuasione dall'aborto.

Dove manca l'accesso all'aborto e dove viene ostacolato l'aborto farmacologico, le motivazioni sono politiche e ideologiche, senza alcuna evidenza scientifica, spiega il rapporto.

Mentre l'Organizzazione mondiale della sanità (Oms), infatti, raccomanda la deospedalizzazione e l'autogestione dell'aborto farmacologico, la maggior parte dei protocolli emanati nelle regioni italiane esige invece il controllo della procedura da parte delle strutture sanitarie. Intanto, la guida rilasciata proprio dall'Oms a giugno 2023 afferma che tutte le fasi – autovalutazione dell'idoneità, autosomministrazione dei medicinali e autovalutazione del successo dell’aborto – potrebbero essere portate avanti in autonomia fino alla dodicesima settimana di gestazione, con il solo supporto del personale sanitario.

"Proprio l'aspetto della scelta è quello che sembra mancare nella regolamentazione dell’aborto farmacologico in Italia" sottolinea il rapporto.

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