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Salari bassi, precarietà, depressione: un'indagine sulla salute mentale nel settore dell'informazione racconta l'inferno delle giornaliste, tra pressioni professionali e violenze di genere. Qualcosa però può cambiare, grazie a nuovi modi di fare rete

L'inferno delle
giornaliste

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inferno giornaliste
Credits Unsplash/Mahbod Akhzami

Leggere l'indagine realizzata da Alice Facchini per il periodico indipendente di giornalismo d'inchiesta IrpiMedia dal titolo Come ti senti? – che per la prima volta in Italia approfondisce il tema della salute mentale delle persone che lavorano come freelance nel settore giornalistico, con un focus specifico sull'impatto delle molestie e delle discriminazioni di genere – ha due effetti immediati sul pubblico femminile. 

Il primo è il sentimento di appartenenza: molte di quelle testimonianze appartengono anche a noi lettrici, indipendentemente dall'essere o meno giornaliste. In secondo luogo, a colpisce il fatto che solo il 37% delle giornaliste intervistate ritenga che le molestie siano un rischio per il proprio benessere psicologico, anche se la percentuale sale al 59% quando si parla di discriminazioni legate al genere. 

Per la maggior parte delle 558 persone che hanno risposto al questionario, il fattore più impattante sul benessere psicologico della categoria è riferito ai compensi troppo bassi. A seguire, c'è la precarietà lavorativa, considerata "abbastanza" o "molto" impattante dall'83% delle persone intervistate, che per il 55% sono donne.

Non c'è dubbio che essere pagate poco e non sempre aumenta il senso di ricatto, ma serpeggia un non detto scivoloso: le molestie sono ritenute il male minore?

Dalla totalità dei dati presi in esame attraverso questionari anonimi distribuiti fra luglio e ottobre 2023, emerge che tra i disturbi più comuni c'è lo stress (87%), seguito dall'ansia (73%), mentre il 68% ha dichiarato di provare un senso di inadeguatezza. 

Più del 40% denuncia la sindrome da burnout, attacchi di rabbia immotivati e dipendenza da internet e dai social network. Una persona su tre parla esplicitamente di depressione, probabilmente causata anche da altri fattori stressanti segnalati nel questionario, ossia il dover sempre garantire connessione e reperibilità (76%), i ritmi frenetici (70%), l'ipercompetitività (65%) e l'ambiente giudicante (57%).

Come se non bastasse, sulle giornaliste pesano, appunto, anche le molestie e le discriminazioni. Ma questo non sorprende. La violenza maschilista e patriarcale abita da sempre le redazioni. 

Già nel 2019, dall'indagine condotta dalla Cassa autonoma di assistenza integrativa dei giornalisti italiani (Casagit), dall'Istituto Nazionale di previdenza dei giornalisti italiani Giovanni Amendola (Inpgi), dall'Unione sindacale giornalisti Rai (Usigrai), dall'Ordine dei giornalisti (e delle giornaliste) e dall'Autorità per le garanzie della comunicazione (Agcom), con la consulenza statistica di Linda Laura Sabbadini dell'Istat, era emerso che l'85% delle giornaliste dichiarava di aver subito molestie sessuali almeno una volta nel corso della vita professionale; oltre il 66% le aveva subite anche fra il 2014 e il 2019. In quel caso erano state coinvolte 1.132 giornaliste dipendenti nei quotidiani, nelle tv e nelle agenzie di stampa.

Neanche il privilegio del contratto garantito, dunque, mette al riparo.

Significativo il silenzio di Rai e di Usigrai, che non hanno risposto a IrpiMedia per chiarire il problema delle false partite Iva, emerso sempre nel corso dell'inchiesta. 

Del resto, non ha destato molto clamore nemmeno quanto è stato rilevato nel documento conclusivo della prima fase di consultazione pubblica di Agcom sul sistema dell'informazione, ossia che, considerati tutti i livelli dirigenziali, le donne rappresentano ancora meno di un terzo dei giornalisti in posizioni decisionali. 

Le conduttrici/giornaliste raggiungono il 44%, mentre le opinioniste sono il 30% e le esperte solo il 23%. Tradotto in narrazione giornalistica, significa non solo non dare visibilità a competenze e saperi femminili, ma anche non riconoscergli autorevolezza di voce pubblica. Le giornaliste spesso si fermano, o vengono fermate nel loro tentativo di presa di parola. Il perché questo accada lo spiega la diffusione della violenza nelle sue varie forme.

A confermarlo anche le testimonianze riportate da IrpiMedia; alcuni esempi su tutti: "Il direttore mi ha fatto delle avance esplicite: io non ci sono stata e lui per isolarmi ha fatto credere che avessimo avuto una relazione. Alla base c’è un ricatto: se rifiuti, vieni penalizzata a livello di carriera". Quanti sono i giornalisti uomini a poter dire che gli sia accaduto altrettanto?

Non mancano casi in cui sono altre donne ad agire il potere in maniera discriminatoria e sessista: "La conduttrice per cui lavoravo (col silenzio di gran parte dei colleghi) voleva tagliarmi il contratto perché essendo in gravidanza a rischio all’inizio del primo lockdown avevo paura a uscire e girare i servizi tv".

Fino alla presunzione di ignoranza del sesso femminile: "Una volta mi sono sentita dire: non mi faccio intervistare da lei perché non è competente, vorrei un collega uomo".

Perché stupirsi, allora, se manca una voce femminile autorevole e ampia anche nei media? Piuttosto, vale la pena interrogarsi sulla difficoltà per le stesse giornaliste di denunciare e reagire a questo status quo, capire perché non sia decollato un reale e profondo #metoo nel mondo giornalistico.

Eppure, qualcosa si muove: poche settimane prima della pubblicazione dell'inchiesta di IrpiMedia è comparso sulla scena Espulse. La stampa è dei maschi, un collettivo di giornaliste, scrittrici, fotografe, videomaker e attiviste. Anche loro intendono indagare il problema delle molestie sessuali e degli abusi di potere nel mondo del giornalismo italiano. Nel loro Manifesto scrivono:

"Le molestie, i ricatti, gli abusi e le discriminazioni sessuali nel mondo del giornalismo sono ancora un tabù. Non rappresentano soltanto un danno contro le singole giornaliste, ma sono uno strumento utilizzato dagli uomini per mantenere lo status quo nelle redazioni e tenere le donne – soprattutto quelle che non si adeguano al sistema dominante – lontane dai posti di comando. Questo sistema di gestione del lavoro si ripercuote anche su lettrici e lettori, sulla qualità dell'informazione e sulla libertà di stampa. Attraverso Espulse. La stampa è dei maschi puntiamo a raccogliere testimonianze dirette per mappare l'impatto che molestie, ricatti, abusi e discriminazioni sessuali hanno sul mondo dell’informazione italiana".

Dal punto di vista economico, IrpiMedia registra che "le donne giornaliste guadagnano meno dei loro colleghi uomini, e questo vale sia per le dipendenti che per le libere professioniste, come confermato dall'ente previdenziale dei giornalisti Inpgi: il divario di genere nella retribuzione è del 15% tra le partite Iva, percentuale che cresce al 18% tra chi ha un contratto. La retribuzione media dei giornalisti contrattualizzati è di 64.770 euro l'anno per gli uomini contro i 53.078 euro per le donne".

Non solo, sempre nel report di IrpiMedia leggiamo che "secondo un'indagine svolta nel 2022 dall'Associazione degli enti previdenziali privati (Adepp), coinvolgendo 16 enti di previdenza tra cui l'Inpgi, il reddito delle professioniste donne dai 30 anni in giù è circa il 20% in meno rispetto a quello dei colleghi uomini: per questi ultimi, infatti, la media delle entrate è di 15.129 euro, mentre per le donne è di 12.102 euro. E, nella fascia d'età che si distingue per i maggiori guadagni – quella fra i 50 e i 60 anni – a fronte di 54.800 euro di media per gli uomini, la componente femminile si ferma a poco più di 32.000. Non solo: le donne guadagnano meno anche perché lavorano meno. […] Per tutte queste ragioni, il Media Pluralism Monitor 2023 ha assegnato all'Italia il massimo livello di rischio per quanto riguarda la parità di genere nei media".

Che fare quindi per arginare questa situazione e invertire la rotta? IrpiMedia, tra le buone pratiche, oltre al colletivo Espulse, segnala GiULiA - Giornaliste Unite Libere Autonome, associazione nazionale che dal 2011 "ha due obiettivi: modificare lo squilibrio informativo sulle donne anche utilizzando un linguaggio privo di stereotipi e declinato al femminile, e battersi perché le giornaliste abbiano pari opportunità nei luoghi di lavoro".

GiULiA ha contribuito anche alla redazione del Manifesto di Venezia, per il rispetto e la parità di genere nell'informazione, e partecipa alle attività dell’Osservatorio indipendente sui media contro la violenza nel linguaggio sulle donne, nato nel 2023 all’interno dell'Università La Sapienza di Roma.