Dati

I percorsi formativi di laureate e laureati seguono ancora il tracciato degli stereotipi e gli esiti occupazionali mostrano maggiori difficoltà per le ragazze: anche quando scelgono le scienze il mercato del lavoro non le premia. Un'analisi a partire dagli ultimi dati di Almalaurea

Il lavoro che non
premia le laureate

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Foto: Unsplash/ Agustin Gunawan

Il 28 gennaio 2022 il Consorzio interuniversitario Almalaurea (a cui aderiscono attualmente 76 atenei) ha presentato il Rapporto tematico Laureate e laureati: scelte, esperienze e realizzazioni professionali in diretta streaming dall’Università di Bologna.

Va ricordato che Almalaurea svolge annualmente indagini che si propongono di fornire una base statistica accurata per il monitoraggio del sistema universitario, per permettere agli atenei che aderiscono al consorzio, una valutazione dell’evidenza e l’impostazione delle loro politiche universitarie. I vari rapporti sono molto voluminosi, con tante statistiche, molte disaggregate per sesso, e analisi prevalentemente descrittive. Date le caratteristiche del consorzio, non sono mai presenti proposte di politiche.

Nel corso del tempo, i rapporti annuali di Almalaurea hanno prestato un’attenzione crescente alle marcate differenze di genere nelle scelte degli ambiti disciplinari, e alle maggiori difficoltà di inserimento delle donne laureate nel mercato del lavoro. Attingendo alle indagini annuali sul profilo e sulla condizione occupazionale dei laureati, il rapporto tematico appena presentato riorganizza e approfondisce le informazioni su scelte formative ed esiti occupazionali di studentesse e studenti, con alcuni brevi approfondimenti sulle discipline STEM.[1] 

Si tratta di un rapporto snello rispetto a quelli annuali (118 pagine), ma presenta alcuni limiti: si basa principalmente su alcune statistiche descrittive (disaggregate per sesso); è assente un approccio di genere (ovvero, non sono esplicitate ipotesi interpretative, o analisi causali); non sono avanzate proposte di politiche di genere. Tuttavia, mostra in modo chiaro alcuni nodi che devono essere sciolti per ridurre il basso rendimento dell’istruzione terziaria per le donne.

Le scelte formative di laureate e laureati si differenziano sotto diversi aspetti

È un fatto noto la maggiore partecipazione delle donne all’istruzione universitaria (con il 58,7% dei laureati nel 2020), con un progressivo aumento del divario di genere (dopo il sorpasso registrato nei primi anni ’90).

Le migliori performance pre-universitarie (voto medio di diploma più alto: 82,5 vs 80,2) e il fatto che più di frequente provengono da percorsi liceali (80,7% vs 68%) sono tra i fattori alla base della più alta propensione delle donne a intraprendere gli studi universitari.

Almalaurea evidenzia le differenze del contesto familiare di provenienza. Quello delle laureate è ‘meno favorito’ in termini di livello d’istruzione: il 34,3% degli uomini rispetto al 28,3% delle donne proviene da una famiglia in cui almeno un genitore è laureato. Inoltre, laddove i genitori sono in possesso di una laurea, le donne con minore frequenza conseguono la laurea nello stesso ambito disciplinare (18,8% vs 21,7%). Si può forse concludere che le giovani donne sono più emancipate dalla famiglia?

Le scelte del percorso formativo (per gruppo disciplinare) suggeriscono il contrario. I dati evidenziano differenze di rilievo: un’alta presenza di donne nei corsi tradizionalmente femminili (educazione e formazione, linguistico, e psicologico), ed un’alta presenza di uomini nei corsi tradizionalmente maschili (informatica tecnologie ICT, e ingegneria industriale e dell’informazione).

I dati medi sul totale dei laureati mostrano migliori risultati nel corso degli studi universitari (come regolarità degli studi, e voto medio di laurea) sebbene ciò non sia imputabile in misura decisa al genere, ma sia associato ad altre caratteristiche individuali (es.: liceo vs istituti tecnici) e alle scelte di corsi di studio (es.: Ssh vs Stem).[2] Ovvero, i corsi di studio più femminilizzati hanno tempi medi di conclusione più rapidi e voti medi di laurea più alti.

La lettura del rapporto e dell’evidenza statistica che contiene porta a concludere che le scelte formative rimangono ancora molto diverse tra i due sessi. Ed è plausibile ritenere che ciò risenta del contesto familiare di provenienza, e dei ‘tradizionali’ modelli sociali proposti che spingono la maggioranza delle giovani donne verso corsi di studio tipicamente ‘femminili’. Ciò trova conferma in un breve approfondimento proposto nel rapporto sui laureati Stem (scienze, tecnologie, ingegnerie, matematica).

Un modello di regressione statistica (sui laureati di primo livello e magistrali a ciclo unico) è utilizzato per valutare la probabilità di laurearsi in un percorso Stem rispetto ad altri percorsi: per le donne la probabilità è del 69,3% inferiore agli uomini. Si rileva, inoltre, che nella scelta di un percorso universitario Stem, l’influenza del livello educativo dei genitori è più marcata per le donne, mentre il voto di diploma è più rilevante per gli uomini. Detto in termini semplici, può non essere sufficiente per una studentessa essere brava nel percorso scolastico per scegliere un percorso Stem, la famiglia d’origine agisce come freno rispetto a scelte non convenzionali, soprattutto se il livello di istruzione dei genitori è basso. Ancora oggi, il contesto familiare di provenienza e i modelli sociali proposti hanno una forte influenza sulle scelte formative delle giovani generazioni, frenando l’accesso delle giovani donne verso gli studi Stem. “Ed è proprio a partire da tali elementi che sarebbe importante intervenire per scardinare dinamiche ormai consolidate”. [p. 46]

Gli esiti occupazionali di laureate e laureati evidenziano maggiori difficoltà per le laureate

I dati elaborati da Almalaurea sugli esiti occupazionali dei laureati confermano le maggiori difficoltà di inserimento nel mercato del lavoro delle laureate rispetto ai laureati, sia nel breve sia nel medio periodo (tabella 1). Le laureate hanno un tasso di occupazione decisamente più basso dei laureati, per entrambi i tipi di laurea (primo e secondo livello), e per entrambi i gruppi osservati (ad un anno e a cinque anni dalla laurea). Inoltre, l’inserimento delle laureate nell’occupazione avviene attraverso il lavoro non standard in misura decisamente maggiore rispetto ai laureati. Infine, la quota di laureate in condizioni di precarietà a cinque anni dalla laurea aumenta con l’innalzamento del titolo di studio (18,9% a cinque anni dalla laurea, rispetto al 17% per la laurea di primo livello), invece di ridursi.

Tabella 1. Gli esiti occupazionali nel 2020 per tipo di laurea e sesso

Fonte: Almalaurea, Indagine sulla condizione occupazionale dei laureati, 2022

Le maggiori difficoltà incontrate dalle laureate nell’inserimento nel mercato del lavoro – in termini di più basso tasso di occupazione e maggiore incidenza di occupazione precaria – sono presenti in tutti i gruppi disciplinari (sebbene con differenze di ampiezza). Su questi risultati incidono diversi elementi: le condizioni della domanda di lavoro nei diversi settori di attività, le specifiche condizioni del mercato del lavoro nelle diverse professioni, e la quota di laureati assorbiti dal settore pubblico. Purtroppo, Almalaurea non approfondisce questi aspetti; e si limita ad osservare che la maggiore diffusione del lavoro non standard tra le laureate è in parte attribuibile al fatto che molte laureate finiscono per essere occupate nel settore pubblico (p.59), caratterizzato da un’alta incidenza di contratti precari. Ciò solleva domande importanti su cui interrogarci. Cosa dovrebbe (o potrebbe) essere fatto per ridurre l’alta incidenza del lavoro non standard nel settore pubblico? Quali sono le ragioni che spingono tante giovani laureate a cercare occupazione nel settore pubblico? Quali politiche potrebbero favorire un più rapido e sicuro inserimento delle giovani donne nel settore privato?

Le informazioni sugli esiti occupazionali per il totale dei laureati possono essere messe a confronto con i laureati Stem. È noto che in Italia scarseggiano lavoratori con competenze Stem, ed è soprattutto il settore privato che ricerca laureati Stem. Inoltre, è plausibile ipotizzare che le poche donne che scelgono questo ambito di studio, siano molto brave (ovvero, ‘selezionate verso l’alto’) e determinate ad accedere a lavori di buona qualità.  I dati di Almalaurea (2022, p.68) confermano che i laureati Stem si posizionano meglio rispetto al totale dei laureati (che include tutti i gruppi disciplinari) in termini sia di tasso di occupazione sia di incidenza del lavoro non standard, e ciò è vero per entrambi i sessi. Tuttavia, anche per i laureati Stem permane uno svantaggio di genere in entrambi gli indicatori.

In termini retributivi, lo svantaggio delle laureate rispetto ai laureati è molto marcato. Il differenziale di genere nella retribuzione mensile netta, per il totale dei laureati, è attorno al 20% (per le lauree sia di primo livello, sia di secondo livello). Questo differenziale retributivo medio a sfavore delle laureate è confermato in tutti gli ambiti disciplinari.

Vale la pena osservare che tra tutte le laureate (di secondo livello) sono le laureate in ‘ingegneria industriale e dell’informazione’ quelle con le retribuzioni mensili più elevate (1.723 €), sebbene inferiori a quelle dei colleghi maschi con lo stesso titolo di studio (1.872 €). Questo livello retributivo (medio mensile netto) è molto al di sopra dei livelli retributivi di uomini e donne laureati occupati, ma con titoli di studio in ambiti disciplinari cosiddetti ‘deboli’ (psicologico, arte e design, letterario-umanistico, educazione e formazione, linguistico). Questa evidenza, molto semplice e un po’ grossolana, porta ad interrogarsi su cosa viene fatto nelle scuole per aiutare gli studenti delle superiori, in particolare le studentesse, nelle loro scelte per il proseguimento degli studi. Certamente le opportunità occupazionali e le possibilità di guadagno – molto diverse tra i vari ambiti disciplinari - sono alcuni tra i tanti aspetti da considerare. Ma devono essere spiegati in modo chiaro per aiutare a fare scelte consapevoli.

Figura1. Laureati di secondo livello nell'anno 2015 occupati a cinque anni dal conseguimento del titolo: retribuzione mensile netta per gruppo disciplinare e genere. Anno di indagine 2020 (valori medi in euro).

Fonte: Almalaurea, Indagine sulla condizione occupazionale dei laureati, 2022

Il differenziale retributivo medio (identificato anche come ‘grezzo’) è di difficile interpretazione in quanto non tiene conto delle molte variabili in gioco, come il numero di ore lavorate, eventuali esperienze lavorative durante gli studi, il settore produttivo, e il settore di attività (privato, pubblico, non profit) infine la presenza di figli.

Se si considera un gruppo più omogeneo (i soli laureati che hanno iniziato a lavorare dopo la laurea, osservati a cinque anni dalla laurea, ed occupati a tempo pieno) il differenziale retributivo si riduce, ma rimane consistente: è pari al 12% per i laureati di primo livello, e al 14,3% per i laureati di secondo livello.

Come già osservato, questo differenziale retributivo va letto tenendo conto del fatto che le laureate sono assorbite in misura maggiore nel settore pubblico e più frequentemente con contratti non standard, all’opposto i laureati entrano più numerosi nel settore privato e con contratti a tempo indeterminato (o intraprendono la libera professione, o lavorano come imprenditori). Queste differenze tra laureate e laureati negli esiti occupazionale possono essere lette come la conseguenza di differenze di genere nelle scelte d’istruzione e professionali, da un lato, e di differenze di opportunità nel mercato del lavoro, dall’altro. Non sorprende, pertanto, di leggere nel rapporto che:

“Gli uomini, rispetto alle donne, svolgono in misura maggiore una professione di alto livello (imprenditori, dirigenti) e a elevata specializzazione (liberi professionisti, altre professioni […]). Tra le donne, al contrario, sono più diffuse le professioni esecutive di ufficio.” (p.66)

Per concludere, la strada per l’inserimento delle giovani donne laureate nel mercato del lavoro in Italia è ancora lunga e in salita. Per uscire dalla lunga stagnazione economica, con bassi tassi di occupazione totale e livelli salariali indecorosi, l'Italia ha bisogno del lavoro retribuito delle donne. Ma le donne hanno bisogno di lavori buoni. Per le giovani donne che investono in istruzione, ciò richiede interventi su molti fronti. In particolare, sono indispensabili interventi a tutto campo nell’istruzione: insegnamento scolastico, per ridurre il differenziale di apprendimento in matematica); orientamento scolastico, per favorire scelte meno condizionate da stereotipi e norme sociali, in gran parte trasmesse dalla famiglia; orientamento per l’istruzione universitaria, per aiutare a scelte consapevoli, che tengono conto anche delle opportunità lavorative e delle caratteristiche dei lavori disponibili.  

Note

[1] Più precisamente, il rapporto analizza il contesto familiare di provenienza e il percorso di studio pre-universitario, fattori che influenzano le diverse scelte formative. Si evidenziano le performance di laureate e laureati, analizzate con riferimento sia alla rapidità nel conseguire il titolo sia alla votazione ottenuta, e gli esiti occupazionali evidenziando le differenze di genere. Inoltre, vengono confrontate le aspirazioni lavorative (manifestate alla vigilia della laurea) con la successiva realizzazione professionale. Infine, è affrontato il tema della mobilità territoriale per motivi di studio e di lavoro.

[2] Gli acronimi STEM (Science, Technology, Engineering e Mathematics) e SSH (Social Sciences and Humanities) indicano rispettivamente l'insieme delle discipline scientifico-tecnologiche e l’insieme delle discipline di scienze sociali e umanistiche, e i relativi campi di studio.