Vediamo cosa prevede il disegno di legge Cirinnà, in votazione al senato, a proposito di unioni civili come "formazioni sociali" parallele al matrimonio tradizionale
Unioni civili,
cosa prevede il ddl Cirinnà

Procede la votazione in senato sul disegno di legge che dovrebbe determinare un’evoluzione importante nel nostro ordinamento: l’apertura normativa alle unioni civili e alle convivenze di fatto. Ad accompagnarla, un dibattito sempre più acceso, spesso foriero di confusione. Cerchiamo allora di fare un po’ chiarezza sui contenuti effettivi del testo in discussione.
Due le direttrici: da una parte, gli articoli da 1 a 10, introducono l’unione civile, come una specifica formazione sociale parallela al matrimonio, che può essere instaurata anche tra due persone dello stesso sesso. Dall’altra, gli articoli da 11 a 23, regolamentano la convivenza di fatto tra persone di sesso diverso o dello stesso sesso, entrambe maggiorenni, unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, ma non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile.
Le norme in discussione recepiscono un'istanza fondamentale, fortemente sentita da una pluralità di coppie, prive ad oggi di uno status giuridico riconosciuto e dunque di tutela.
Dal canto loro, giurisprudenza e autorità locali hanno cercato in parte di sopperire al vuoto normativo, con decisioni spesso controverse, e riuscendo comunque a fornire risposte solo parziali. Con l’introduzione del ddl Cirinnà, quindi, lo stato interverrebbe per la prima volta in materia, con una disciplina i cui obiettivi dovrebbero proprio essere quelli dell'organicità e della completezza.
Entrando nel merito, il testo intende estendere alle nuove unioni le norme relative al matrimonio “tradizionale” per quanto concerne diritti, doveri e obblighi reciproci, regime patrimoniale, con la sola eccezione delle regole dettate in relazione alla filiazione.
L’impiego del mero rinvio legislativo è stato forse possibile proprio perché la riforma del diritto di famiglia - una riforma rivoluzionaria, se si considera che era il 1975 , e che poneva il nostro ordinamento in una posizione di avanguardia in materia di diritti della persona - già ci aveva consegnato un concetto giuridico di famiglia in cui la posizione dei coniugi è perfettamente parificata, quanto a diritti e doveri reciproci e nei confronti della prole. In altri termini, la diversità di genere all’interno della coppia, unita da rapporto coniugale, risulta già, a partire dalla riforma dell’epoca, del tutto ininfluente. In questo senso, l’introduzione delle unioni civili rappresenta il compimento di un passo ulteriore, in un percorso iniziato con l’accantonamento dell'ordine patriarcale, almeno da un punto di vista squisitamente formale e legato alla disciplina del diritto di famiglia.
Starà agli interpreti colmare le lacune e gli “equivoci” che via via potranno evidenziarsi in quest’opera di adattamento delle norme sul matrimonio alle unioni omosessuali, tenendo presente che la chiara volontà del legislatore è quella di una completa parificazione tra le due forme di unione.
Per quanto attiene alla costituzione della nuova formazione sociale, questa dovrebbe avvenire tramite una dichiarazione davanti all’ufficiale di stato civile, alla presenza di due testimoni, cui dovrà seguire la registrazione, come nel caso del matrimonio. Gli uniti civilmente - qui la dottrina e l’Accademia della crusca si cimenteranno nell’individuare un nuovo nome per distinguere la coppia unita con questa nuova formazione sociale - potranno stabilire il cognome, ma avranno comunque facoltà di anteporre o posporre allo stesso il proprio comunicandolo all’ufficiale di stato civile.
Quanto ai diritti e ai doveri che discenderebbero dal nuovo rapporto legalmente riconosciuto, si tratterebbe, come accennato, dei medesimi del matrimonio: l’obbligo reciproco alla fedeltà, all’assistenza morale e materiale e alla coabitazione. Inoltre, entrambe le parti saranno tenute, ciascuna in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale e domestico, a contribuire ai bisogni comuni; di conseguenza per sciogliere il vincolo, occorrerà necessariamente procedere a una separazione e a un divorzio. Il testo individua un'altra forma che da luogo allo scioglimento, nel caso in cui vi sia stata una sentenza di rettificazione dell’attribuzione di sesso.
La nuova normativa dovrebbe poi fornire una risposta al monito della Corte Costituzionale di cui alla sentenza 11 giugno 2014 n. 170, che invitava il legislatore ad adottare misure per disciplinare la registrazione delle unioni omosessuali che si formano quando uno dei coniugi, nel contesto di un matrimonio, decide di cambiare sesso e, tuttavia, il rapporto di stabile convivenza prosegue per volontà di entrambi (il caso riguardava due coniugi, in cui il marito aveva ottenuto la rettificazione del sesso, evento cui era seguita l’automatica cancellazione del matrimonio, al di là della loro volontà, essendo tale istituto tra due soggetti di sesso differente, e non essendovi altro istituto che potesse tutelarli). Iil ddl di cui stiamo parlando, infatti, prevede che in caso di rettificazione anagrafica di sesso, all’interno di un matrimonio i coniugi possano decidere di non scioglierlo, e fra essi si instaurerebbe automaticamente una unione civile.
Tra i temi più controversi, quello legato all’adozione da parte degli uniti civilmente. L’articolo che la introdurrebbe, nella forma della cosiddetta stepchild adoption, dovrebbe consentire in realtà solo una stretta apertura alla genitorialità acquisita (attraverso la modifica dell’art. 44 della legge n.184/83). Si tratterebbe, infatti, della possibilità di adottare il figlio minore anche adottivo del partner, andando a configurare un’ipotesi residuale di adozione, che pur creando un vincolo di filiazione giuridica, si sovrapporrebbe a quello della filiazione biologica, non facendo cessare il legame con la famiglia naturale.
In merito, tra l’altro, è recente la pronuncia del tribunale per i minorenni di Roma, che con la sentenza 30 luglio 2014 n. 299, ai sensi del citato articolo 44, ha già riconosciuto l'adozione da parte di una coppia di donne della figlia biologica di una di loro.
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