Dati

Milioni di persone hanno più o meno figli di quanti ne vorrebbero: il rapporto sullo stato della popolazione nel mondo, presentato in contemporanea in più di cento città, quest'anno è dedicato al potere di scegliere 

Come (non) scegliamo la
forma delle nostre famiglie

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Foto: Frank Schoepgens/Getty Images (via Unfpa)

“Ci piacerebbe avere due o tre bambini, ma non adesso” dice Olga, 30 anni, in Bielorussia, dove il reddito medio si aggira intorno ai 430 dollari al mese e il costo mensile della vita per una famiglia composta da quattro persone è di circa 1.600 dollari, esclusi affitti e asili. “Il modo in cui ci siamo organizzati ci lascia energie per il lavoro e per i figli” dice Andrea, tre figli e una compagna che lavora, siamo in Svezia, dove in totale sono previsti 480 giorni di congedo parentale retribuito – con la possibilità per i genitori di restare a casa insieme per un mese. “Voglio pianificare il mio futuro” dice Hassia, rimasta incinta a 14 anni in Nigeria, qui il tasso di nascite tra le adolescenti è tra i più alti al mondo. “Vogliamo solo che i nostri figli abbiano una vita migliore di quella che abbiamo avuto noi” dice Sharrow, in Kenya, dove nelle zone rurali solo una donna su venti ha accesso ai metodi contraccettivi moderni. “Tre bambini sono più che sufficienti, vogliamo il meglio per quelli che già abbiamo” dicono Mohamed e Um Ahmed, sposati da 16 anni in Egitto, hanno subito pressioni da parte delle famiglie di origine. “Abbiamo sempre messo in conto gli aspetti finanziari che avere dei bambini comporta” dice Aretha, 38 anni, in Brasile, dove nel corso di tre generazioni la dimensione delle famiglie si è ridotta da molte persone a due

Le storie raccolte dal nuovo rapporto del Fondo per la popolazione delle Nazioni Unite (Unfpa) restituiscono bene la complessità di una questione che in modo sempre più stringente caratterizza il nostro tempo, quella delle scelte riproduttive. Dopo il femminismo la riproduzione non è più un destino e i documenti internazionali parlano di diritto alla libera scelta, ma in un pianeta regolato dall’ingiustizia sociale lo scenario si complica. Sono milioni le persone che oggi hanno più o meno figli rispetto a quanti ne vorrebbero.

“Un tempo esisteva un solo tasso di fecondità globale, oggi ne esistono molti e le differenze sono le più ampie mai registrate nella storia dell’umanità” commenta l’Associazione italiana donne per lo sviluppo (Aidos), che ha diffuso il rapporto in Italia. “214 milioni di donne rischiano una gravidanza indesiderata nei paesi in via di sviluppo, e quelli più sviluppati contano spesso meno di due nascite per donna per motivi economici e legati al lavoro”.

“Il perseguimento dei diritti riproduttivi è frenato in alcune aree del mondo da sistemi sanitari che non forniscono servizi essenziali, come gli anticoncezionali; in altre da barriere economiche, tra cui disoccupazione, lavori di scarsa qualità o poco retribuiti e assenza di servizi per l'infanzia spiega Natalia Kanem, Executive Director dell’Unfpa. “Uno stato di cose che ha forti ripercussioni sulle donne, sulle comunità e su interi paesi, e che vede alla base il persistere della disuguaglianza di genere” .

A questo si aggiungono ideali e stereotipi, pressioni da parte delle famiglie d’origine e dei governi, che nel corso della storia hanno sempre cercato di orientare la riproduzione a favore degli andamenti economici sperati. Insomma, è davvero difficile capire quanto di individuale ci sia nelle scelte riproduttive persino quando si parla di diritti e persino nei paesi cosiddetti sviluppati.

Cosa dicono i dati 

I dati dicono che negli ultimi 150 anni i tassi di fecondità sono diminuiti in quasi tutti i paesi. Passando da cinque o più nascite per donna a 2,5 o meno, nei paesi con popolazioni di almeno 1 milione. Rispetto agli anni’60 la fecondità è calata del 50% e le previsioni annunciano che nel 2050 nessun paese del mondo conterà più di cinque nascite per donna. 

La spiegazione è nota. All’aumentare dell’industrializzazione, dei livelli di istruzione e urbanizzazione, aumentano i costi associati all'aumento dei figli e diminuiscono i benefici di avere famiglie numerose. 

Tuttavia, i numeri sottolineano come a livello planetario la tendenza non sia esattamente il frutto di scelte basate sui desideri. Questo, in termini di diritti costituisce un problema, se vale ancora – come sosteneva il programma d'azione della Conferenza internazionale sulla popolazione e lo sviluppo, approvato nel 1994 da 179 governi – che "tutte le coppie e gli individui hanno il diritto fondamentale di decidere liberamente e responsabilmente il numero e la distanza dei loro figli e di avere le informazioni, educazione e mezzi per farlo”. 

Più che dal desiderio, il fatto che una donna oggi partorisca più o meno figli dipende invece dal suo essere ricca o povera, dal fatto che abiti in città o in un’area periferica o rurale, dall’età e dal livello di istruzione e di accesso alla salute sessuale e riproduttiva. 

In particolare, secondo l’Unfpa, per la prima volta nella storia umana si riscontrano grandi differenze in termini di fecondità tra gruppi di paesi: sono 43 quelli con una popolazione di almeno 1 milione a contare 4 o più nascite per donna (38 di questi sono in Africa, tra gli altri ci sono: Afghanistan, Iraq, Palestina, Timor Est e Yemen); 30 tra le 2,5 e le 3,9 nascite per donna; 33 ad avere un tasso di fecondità che è sceso di recente al livello di sostituzione (meno di 2,1 nascite per donna, quelle necessarie in teoria a rimpiazzare la generazione precedente) e 53 quelli in cui la fecondità è rimasta inferiore o pari ai livelli di sostituzione per molti anni. 

La fecondità è stata inferiore al livello di sostituzione per anni, se non decenni, in 53 paesi e territori, spiega l’Unfpa, di questi luoghi, è Taiwan ad avere oggi il tasso di fecondità più basso del mondo: 1,1 nascite per donna.

Chi si prenderà cura dei paesi che invecchiano

Cuba, Repubblica di Corea, Tailandia, Europa meridionale, orientale e centrale, i paesi con tassi di fecondità al di sotto del tasso di sostituzione sono aumentati nel tempo a partire dagli anni ‘90. Ad ogni modo, i cinque territori con i tassi di fecondità totali più bassi del mondo si trovano oggi in Asia orientale e nel sud-est asiatico. Nelle maggiori città della Cina, si legge nel rapporto, la fecondità è stata pari a 0,8 negli anni '90 e 2000. 

In totale i paesi con una fecondità molto bassa rappresentano 2,2 miliardi di persone, circa il 30% della popolazione mondiale, di cui 1,4 miliardi di persone sono in Cina. Tra i paesi con almeno 1 milione di persone, 22 hanno tassi di fecondità inferiori a 1,5 nascite per donna, si legge nel rapporto. Si tratta di un tasso insufficiente a sostenere la popolazione esistente in assenza di immigrazione. Chi si prenderà cura di questi paesi sempre più anziani? In che modo fronteggeranno il cambiamento demografico paesi come il Giappone, la Repubblica di Corea e Singapore, potendo contare su sempre meno giovani nel mercato delle nuove tecnologie? 

“Alcuni paesi europei e dell'Asia orientale vedono la bassa fecondità come una minaccia alla loro sicurezza economica e stanno tentando di invertire la tendenza attraverso politiche volte a sostenere le famiglie che scelgono di avere più figli” spiega il rapporto. “Altri hanno risposto alle popolazioni in calo con politiche per attrarre i migranti, in particolare i più giovani che possono colmare le lacune nella forza lavoro”, come è accaduto a Taiwan e come sta cercando di fare il Giappone

L’infertilità della crisi è nell’Europa del Sud

L’Unfpa conferma che tra i paesi ritenuti avanzati la posizione dei giovani è più fragile nell'Europa meridionale, dove la disoccupazione è elevata, i lavori temporanei sono sempre più comuni e la protezione sociale è limitata. Tutti fattori che rallentano la formazione delle famiglie, i matrimoni e favoriscono una bassa fecondità. Come in Italia dove il tasso è di 1,5 figli per donna e l'età media del primo figlio è superiore ai 31 anni.

Le crisi economiche hanno avuto un ruolo notevole in questo senso, nei paesi a più alto reddito, conferma il rapporto. Dopo la crisi finanziaria del 2008 sempre più donne nei paesi avanzati hanno raggiunto livelli più alti di istruzione, e sono entrate nel mercato del lavoro. Questo non è coinciso però in tutti i paesi con un avanzamento in termini di servizi di assistenza all'infanzia a prezzi accessibili e di congedi parentali adeguati. Così, in molti paesi la responsabilità di crescere i figli cade ancora in gran parte sulle spalle delle donne, conferma il rapporto che ricorda come sono proprio i paesi con politiche limitate per l'equilibrio famiglia-lavoro ad avere una fecondità molto bassa. In altre parole, un'assistenza all'infanzia limitata ha impedito a molte madri di rientrare nel mercato del lavoro e ha aumentato i costi dell’avere figli. Questo ha pesato sulle decisioni di molte coppie

Un futuro troppo vicino

Alcuni paesi, come il Canada ma anche alcuni paesi europei, hanno cercato di frenare il calo demografico attivando politiche che hanno favorito l’occupazione delle madri. In Australia, Austria, Paesi Bassi e Regno Unito si è andato via via affermando il modello dove un genitore lavora a tempo pieno e l'altro part-time.

Quello che secondo l’Unfpa i paesi con bassi livelli di fecondità dovrebbero fare in termini di politiche per soddisfare gli obiettivi dell'Agenda 2030 è garantire a tutti l’accesso alla cura all’infanzia, rafforzare le politiche di sostegno alle famiglie e alle persone che lavorano con figli, e cercare di arginare l’instabilità del mercato del lavoro. Quello che i paesi con un’alta fecondità dovrebbero fare è di estendere l’accesso ai servizi di salute sessuale e riproduttiva e aumentarne la qualità, assicurarsi che tutti siano a conoscenza dei propri diritti riproduttivi e delle tecnologie contraccettive, porre fine ai matrimoni precoci, incentivare l’occupazione delle donne nelle aree rurali, puntare sulla spesa sanitaria legata alla salute sessuale e riproduttiva. Quello che tutti i paesi dovrebbero fare è rendere quanto più reale per ogni donna, per ogni persona, la possibilità di scegliere in base ai propri desideri. E in questo, va detto, il 2030 sembra un futuro troppo vicino.

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