L'Organizzazione mondiale della sanità ha definito la violenza sulle donne "una pandemia invisibile" che continua a rappresentare la maggiore minaccia alla salute pubblica globale. D'altra parte, gli stati hanno tutti gli strumenti per contrastarla. A partire, in Europa, dalla Convenzione di Istanbul
Le misure restrittive per la gestione della pandemia, senza dubbio utili per ridurre il rischio di contagio, hanno reso le donne vittime di violenza domestica ancora più vulnerabili.
Un recente documento delle Nazioni Unite ha riportato un incremento dei casi di violenza di genere in questo periodo. Come interpretare il calo delle denunce registrato nelle prime settimane di pandemia in Italia? Come altrove, anche qui le donne confinate in casa con partner violenti sono sotto il potere di controllo dei loro abusanti e hanno avuto timore di telefonare al 1522. Ciò spiega l'iniziale brusco calo delle chiamate al numero nazionale di supporto.
Intanto le operatrici dei centri antiviolenza, servizi essenziali per la collettività che sono rimasti sempre aperti, e le associazioni a tutela delle donne – com'è successo alla Fondazione Pangea onlus e la Rete Antiviolenza REAMA – hanno dovuto incentivare nuove modalità di supporto, da remoto, con utilizzo della posta elettronica o di videochiamate. Certamente questo approccio non ha la stessa efficacia di un incontro “empatico” in presenza, ma ha garantito una continuità del servizio.
Per quanto concerne le misure poste in essere a livello statale per fronteggiare la situazione, occorre rilevare che è stata messa in atto una nuova campagna mediatica di sensibilizzazione contro la violenza di genere. Inoltre, non sono stati sospesi i termini processuali per i procedimenti degli ordini di protezione.
Il Dipartimento delle Pari Opportunità ha anche pubblicato un avviso per il finanziamento di interventi urgenti per il sostegno alle misure adottate dalle case rifugio e dei centri antiviolenza durante l'emergenza sanitaria (15.000 euro per ogni casa rifugio e 2.500 per ogni cento antiviolenza) con scadenza al 31 luglio 2020.
Tuttavia, a confronto con le misure adottate dagli altri paesi europei, questi interventi risultano minimi e non sembrano placare, in questo difficilissimo periodo storico, gli episodi di violenza di genere in Italia.
Ad esempio, in Spagna, è stato fatto qualcosa di più concreto e immediato attraverso un "piano di contingenza" contro la violenza domestica, grazie al quale sono stati garantiti alloggi alternativi e sicuri per le donne che lo richiedono attraverso la sistemazione in albergo, quando non sono disponibili i servizi di accoglienza. Inoltre, sono previste misure per sorvegliare gli appartamenti e gli alloggi anche per le vittime di tratta. Anche il Belgio ha adottato questa linea.
In Inghilterra, invece, il governo ha pubblicato una guida online per il supporto alle vittime di violenza.
In Francia la situazione è simile a quella italiana con un evidente calo delle chiamate al numero di assistenza per le vittime.
Preoccupante, invece, è la notizia che l’Ungheria abbia confermato la decisione di non ratificare la Convenzione di Istanbul.
Spostandoci dalla situazione interna dei singoli stati europei alla questione della protezione delle donne vittime di violenza a livello globale, è fondamentale rilevare che le Nazioni Unite hanno evidenziato alla comunità internazionale come la violenza di genere sia una “pandemia invisibile” e parallela da non sottovalutare soprattutto in questo momento storico.
La stessa Organizzazione mondiale della sanità ha messo in guardia gli stati, in un documento del 7 aprile 2020, evidenziando che la violenza di genere continua a rappresentare la maggiore minaccia alla salute pubblica globale, anche in periodo di emergenza. A tal riguardo, ha anche pubblicato delle FAQ sul sito istituzionale a supporto delle donne.
Chi studia diritto internazionale lo avrà ben presente: anche e soprattutto in questo contesto pandemico deve essere applicata la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e contro la violenza domestica, firmata a Istanbul nel 2011, che attualmente è la fonte internazionale vincolante per tutti gli stati parte, compresa l’Italia.
La pandemia come emergenza sanitaria non può rappresentare un motivo di deroga nell'applicazione di questa convenzione. Del resto, la violenza di genere è una grave violazione del diritti umani, in primis del diritto alla vita, come a più riprese ha evidenziato la stessa Corte di Strasburgo.[1]
Il diritto alla vita, garantito dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali,[2] non può essere derogato nemmeno in caso di guerra o altro pericolo pubblico, come chiarisce l’art. 15, par.2, della stessa Convezione europea.
Ma vi è di più. La Convenzione di Istanbul ha positivizzato lo standard della due diligence.[3] introducendo l’obbligo positivo, da parte degli stati “di adottare tutte le misure legislative e di altro tipo necessarie per esercitare la debita diligenza nel prevenire, indagare, punire i responsabili e risarcire le vittime di atti di violenza commessi da soggetti non statali che rientrano nel campo dei applicazione della Convenzione”. Si tratta di obblighi sia procedurali che sostanziali, per prevenire e reprimere il fenomeno della violenza di genere.
È da rilevare, inoltre, che lo scorso 20 aprile, anche il Comitato delle Parti della Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica ha presentato una dichiarazione, invitando gli stati che hanno ratificato la Convenzione a fare riferimento alle sue norme e raccomandazioni come fonte di orientamento per l'azione governativa durante la pandemia.
In conclusione, nel bilanciamento tra il diritto fondamentale alla salute pubblica nel prevenire il contagio da Covid19 e il diritto alla protezione della vita di una donna vittima di violenza, quest’ultimo non deve essere recessivo ma deve essere ugualmente protetto dagli stati, anche alla luce del rispetto degli obblighi internazionali di tutela dei diritti umani.
Note
[1] Tra i numerosi casi valga menzionare quello "Talpis" in Italia (CorteEDU, ricorso n.41237, sentenza 2 marzo 2017) in cui lo stato italiano è stato condannato per non aver agito con rapidità per proteggere una donna e suo figlio da atti di violenza domestica, violando l’art.2 sul diritto alla vita, l’art.3 sul divieto di tortura e di trattamento inumano e degradante e l’art.14 sul divieto di discriminazione).
[2] Come gli artt. 3 (divieto di tortura), 4 (divieto di schiavitù), par. 1, e art. 7 (principio di legalità penale).
[3] Cfr. United Nations Economic and Social Council, The due diligence standard as a toool for the elimination of violence against women, report of the special rapporteur on violence against women irs causes and consequences. E/ CN.4/2006/61, 20 gennaio 2006